SULL'ATTUALIT�DELLA PAIDEIA VICHIANA

 

Tra i temi della speculazione vichiana quello pedagogico non poteva passare inosservato.

 

 

Vincenzo Pepe

 

 

Tra i temi della speculazione vichiana che gli studi pi� recenti hanno contribuito a rivitalizzare, quello pedagogico non poteva passare inosservato. Prima di tutto, per la difficolt� di disancorarlo dal sistema f�losofico pi� generale di cui fa parte integrante1; secondariamente, per l'impossibilit� di sottrarsi al fascino di una lezione nella quale la riflessione teorica viene, per dir cos�, "inverata" e "certificata" dall'esperienza didattica2.

Ma a rendere degne di rinnovato interesse le idee pedagogiche vichiane non � tanto la carica testimoniale di cui esse sono intrise, n� solo la forza coesiva con cui esse concorrono a cementare la struttura granitica della Scienza nuova. Pi� che da motivi di interesse storico, il ritorno alle intuizioni pedagogiche vichiane � dettato dalla carica di "atemporalit�"3 di cui esse sono investite, e che � confermata, dal resto, dalla loro "presenza" nelle tesi scientifiche di pensatori contemporanei quali Piaget, Bruner, Aiken4.

Ma quali sono queste intuizioni? Per rispondere a questa domanda � necessario tratteggiare inizialmente lo scenario culturale da cui Vico si vede circondato. Lo sfondo � desolante: una societ� disumanizzata, una sorta di settecentesca Waste Land nella quale, pur "nella moltitudine dei corpi che si affollano e sarebbe meglio dire della calca delle carceri"5, regna la solitudine spirituale. L'immagine, come si sa, � ricorrente nella produzione vichiana; la ritroviamo, per esempio, nella corrispondenza privata6, e scolpita nella conclusione della Scienza nuova, come potente correlativo oggettivo della "Barbarie della riflessione", dello stadio storico, cio�, in cui gli uomini "avevano dato nell'ultimo della dilicatezza o dell'orgoglio, ch'a guisa di fiere, nell'essere disgustate di un pelo, si risentono e s'infieriscono, e s�, nella loro maggiore celebrit� de'corpi, vissero come bestie immani in una somma solitudine di animi e di voleri, non potendovi appena due convenire, seguendo ogniuno de' due il suo propio piacere o capriccio�7.

Significativamente, una disamina delle cause di questa tara spirituale viene da lui fornita nelle Orazioni inaugurali che, come � altrettanto risaputo, rappresentano la prima sua produzione con finalit� spiccatamente pedagogiche. In queste prolusioni la frammentazione e la lacerazione delle coscienze viene ricondotta alla perduta capacit� dell'uomo moderno di relazionarsi ai suoi simili, per l'ottundimento di tutte le facolt� comunicative: da quelle pi� specificamente linguistiche, "perch� la lingua spesso non soccorre e spesso tradisce le idee per le quali l'uomo vorrebbe e non pu� unirsi con l'uomo"; a quelle mentali, "per la variet� delle opinioni nate dalla diversit� de' gusti de' sensi, ne' quali uom non convien con altr'uomo�; a quelle affettive, perch� "per il cuore corrotto nemmeno l'uniformit� de' vizi concilia l'uomo con l'uomo"8.

Il divorzio tra lingua mente e cuore, che � il sintomo pi� grave di quella che con termine eliottiano potremmo definire "sensibilit� dissociata", � per Vico conseguenza della generale, incondizionata, adesione a modalit� di pensiero ormai isterilite dal metodo cartesiano, "cos� sottile e stirato che, se per malasorte si spezza in non avvertire ad una proposizione, � negato affatto a chi ode di intendere nulla del tutto che si ragiona"9.

Le connotazioni della "sottigliezza" del pensiero vengono esplicitate in un passo di una lettera a Gherardo degli Angioli, nel quale Vico scrive, tra l'altro, di "tempi troppo assottigliati dai metodi analitici, troppo irrigiditi dalla severit� de' crIteri, e s� di una filosofia che professa ammortire tutte le facolt� dell'animo (...) e sopra tutte quella di immaginare(...), di una sapienza che assidera tutto il generoso della migliore poesia, la quale non sa spiegarsi che per trasporti, fa sua la regola de' sensi ed imita e pigne al vivo le cose, i costumi, gli affetti con un fortemente immaginarli e quindi vivamente sentirli"10.

Nell'epoca dei "saperi minimi" il brano test� riportato meriterebbe forse di essere meditato. Costruito sulla contrapposizione di riferimenti al processo necrotico (�assottigliati�, �irrigiditi�, �ammortire�, �assiderare�) da una parte, e alla progressione vitalistica (�generoso�, �trasporto�, �sensi�, �affetti�, �fortemente immaginare�, �vivamente sentire�) dall'altra, esso visualizza l'idea della scleroticit� e tisichezza del sapere scisso dal " sentire", del Logos privo di Pathos. Concetto che viene ribadito altrove, e precisamente nel luogo in cui il Nostro si sofferma sulle qualit� del "vero" sapiente, nel quale,"Ci� che importa assaissimo,... si ricompongono col loro naturale legame il cuore e la lingua, che Socrate, pien di filosof�a la lingua e'l petto, teneva strettamente congionti insieme (...) poich� la sapienza � perfezionatrice dell'uomo nel suo proprio esser d'uomo, ch'� mente e lingua"11.

Come si sar� notato, il concetto di "sensibilit� unificata" come fondamento del vero sapere, viene nel branoipostatizzato con un riferimento a Socrate, che occupa la parte centrale di un discorso a struttura chiastica, i cui estremi sono dati, rispettivamente, dalle equazioni cuore-lingua / mente-lingua. Vedremo tra qualche istante le implicazioni del riferimento a Socrate; per ora ci limiteremo a notare che in armonia col concetto di sintesi della sensibilit�, anche la scrittura vichiana opera un'unificazione di pensiero e immagine, di concetto e senso. Da notare, ancora, la presenza nel brano della parola "sapienza" come amplificazione ed intensificazione ("perfezionatrice") della dignit� umana. Da finissimo cultore delle risorse espressive della lingua, il Vico recupera il senso di "fisicit�" e "corposit�" insito nella radice "sap", per i richiami al sapore, al gusto, all'olfatto. Non � un caso che nella sua pi� famosa dissertazione sul metodo degli studi (De nostri temporis studiorum ratione), egli dichiari di voler trattare argomenti "quae omnia sapiunt", che hanno il sapore, e il profumo del tutto12.

Il concetto vichiano di unificazione e totalit� del sapere, dunque, oltre a rimandare all'idea dell'unit� dei contenuti dello scibile, implica anche, e forse soprattutto, la legittimazione di tutte le modalit� attraverso le quali viene esperita la conoscenza, comprese quelle tradizionalmente identificate come forme di "gnoseologia inferior". Non si pu� non ricordare, al riguardo, che la pretesa cartesiana di fondare una teoria della conoscenza come riflessione " pura", completamente scevra, cio�, dell'apporto dei sensi, aveva trovato formulazione programmatica nell'incipit della terza Meditazione, che recita: "Chiuder� gli occhi, mi turer� le orecchie, e canceller� dal pensiero tutte le immagini corporee"13.

Banditi dal sistema cartesiano, occhi, orecchie e immagini corporee trovano invece accoglienza in quello vichiano. Lo attesta il vero e proprio inno che il Napoletano scioglie all'essenza "divina" di cui partecipano tutte le facolt� umane. Significativamente, anche qui in obbedienza al principio di "ricomposizione del legame naturale", di cui dicevamo, la mente ed il cuore, congiuntamente, soccorrono la lingua. A rappresentare anche sul piano grafico-visivo il concetto della divinit� che informa la mente umana, "partitamente", e nella sua totalit�, la parola " divina" passa nel testo dalla posizione anaforica, insistita e ripetuta, dei costrutti espliciti: "divina vis�quae videit, divina quae audit, divina quae rerum formas gignit, divina quae percipit, divina quae iudicat, divina quae colligit, divina quae meminitntimi"14, ad una posizione cataforica, la quale idealmente abbraccia, contiene e riepiloga la lunga, vorticante serie di infiniti verbali: "videre, audire, invenire, componere, inferre, reminisci, divina"15.

 

Nella visione vichiana, il concetto di "divinit�" della mente � inestricabilmente intrecciato a quello della finalit� degli studi16. Quest'ultima deve esibire due requisiti essenziali: essere sempre presente in ogni momento del percorso educativo, s� da irrorarlo "uti sanguis per totum corpus"', ed essere appropriata. Un'idea dell'importanza che il Nostro attribuisce al primo requisito si pu� ricavare dal fatto che la stessa similitudine del sangue che irrora il corpo umano, sar� impiegata per "visualizzare" la funzione delle Degnit� all'interno della Scienza nuova, "le quali, come per lo corpo animato il sangue, cos� deono per entro scorrervi ed animarlo"17. L'appropriatezza del fine, invece, � indispensabile condizione per neutralizzare il rischio di fallimento negli studi. Quale, poi, sia il fine giusto, viene chiarito nella conclusione della Orazione, dove la causa dell'insuccesso scolastico, oltre che alla refrattariet� dell'alunno, alla cattiva qualit� degli insegnanti, o del metodo, viene ricondotta al "difetto... del fine degli studi, altrove collocato che di coltivare una specie di divinit� della mente"18. Gli studi hanno un senso, quindi, solo se esclusivamente riferiti, e finalizzati, alla crescita di consapevolezza della dignit� della persona umana. Ma la "coltivazione" della mente non � solo la finalit� ultima del percorso educativo; essa ne � anche lo strumento, perch� presuppone un processo che utilizza il sapere come " mezzo" mediante il quale l'alunno entra in rapporto con se stesso. Nella visione pedagogica vichiana, prodotto e processo dell'apprendimento si identificano. Non meraviglia, quindi, che il "Gnoti seauton" socratico diventi "l'asse e il cardine" attorno al quale orbita tutto il ciclo degli studi, cos� come prescrive il sottotitolo della I Orazione: "sui ipsius cognitionem ad omnem doctrinarum orbem brevi absolvendum maxime cuique esse incitamento". Significativamente, la stessa metafora "planetaria" dell�asse attorno al quale orbita il ciclo delle arti e delle scienze", viene ripresa nella VI Orazione a veicolare, per�, l'idea di una sintesi triadica nella quale la "conoscenza" � termine medio tra "eloquenza" e �virt��19. �, come si vede, pur sempre la riproposizione del "legame naturale tra lingua, mente e cuore che Socrate teneva congionti"; ma riformulata con l'impiego di termini (eloquenza, conoscenza, virt�) dal maggiore spessore connotativo, i quali pi� che a qualit� "naturali" dell'uomo, rinviano a doti etico-sociali. Dal piano noetico, la prospettiva si � trasferita a quello dianoetico: il vero sapere, attivato dalla "conoscenza di s�" si configura, ora, come �sapienza civile". L'approfondimento di prospettiva � segnalato dalla diversa utilizzazione di una citazione ciceroniana, la quale si incentra, appunto, sulla figura di Socrate.

Nella I Orazione, il riferimento al filosofo greco si riduce ad un accenno; egli � soltanto "il filosofo che richiam� la morale filosofia dal cielo". Queste parole sono la traduzione fedele di una parte di un brano delle Tusculanae disputationes (V, 410-1.1), in cui Cicerone ricorda, appunto, che "Socrate fu il primo a richiamare la filosof�a dal cielo"; ma aggiunge subito dopo: "collocandola nelle citt� degli uomini, la riport� nelle loro case, facendole formulare domande sulla vita, sul bene, sulle cose umane e divine". Le implicazioni etico-civili delle precedenti parole vengono da Vico esplicitate nella VI Orazione. Qui, difatti, dopo aver ammonito i giovani "ad apprendere la prudenza nelle cose umane, prima quella morale che forma l'uomo, e poi quella civile che forma il cittadino", il Napoletano insiste sul concetto di "funzionalit�" della cultura alle ragioni della "polis". Il ruolo della forza suasiva dell'eloquenza, difatti, � per lui "quello di condurre gli uomini dalla solitudine agli umani consorzi", e di indurre "i violenti che troppo confidano nelle loro forze a vivere insieme coi deboli". Notevole, poi, � che il "debito" della cultura nei riguardi della polis, sia esplicitato in termini di utilit� degli studi "i quali devono giovare all'umanit�", ma, ancora pi� significativamente, in termini di solidariet� verso il prossimo. Illuminante, al riguardo, l'utilizzazione del brano dell'Heautontimoroumenos di Terenzio, nel quale Cremete, "non per una speranza di lucro, non per un particolare rapporto di parentela, n� per disobbligarsi di un favore, ma solo perch� e suo vicino di casa", � pronto a soccorrere Menedemo "con le parole, il consiglio, con le opere". Lungi dal risolverai, quindi, in un solipsistico e narcisistico cogliersi del soggetto nella "trasparenza del cogito", la socratica "conoscenza di s�" proposta dal 'Vico quale principio informante del processo educativo attiva un dialogo attraverso il quale l'individuo ritrova se stesso aprendosi agli altri20, nel vissuto, nella corporeit� e "opacit� del mondo civile"21. "Non fumum ex fulgore, sed ex fumo dare lucem", � difatti il proposito dichiarato nella conclusione del De nostri temporis studiorum ratione; e motto migliore Orazio non avrebbe potuto prestare ad uno che, come Vico, intendeva fondare il metodo di studi sulla rivalutazione del "verosimile", di quella zona, cio�, appunto opaca, indistinta, "quasi intermedia tra vero e falso" dalla quale � alimentato il "sensus communis".

Quale sia la rilevanza di questo concetto ai fini della nostra trattazione, lo vedremo tra poco, nelle conclusioni. Per ora, sar� sufficiente ricordare che il potenziamento del "sensus communis" � dal Napoletano visto come prerequisito di una strategia didattica che miri "a insegnare ai giovinetti scienze ed arti tutte con integro (corsivo nostro) giudizio", cio� con l'attivazione di tutte le facolt� della persona umana. Questo spiega perch� la raccomandazione di "irrobustire il sensus communis" corra parallela all'altra di "consolidare i giovani nella fantasia e nella memoria". Da notare, infine, che le due raccomandazioni si iscrivono nel contesto generale di un discorso che, esaltando il potere metaforico della parola, tende al recupero e alla riconsacrazione della dignit� euristica della topica e della retorica, la prima, come arte inventiva, la seconda, come capacit� di infondere "passione" nei discorsi22. Col che dovremmo essere ora in grado di rispondere alla domanda che ci siamo posti all'inizio di queste riflessioni, ed accingerci a concludere.

Sul piano pi� generale, finalizzando il progetto educativo alla ricomposizione della sintesi tra mente, cuore e lingua, e collocando l'uomo all'inizio, al centro e alla fine del progetto educativo, la paideia vichiana formula un'ipotesi di "autonomia" del sapere, e quindi della scuola, che forse � giusto non smarrire del tutto, specialmente nel momento in cui sollecitazioni allotrie pi� insistentemente richiedono alla scuola di confrontarsi con il mercato. Quale sar� l'esito di questo confronto, non lo sappiamo; quello che sappiamo per certo, per�, � che tra i bisogni che i giovani portano in classe, non c'� solo quello di impossessarsi dei meccanismi della tecnologia e della logica di mercato. Prevalente, per tanti aspetti, ci sembra l'ansia di capire il mondo che li circonda, e genuina appare la ricerca di risposte che diano "senso" a se stessi. Soddisfare questo bisogno ci sembra compito irrinunciabile della scuola. Si tratter� di riflettere, di ripensare, mettere in discussione contenuti, idee, e metodi; quello che non si

potr� mai mettere in discussione, per�, � che la scuola � punto di incontro, di dialogo, tra esseri umani. E qui, ancora, le intuizioni vichiane ci possono fornire aiuto preziosissimo, perch� esse ci suggeriscono come attivare e tenere vivo il dialogo. Facendo del "sensus communis" il fulcro su cui attivare la conoscenza di s�, il Napoletano intuisce che un vero dialogo pu� avvenire solo su un terreno " comune" di intesa, a met� strada, per dir cos�, tra l'astrattezza e la glacialit� delle idee e dei concetti "puri", e la refrattariet� della materia inerte. � su questo territorio comune che le parole, gli atti, le idee, le conoscenze acquistano spessore e "senso". Pi� "sentite", partecipate e coinvolgenti le conoscenze e le parole, maggiore l'intesa. Tutto questo, ovviamente, presuppone che l'insegnante sia disposto ad accostarsi all'alunno, cos� come Socrate allo schiavo ignorante, da pari a pari, avendo rispetto, cio�, per le sue modalit� d'essere, anche quando queste siano infarcite degli stereotipi, dei cliches, delle mezze verit� o mezze falsit� della cultura di massa. E solo su questo "verosimile" che pu� essere attivato un processo di conoscenza verso la sapienza, attraverso una dialogica maieutica23. Ma l'umilt� dell'insegnante deve essere accompagnata e sostenuta da un'altra qualit� indispensabile a tenere aperto il canale di comunicazione con l'alunno: la disponibilit� a trovare, a inventare e collaudare i "ponti", i nessi, i collegamenti tra le cose, le idee, le parole; e tra le parole, le idee, le cose ed il mondo degli alunni. L'avere intuito l'importanza di questa capacit� di contestualizzare, che � capacit� essenzialmente "metaforica", porta Vico ad anteporre alla critica l'arte topica che �, appunto, "ricerca del termine medio che colma il vuoto tra il mondo delle idee ed il mondo contestuale della cultura coeva"24. Sul piano pratico questo significa che, prima di essere abituati a discutere della esattezza delle idee e dei discorsialtrui (magari del critico famoso), gli alunni siano incoraggiati a creare, produrre e collegare i loro discorsi e le loro idee. Ma costruire discorsi che abbiano " senso", significa, come abbiamo visto, infondere in essi passione. Per questo motivo Vico propone di sfruttare la retorica, non nell'accezione riduttiva e sterile di "arte di persuadere", bens�, in quella pi� fertile ed entusiasmante di arte che mira al potenziamento della capacit� di "eloquenza come sapienza che parla"25. In termini pratici, questo significa potenziare negli alunni il gusto della parola, il piacere dell'invenzione e della creazione linguistica. Significa creare ed inventare temi, contesti, situazioni motivanti e coinvolgenti che soddisf�no il bisogno autentico degli alunni di riconoscersi, scoprirsi e "raccontarsi" nelle parole. Per costruire il testo autobiografico di cui � intessuta la conoscenza di s�, l'alunno avr� bisogno di sapere usare l'unico collante che connette (nella duplice accezione di "collegare" e "dare senso") a il qui e l�, il prima ed il dopo, lo spazio ed il tempo. Il suo "ingegno" dovr� essere sottoposto a continui ed intensivi esercizi della capacit� " metaforica" di cui si sostanzia la facolt� dell'immaginazione26. Ma quest'ultima, come ci ricorda una delle pi� famose degnit� della Scienza nuova, non � che l'altro nome della facolt� di memoria27. Ed � appunto qui, secondo noi, che si incentra il contributo pi� valido che la riflessione vichiana pu� fornire alla scuola del 2000: il monito a non dimenticare che il "vero" sapere � un "discorso totale" sulla natura umana, nella quale il guardare avanti � inestricabilmente connesso alla capacit� di volgersi indietro, e ricordare28.

 

NOTE

1Cfr. M. MOONEY, Vico e la tradizione della retorica, II Mulino, 1991. L'autore ritiene che l'intera impalcatura concettuale vichiana si regga sulle fondamenta ("pillars") della visione pedagogica.

2Vico occup� per circa un quarantennio la cattedra di retorica all'Universit� di Napoli. Se si tiene conto anche delle lezioni private, si pu� dire che spese tutta la vita a contatto con i giovani.

3Cfr. R. TITONE, "From Images to Words: Language Education in a V�chian Perspective", in: Rassegna Italiana di Linguistica Applicata, anno XXIII, n�3-Sett. Nov. 1991, p. 201. Lo studioso definisce le intuizioni pedagogiche vichiane "illuminating insights of perennial thought".

4J. T. Fox, "Vico's Theory of Pedagogy", in British Journal of Educational Studies, voL XX, N�1, Febbraio 1972, p.,36.

5G. B. Vico, Le Orazioni inaugurali, (Ed. a cura di G. G. Visconti), il Mulino, 1982, p. 195.

6Cfr.. A. PENNISI, La linguistica dei mercatanti. Guida Ed. Napoli, 1987, p. 109.

7Cito dall'edizione delle Opere a cura di A. BATTISTINI, Mondadori 1990, vol. 1. P. 967.

8G. B. Vico, Autobiografia, ed. a cura di M. FUBINI, Einaudi 1965, p.35.

9IDEM, "Le accademie e i rapporti tra la filosofia e l'eloquenza", in: A. BATTISTINI, op. cit,, p. 406.

10IDEM, "A Gherardo degli Angioli", in: BATTISTINI, cit, p. 315.

11IDEM, "Le accademie", op. cit. p. 406.

12Cfr. A. Battistini, "The Idea of Totality in Vico", in: New Vico Studies, vol. XV, 1997, p. 37; e IDEM, La sapienza retorica di G. B. Vico, Guerini e Associati, Milano 1995, p. 87. Interessante notare che anche l'antonimo "ignoranza" viene da Vico connotato come fastidio fisico: fumo negli occhi, puzza al naso, etc.

13R. Cartesio, Opere, Utet, 1992.

14G. B. Vico, Le orazioni inaugurali, ed. cit., p. 91.

15IDEM, IBIDEM.

16Sia le Orazioni inaugurali (1699-1707) che la dissertazione De nostri temporis studiorum ratione (1708), vengono raggruppate sotto il titolo "De studiorum f�nibus naturae humanae convenientibus". Nel De mente heroica (1732), le finalit� diventano "eroiche".

17G. B. Vico, Scienza nuova, degnit� 119.

18IDEM, Autobiograf�a, ed. cit., p.31.

19IDEM, Le orazioni inaugurali, cit., p. 195.

20A. PENNISI, Op. Cit., p.53.

21Cfr. J. R. GOETSCH, JR., Vico's Axioms, Yale Univ. Press, New Haven-London, 1995, p.52.

22Cfr. D. W. BLACK, "Vico, Education and Childhood", in Educational Theory, Spring 1984, vol. 34.

23A. PENNISI, op. cit., p.53.

24D. W. BLACK, op. cit., p. 111.

25Cfr. D. P. VERENE, Philosophy and the Return to Self-Knowledge, Yale Univ. Press, p. 230. La traduzione italiana, curata dal sottoscritto per conto dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, � di imminente pubblicazione.

26Sul ruolo della metafora nell'apprendimento linguistico, v. A. D'ALFONSO-M. DANESI,�Per un approccio vichiano in glottodidattica", in: Rassegna Italiana di Linguistica Applicala, anno XXII, n� 1-2 GennaioAgosto 1990.

27Scienza nuova, par. 819

28Cfr. D. P. VERENE, op. cit., p. 36.�������������������������������������������������������������������������������������������������������