Conferenza del Prof. Paolo Petazzi (Conservatorio di Milano)
"Aspetti della Fuga in musica tra il Settecento e l'Ottocento"
Salerno 30/04/2003

 
Non rispetter� del tutto il titolo che avevo scelto, perch� vorrei proporre qualche osservazione anche sulla fuga nel Novecento. Temevo di dilatare troppo il discorso; ma visto il programma dei due bellissimi concerti organizzati dalla vostra associazione, mi sembra necessario accennare almeno al rapporto tra Beethoven, Bach e Bartok. E non resisto alla tentazione di cominciare con una citazione novecentesca, a proposito dell'ultimo lavoro teatrale di Strauss, "Capriccio". Nella fase iniziale della concezione di "Capriccio", Strauss ebbe a scrivere a Clemens Krauss, con cui poi stese il libretto, che avrebbe voluto scrivere non propriamente un'opera, ma qualche cosa di simile ad una fuga teatrale, sottolineando che lo stesso Verdi nel Falstaff non aveva potuto farne a meno e menzionando infine la fuga nell'ultimo Beethoven. Sono, dice, "passatempi da vecchi", con evidente autoironia. La fuga in "Capriccio" fu inserita davvero ed � un episodio assai ampio, su un testo, un po' paradossale per una fuga, in cui si discute sul rapporto tra poesia e musica (il tema centrale di Capriccio).
 Perch� ho voluto citare questa battuta, "sono passatempi da vecchi" (Greisenunterhaltungen)? Per Strauss ovviamente mettersi a scrivere fughe, e per giunta in un lavoro teatrale, a quell'epoca (la lettera citata � del 14 settembre 1939) era una scelta paradossale; ma tutte le fughe scritte dopo Bach sono in qualche modo scelte, se non paradossali, quanto meno problematiche. Perci� un discorso di coerente ed esauriente compattezza sulla fuga dopo Bach non si pu� fare: si dovrebbe esaminare il rapporto con il "problema" fuga autore per autore, caso per caso.
Va inoltre ricordato che anche il determinante rilievo della fuga nell'opera di Bach presenta aspetti paradossali. Per Mozart, per Haydn, per Beethoven, per Schumann, nel secondo Settecento, nell'Ottocento e anche, naturalmente, nel Novecento, ad esempio per Bartok, Hindemith o Shostakovic, il punto di riferimento fondamentale per apprendere la fuga, la prima cosa da studiare, era il Clavicembalo ben Temperato. Bach compose molte altre fughe, fino all'Arte della Fuga; ma la sua opera che fece scuola, per quanto riguarda la fuga, fu, senza paragone molto pi� di ogni altra, il Clavicembalo ben Temperato, familiare a tutti i musicisti che ho menzionato. Per i compositori citati, come per noi, il Clavicembalo ben Temperato era ed � un classico, un punto di riferimento e di partenza; ma nel secolo XVIII era gi� un'opera in ritardo. Negli anni del Clavicembalo ben Temperato (come dell'Offerta Musicale, o dell'Arte della Fuga ecc.), la fuga stava gi� diventando un genere desueto. La fuga non ha un ruolo centrale nella musica del tempo di Bach e man mano che ci si avvicina alla met� del Settecento sono pi� frequenti le polemiche contro l'insistenza di Bach sulla fuga e, in generale, sulla complessit� contrappuntistica, giudicata una cosa da uomo del passato. Questo per� non riguarda la fortuna postuma di Bach, ma soltanto il rapporto con il suo tempo, quando era vivo. Tre decenni dopo la morte, proprio gli studi di Mozart sul Clavicembalo ben Temperato di cui trascrisse alcune fughe, e la Fuga per due pianoforti da lui composta sono tra le prime testimonianze di interesse per Bach. Il barone Gottfried von Swieten, uno dei mecenati di Mozart, il committente delle trascrizioni da Bach, era stato ambasciatore a Berlino dove aveva conosciuto Carl Philipp Emanuel Bach e da lui aveva imparato il culto per Johann Sebastian, all'epoca un'eccezione.
  A noi tuttavia oggi interessa il carattere di modello che ebbero ad assumere le fughe del Clavicembalo ben Temperato. Esse mostrano fra l'altro che non c'� una forma di fuga rigidamente intesa. Una fuga deve cominciare con un tema (il soggetto), che viene presentato da una delle voci e viene poi imitato nelle altre. Mentre entrano man mano le voci successive, quella che ha finito il soggetto propone un proseguimento che viene chiamato controsoggetto. Questa entrata � l'inizio canonico, canonico in senso lato e in senso stretto, di una fuga. Ci� che segue dipende dai casi. Le entrate possono essere variamente differenziate sia modulando a tonalit� diverse, sia modificando i controsoggetti, sia modificando la distanza tra una entrata e l'altra delle singole voci. E normalmente le entrate sono sezioni distinte da quelli che in italiano si chiamano divertimenti, e in tedesco Zwischenspiele (cio� intermezzi: forse � una parola che risponde meglio a ci� che rappresentano). Sono momenti in cui il compositore agisce pi� liberamente rispetto alla presentazione del tema e sono episodi che collegano le diverse entrate del tema. Poi c'�, di solito, una conclusione che comporta degli "stretti", cio�, una conclusione con l'esposizione del tema ad entrate sensibilmente ravvicinate che produce un ispessimento, una specie di crescendo che, talvolta, culmina in sonorit� piuttosto ampie.
La fuga rappresenta un modello privo di regole fisse, dove ci sono alcuni punti di riferimento (quelli che ho sommariamente riassunto), e dove tutto si pone in rapporto con un materiale iniziale. La fuga per sua natura (e qui sta il problema, in rapporto a Beethoven), non � una forma dialettica, � esattamente il contrario di una forma dialettica. La fuga diventa un modo di ricavare situazioni sempre nuove e sempre interessanti da un tema principale che viene chiamato, appunto, soggetto ed eventualmente dal tema che si pone rapporto con lui, cio�, dal controsoggetto.
 Nel Clavicembalo ben Temperato o nelle altre fughe di Bach, troviamo musica straordinaria con le pi� varie situazioni espressive; ma non contrasti dialettici. Sono inconcepibili in una fuga del tempo di Bach. Proprio per questa ragione due delle fughe di Beethoven ci appaiono uniche nella storia della fuga. Alludo alla fuga della Sonata op.106 e alla fuga op.133: qualcosa di corrispondente nella storia della fuga non esiste. Pur lavorando rigorosamente su un materiale tematico-motivico unitario, Beethoven crea dei contrasti di estrema violenza e giunge ad  una aggressivit� espressiva, soprattutto nel primo e nell'ultimo episodio  dell'op.133, che sono senza precedenti nella storia della fuga. Ma sul rapporto tra Beethoven e la fuga torneremo pi� avanti; ora � opportuno proporre qualche esempio. 
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L'ascolto di due fughe dal Clavicembalo ben temperato potr� offrire un esempio limitatissimo, ma abbastanza chiaro della variet� di situazioni espressive e formali che incontriamo in Bach. Si � gi� detto che nella fuga non c'� un modello di struttura formale rigidamente inteso. La prima fuga del Clavicembalo ben temperato non ha i divertimenti, � una fuga
giocata esclusivamente su di una serie di entrate del tema con le relative imitazioni. Sono entrate a distanza diversa, e il momento in cui creano la maggiore densit� non � la conclusione, ma la fase centrale. In 27 battute possiamo riconoscere quattro episodi seguiti da una breve coda conclusiva: la maggiore densit� si ha tra il secondo e il terzo episodio (e non, come spesso accade alla fine).
                                                                 (ascolto)
Nella seconda fuga abbiamo una tema che ha un attacco, una testa, molto caratteristica. Le prime tre note si prestano molto facilmente ad essere isolate dal resto del tema e diventano le uniche protagoniste dei cosiddetti divertimenti, in questo caso assai brevi, di due, tre o quattro battute. In confronto alla prima fuga, che ha caratteri anche espressivi del tutto diversi, non abbiamo pi� la concentrazione assoluta sulle entrate vere e proprie e le relative imitazioni, ma abbiamo anche degli episodi, e in modo non del tutto ortodosso. Di solito le battute libere dei divertimenti si cominciano a inframmezzare alle entrate dopo che la prima esposizione � stata completata. In questo caso le troviamo anche prima.
                                                                 (ascolto)
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Bach � stato il nostro punto di partenza, Beethoven sar�  quello di arrivo. Ora vorrei ricordare due esempi di rapporto con la fuga databili entrambi intorno al 1845. Se gi� prima della met� del Settecento la fuga stava diventando, agli occhi di alcuni contemporanei di Bach, una forma inattuale, a maggior ragione essa costituisce, come gi� si � detto, una scelta eccezionale e problematica nel secolo XIX. Ho notato una curiosa coincidenza cronologica tra alcune pagine di Schumann e un passo di Berlioz, di significato opposto. Nel 1845 Berlioz fin� la "Damnation de Faust" in cui incluse, rielaborandole, le "Huit sc�nes de Faust", scritte molti anni prima. L'episodio che qui ci interessa fa parte proprio delle scene scritte intorno al 1845. Siamo nella cantina di Auerbach  dove Mefistofele ha portato Faust che non si sta divertendo affatto. Uno studente, Brander, canta la canzone del topo e quando la canzone � finita dice ai suoi compagni, �per l'amen una fuga, un corale. Improvvisiamo un pezzo magistrale� (ricordo che la canzone finisce con un Amen per il topo avvelenato). Allora Mefistofele dice a Faust: �Ecoute bien ceci! Nous allons voir, docteur, /La bestialit� dans toute sa candeur �. Poi gli studenti intonano un breve fugato sulla parola amen. Berlioz ci presenta la fuga come artificio accademico ai limiti dello spregevole. C'� un'altra fuga importante in Berlioz, nella Sinfonia Fantastica, nel Songe d'une nuit de Sabbat (il quinto movimento). In un passo tra i pi� sarcastici e tra i pi� grotteschi, volutamente grotteschi, del finale della Fantastica � presentato un gioco di imitazioni che non � un vera e propria fuga, ma comincia come se lo fosse. La fuga in queste pagine di Berlioz diventa oggetto di sarcasmo, come esempio di inutile passatismo e di sciocco accademismo.
      
Nello stesso 1845, in cui Berlioz nella Damnation de Faust sbeffeggiava la fuga, Schumann si dedicava, con particolare intensit� (non lo fece solo in quell'anno) ad esercizi di contrappunto e compose le Fughe per pianoforte op. 72 e, soprattutto, le Fughe sul nome  Bach op.60, scritte per il pianoforte a pedali. Il pianoforte a pedali � uno strumento che non esiste, � uno strumento che viene sostituito oggi, nelle purtroppo rare esecuzioni, da due pianoforti o dall'organo. Si era voluta creare una pedaliera sul pianoforte che corrispondesse alla funzione della pedaliera dell'organo; ma l'esperimento non ha avuto storia. Per� i pezzi di Schumann sono di straordinaria bellezza, soprattutto le fughe sul nome  Bach, che mi dispiace non potervi far ascoltare. Schumann, dopo averle scritte, ricordava la fatica e l'impegno profusi in  questi pezzi, affermando che a nessuna delle sue composizioni aveva cos� a lungo lavorato, per non renderla del tutto indegna del grande nome che portava. L'omaggio a Bach, con la citazione delle lettere musicali ( il nome Bach corrisponde alle note si bemolle, la, do, si) ha una storia lunghissima che non riguarda soltanto la storia della fuga, ovviamente. Tra le fughe vere e proprie dobbiamo citare almeno un bellissimo pezzo di Liszt, che esiste in versione sia pianistica che organistica, e una pagina di Reger.
Che cosa rappresenta per Schumann il rapporto con Bach e con la fuga? Bach, in generale, rappresenta un punto di riferimento fondamentale, perch� l'idea che Schumann aveva della musica era comunque un'idea di natura contrappuntistica. Ed era naturale per lui e per i suoi contemporanei studiare il contrappunto sul Clavicembalo ben temperato e in tutto Bach. Tuttavia, una cosa � pensare la musica in termini contrappuntistici e una cosa ben diversa � scrivere delle fughe. Queste fughe Schumann le compose in un momento di crisi personale piuttosto grave. Ci� � evidente sia nell'insistenza su esercizi contrappuntistici in quegli anni, sia nelle sue dichiarazioni del periodo dei pezzi che ho citato, op.72 e op.60: l'idea � quella di Bach e della fuga come rifugi in un valore acquisito e sicuro, come qualche cosa di rasserenante e rassicurante. Esattamente l'opposto di come Berlioz vede la tradizione della fuga. La contrapposizione ci serve anche a mostrare come, in realt�, quando si parla di romanticismo, il termine viene riferito a poetiche radicalmente diverse. Se si usa, come � forse inevitabile, la stessa etichetta di romantico sia per Berlioz che per Schumann, si deve ricordare che per l'uno e per l'altro ci sono ragioni del tutto differenti.

 

Abbiamo cercato di definire quale sia l'atteggiamento di Schumann, la sua visione della fuga come rifugio, come cosa che appartiene al passato, che viene vissuta come ripensamento di quel passato, con una nuova intensit� poetica, ma in  chiave, diciamo cos�, rassicurante. Alla stessa prospettiva, per cos� dire, di rifugio rassicurante possiamo a grandi linee ricondurre il clima spirituale in cui si collocano tutti quelli che hanno scritto fughe dopo il 1845, ovviamente in modi diversissimi. Con un salto di un secolo in questo ambito possiamo collocare anche un'opera molto singolare e, cio�, il Ludus Tonalis di Hindemith che nasce nel 1942 come un vero e proprio rifacimento del Clavicembalo ben Temperato, adattato alla visione della tonalit� che aveva lo stesso Hindemith e proposto polemicamente in un'epoca in cui la tonalit� per moltissimi dei pi� grandi compositori era morta, o, comunque, quasi, agonizzante (gli ultimi Lieder di Strauss sono del 1949, per� sono, appunto, casi isolati, capolavori scritti con linguaggio tonale). Hindemith nel 1942 era totalmente consapevole di essere un passatista nel suo rapporto con la tonalit� e con la forma della fuga, proponeva una riflessione retrospettiva con una forte implicazione polemica. Con risultati musicali affascinanti nel Ludus Tonalis, che � proprio un caso di altissimo manierismo, di altissimo ripensamento del passato.
Il Ludus Tonalis non � concepito come successione di preludi e fughe. C'� un pezzo introduttivo, praeludium, un post-ludium alla fine, che, con un virtuosismo compositivo notevole, � il retrogrado del praeludium. Poi ci sono 12 fughe con i rapporti tonali che Hindemith ha ripensato alla luce della sua concezione della tonalit� (quindi non secondo la successione dei 24 preludi  del Clavicembalo ben Temperato). Le 12 fughe sono separate da interludi, di forma libera e di carattere molto vario. Le fughe sono di carattere un po' meno vario. Prevale, direi, la nobilt� meditativa che troviamo, per esempio, nella prima fuga.
                                                      (ascolto)
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Un atteggiamento, direi, opposto, anche se non polemicamente opposto, � quello di Bart�k. L'inizio del Primo quartetto di Bartok, come avete avuto modo di sentire dal vivo, si rivela quasi un omaggio all'incipit del Quartetto op. 131, giustamente inserito nello stesso concerto. C'�, infatti, un tema presentato in imitazione: non �, ovviamente, uguale al tema di Beethoven; ma ha un profilo ricurvo che, in qualche modo, lo rievoca. Bart�k, in una sua dichiarazione degli anni della maturit�, in un'intervista in occasione della prima esecuzione della Sonata per due pianoforti e percussioni, ebbe a dire che, secondo lui, la musica moderna doveva ripensare in chiave attuale la lezione di Bach, Beethoven e Debussy, tre nomi difficili da mettere insieme. (Nel caso di Bart�k dovremmo necessariamente poi aggiungere il fondamentale rapporto con i linguaggi nuovi che erano improntati al folclore, ai suoi studi di etnomusicologo, alle tradizioni popolari. Talvolta erano trascrizioni, ma nelle opere principali, si tratta di folclore inventato). Menzionando come punto di riferimento Debussy, Bartok rende omaggio ad un autore la cui influenza in modo diretto � avvertibile, soprattutto, direi, in una fase giovanile. In senso ideale allude forse al rilievo determinante dell'invenzione timbrica. Nel rapporto di Bart�k con Bach e Beethoven, invece, l'aspetto che riguarda il linguaggio contrappuntistico e anche, specificamente, la fuga, � sicuramente importante. Fughe in senso accademico Bart�k non ne ha scritte, per�, nelle due opere centrali della maturit�, alle soglie dell'ultimo periodo, la Musica per archi, pianoforte e celesta e la Sonata per due pianoforti e percussione, il primo tempo � impostato in una chiave rigorosamente contrappuntistica secondo un criterio che Mila ha chiamato, con un'immagine suggestiva, di �contrappunto germinale�. Ed � uno degli aspetti che rende questa costruzione qualcosa di completamente nuovo. Si parte da un nucleo minimo, da un germe che, preso a s�, � poco pi� che una successione cromatica di poche note, quasi inesistente; si parte da sonorit� vicine al silenzio, pianissimo, e a poco a poco, per successive imitazioni e, addensando sempre di pi� la polifonia, si costruisce un grande crescendo, dopo il quale, nel caso, per esempio, della Musica per archi, percussioni e celesta, dal punto culminante si ritorna indietro, per finire in pianissimo.
Se devo pensare a Beethoven, la cosa che mi sembra pi� vicina, idealmente, a questo Bart�k non � la Grande fuga, ma proprio, di nuovo, l'opera 131, sebbene non presenti affatto lo schema che adesso ho descritto, e, soprattutto, non parta dal nulla, ma da un'idea carica di una intensit� dolorosa sconvolgente. Non � una fuga l'inizio del Quartetto op. 131, � un pezzo in cui � fondamentale il contrappunto imitativo, ma non una fuga in senso accademico. Proprio il senso di svolgimento aperto mi sembra che crei una suggestione forte sul pensiero di Bart�k fino all'avanzata maturit�.
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Soffermiamoci ora brevemente sulla Grande Fuga op.133,  che � stata eseguita nel concerto del aprile.
La Grosse Fuge (Grande Fugue, tant�t libre, tant�t recherch�e), pubblicata da Artaria a Vienna nel 1827, con dedica all'Arciduca Rodolfo, era stata concepita come sesto e ultimo tempo del Quartetto in si bemolle maggiore op.130 (1825), eseguito per la prima volta dal quartetto di Schuppanzigh il 10 marzo 1826. Nella forma originaria era il pi� lungo e arduo degli ultimi quartetti, con la gigantesca fuga di 741 battute come conclusione: dopo questa esecuzione le generali perplessit�, in particolare quelle dell'editore, convinsero Beethoven ad accogliere la proposta di Artaria di pubblicare la fuga separatamente, se l'op.130 avesse avuto un nuovo Finale. L'incantata leggerezza del nuovo Finale, composto nel 1826, muta radicalmente l'architettura complessiva dell'op. 130: resta aperta (e non pu� essere qui approfondita) la discussione sul significato del ripensamento di Beethoven. A partire da Romain Rolland c'� chi vede nella sua decisione una dolorosa rinuncia dettata solo da condizionamenti esterni (di fatto la Grande Fuga appare concepita per integrarsi nell'op.130), e c'� chi ritiene che Beethoven si fosse persuaso della necessit� di un diverso equilibrio d'insieme. E' anche lecito pensare che entrambe le versioni rappresentino l'autenticit� del pensiero beethoveniano (come credere che l'autore degli ultimi quartetti avrebbe accettato un condizionamento puramente esterno?) in due fasi successive, e dunque apprezzare l'architettura pi� calibrata del Quartetto op.130 come fu pubblicato (postumo) e non rinunciare all'idea originaria che ne faceva �il pi� mostruoso di tutti i quartetti�. Cos� lo definisce un personaggio del Doktor Faustus di Thomas Mann, Wendell Kretzschmar, in una delle sue conferenze sul tardo stile di Beethoven (pagine nelle quali si riconosce la consulenza di Adorno), ricordando l'effetto sconvolgente che la Grande Fuga, uno dei culmini pi� ardui e arditi fra gli ultimi quartetti, suscit� fra i contemporanei e anche per molto tempo dopo la morte di Beethoven (alla cui sordit� furono imputati molti aspetti originalissimi della scrittura del pezzo).
�Quel brano era risultato terribile per il sano orecchio dell'epoca, che si ribellava a quanto l'autore, non condizionato dalla capacit� di udire, aveva avuto la temerariet� di escogitare: cio� una zuffa selvaggia di voci strumentali smarrite nelle supreme altezze e nelle massime profondit�, voci figurate in modo svariato e incrociantisi con passaggi irregolari e attraverso dissonanze diaboliche, dove gli esecutori, poco sicuri di s� e di tutta la faccenda, avranno suonato in modo approssimativo completando la babilonia. Era sconvolgente, diceva l'oratore, vedere come il difetto fisico avesse dato ali  all'ardimento spirituale... In questo modo di trattare la fuga si pu� notare quasi un odio e un desiderio di violentarla, un rapporto difficile e da cima a fondo problematico con questa forma d'arte...�.
Resta memorabile quest'ultima definizione del rapporto di Beethoven con la fuga, rapporto problematico che costituisce uno degli aspetti caratterizzanti del "tardo stile" (basti pensare, fra l'altro, ai tempi conclusivi delle Sonate op.101, 102 n.2 e 106, e alla Missa solemnis) e che culmina nell'op.133. La violenza esercitata sulle strutture e sul carattere dell'antica forma si manifesta nella lacerante evidenza dei contrasti, e nella rigorosa, aspra e arditissima capacit� di costruire edifici polifonici senza precedenti: non stupisce che abbia suscitato molte diverse interpretazioni l'articolazione della Grande Fuga in tre sezioni precedute da una introduzione.
L'introduzione (chiamata "Overtura") presenta in forme ritmiche diverse (che ritroveremo nel corso del pezzo) il teso e angoloso tema di otto note che dell'intera fuga costituisce il nucleo fondamentale (alla terza ripetizione segue anche la fuggevole presentazione di un'idea che sar� determinante nella seconda sezione). Il carattere grave e solenne di questo inizio cede il posto alla aspra violenza di una fuga in cui il soggetto presenta una aggressiva energia ritmica inesorabilmente scandita, e si differenzia nettamente dal tema fondamentale, che funge qui da controsoggetto. La sezione seguente ("Meno mosso e moderato") segna un contrasto nettissimo: qui il tema fondamentale si intreccia con la tenera idea fuggevolmente presentata nell'introduzione. Il violoncello si spinge in un registro molto acuto (una delle "stranezze" attribuite alla sordit� di Beethoven) e nella sospesa dolcezza di questa pagina viene individuato un colore di arcana, indefinibile suggestione. All'oasi della seconda sezione segue l'ampio "Allegro molto e con brio", interamente basato sul solo tema fondamentale, di cui per la prima volta nel corso della Grande Fuga viene messo in evidenza il trillo conclusivo. Nella complessa e rigorosa costruzione di questa sezione l'unico tema protagonista � sottoposto ad elaborazione anche con criteri che, pi� che a una fuga, potrebbero appartenere ad uno sviluppo di sonata.
Il carattere utopico della mostruosa difficolt� del pezzo fa parte del pensiero di Beethoven. Questa difficolt� non � irrealistica nel senso che non si possa suonare; ma il fatto che si debba suonare facendo il massimo sforzo fa parte della concezione compositiva del pezzo. Ci� vale anche per la scrittura pianistica della fuga dell'opera 106. Sottolineo ancora la frase fondamentale di Thomas Mann: �in questo modo di trattare la fuga si pu� notare quasi un odio e un desiderio di violentarla, un rapporto difficile e da cima a fondo problematico con questa forma d'arte�. Queste parole assai spesso citate definiscono in modo perfetto il senso del pensiero della Grande Fuga ed anche della fuga dell'opera 106.

 

Non conosciamo dichiarazioni di Beethoven su questi capolavori. Sappiamo che si era limitato a dire: �il comporre una fuga non � grande arte, ne scrissi a dozzine quando ero studente, ma anche la fantasia reclama insistentemente i suoi diritti e oggi la forma tradizionale deve essere permeata da un altro elemento genuinamente poetico�. Queste parole non appartengono, pare, agli anni della Grande Fuga, ma agli anni della Sonata pianistica op.110 che ora vorrei ricordare come esempio di un modo beethoveniano di pensare la fuga radicalmente diverso da quello della sonata op.106 o dell'opera 133. In modi diversi coesiste in questi due pezzi la capacit� di interpretare lo spirito della fuga nel senso della concentrazione rigorosa del lavoro compositivo su un materiale limitato e unitario, mettendo in gioco tutti gli artifici per ottenere un risultato opposto allo spirito che era sempre stato della fuga, al rifiuto cio�, di ogni dialettica. � un tentativo di drammatizzare qualche cosa che per eccellenza non dovrebbe essere drammatizzato.Ci� vale per l'opera 106 e per l'opera 133 in massimo grado e si riconosce in pezzi non cos� rigorosi, non cos� ampi, non cos� impegnativi, ma sempre tendenti alla tensione energetica, come il finale dell'op. 101, e il finale della sonata per violoncello pianoforte op. 102  n. 2 dello stesso anno dell'op. 101.
Ma nell'op.110 abbiamo qualcosa di profondamente poetico e completamente diverso. Qualche cosa che mi sembra, piuttosto, avvicinarsi idealmente alla dimensione di Schumann: in senso puramente ideale, lo sottolineo,  perch� Schumann non ha mai fatto una cosa cos� ardita e ha scritto delle fughe molto pi� regolari. Ripeto, la fuga in Beethoven resta un episodio storicamente a s�, nel senso che non c'� nulla di paragonabile, di cos� sconvolgente. Nell'opera 110 la fuga � preceduta da una introduzione lenta, un recitativo in cui Beethoven sembra trascendere i limiti della tastiera del pianoforte rendendola "parlante" e un desolato "arioso dolente" (klagender Gesang), un lamento di indicibile intensit� dolorosa, in cui in alcuni momenti anche la distanza tra la mano destra e il semplice accompagnamento in accordi ribattuti contribuisce ad evocare un infinito smarrimento. Dalla cadenza in cui si spegne questo lamento, senza interruzione, fiorisce il pacato, limpido attacco della fuga, che rappresenta l'anelito a ritrovare una razionale, umanistica fiducia (ed � quindi radicalmente diversa dalla fuga che conclude la Sonata op. 106 con aspra, convulsa complessit�). La fuga si svolge inizialmente in modo sommesso, approda ad un duplice esteso crescendo e si interrompe improvvisamente sulla settima di dominante di la bemolle per riprendere l'Arioso dolente: "Ermattet, klagend" (Perdendo le forze, dolente) scrive Beethoven evocando uno stato di prostrazione che si manifesta nel frantumarsi della melodia del lamento. Al suo estinguersi la ripetizione di un accordo in crescendo annuncia una nuova sicurezza, e riappare, in una luce quasi irreale, la fuga rovesciata  (nella direzione degli intervalli), e questo ritorno sembra portarci una sorta di ideale salvezza. La fuga, in questo caso, � intesa non come qualcosa da violentare con odio, come dice la frase di Mann, ma come rifugio, come sicuro approdo, in una dimensione che rispetto alla soggettivit� estrema e dolentissima dell'arioso dolente  diventa qualche cosa di oggettivato. In un italiano approssimativo Beethoven scrive "poi a poi di nuovo vivente" (nach und nach wieder auflebend): nel suo svolgimento, dopo la diminuzione ritmica dello stretto, la fuga approda alla luminosa affermazione conclusiva, in cui viene abbandonata la scrittura contrappuntistica.
                                                                                (ascolto)
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Mi scuso della frammentariet� del mio discorso, insita, credo, nell'argomento che mi � stato proposto di trattare. Per circoscrivere l'argomento, che potrebbe essere infinito, ho omesso completamente il problema della fuga nella musica sacra, perch� sta a s�. Scrivere una fuga strumentale implica un ordine di problemi, confrontarsi con la tradizione sacra, che in determinati luoghi prevede pressoch� d'obbligo la fuga, � un'altra cosa. Tuttavia della conflittualit� del rapporto di Beethoven con la fuga si potrebbe parlare anche a proposito della Messa Solenne.

 

PS   Nella conversazione con i presenti alla fine della conferenza si � accennato alla storia della fuga prima di Bach. Fra i temi non toccati nella conferenza si � anche accennato a un aspetto della trattatistica dell'et� barocca che paragona le sezioni della fuga alle sezioni del discorso secondo la retorica, Expositio, confirmatio, commentatio e via dicendo. Si � citato Manfred Peters, che sull'argomento sta scrivendo un libro (di cui � uscita un'anticipazione nel n. 119 di "Musik-Konzepte", con il titolo "Johann Sebastian Bach. Was heisst Klangrede?"), per cercare di dimostrare che queste categorie della retorica possono essere applicate alle fughe di Bach.
Accennando poi al diverso atteggiamento di chi vede Bach in chiave puramente astratta e di chi propone della sua musica precise interpretazioni semantiche, si � accennato ad una lettura della Ciaccona (dalla Partita in re minore per violino solo) che ha ispirato anche una singolare registrazione della ECM con Christoph Poppen e lo Hilliard Ensemble, pubblicata con il titolo Morimur (ECM  1765   461 895-2). Si basa sugli studi che Helga Thoene, una docente di violino, ha dedicato alle Sonate e Partite per violino solo di Bach e alla loro interpretazione semantica. Secondo la Thoene la Ciaccona � un vero e proprio tombeau, un omaggio funebre di Bach alla moglie Maria Barbara prematuramente ed improvvisamente scomparsa nel 1720. Fra gli aspetti del celebre pezzo che rivelano questa intenzione la Thoene mostra la presenza "nascosta" (non udibile; ma riconoscibile studiando a fondo il testo musicale) di diverse melodie di corali, scelte in rapporto al significato di cui si � detto. La singolarit� della registrazione consiste nel fatto che, dopo i corali e la partita in re minore eseguiti separatamente, presenta la Ciaccona insieme con i corali, inseriti in modo da rendere udibile la loro citazione "nascosta".

 

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