DIALOGO SU IMPERO E DEMOCRAZIA

(articolo tratto dalla rivista bimestrale MicroMega, n�5 anno 2001)

 

 

Roberto Esposito: Vorrei partire da un punto d�accordo prelimi�nare con l�ultimo libro di Negri (Empire, scritto in collaborazione con Michael Hardt), prima di venire agli aspetti della sua pro�spettiva che mi paiono pi� problematici. Nonostante i tragici eventi che ne hanno drasticamente mutato i connotati, anche a me la globalizzazione in quanto tale sembra un processo integrale ed irreversibile. Integrale nel senso che � la forma - non soltanto economica o tecnologica, ma anche logica ed ontologica - che ha assunto oggi il mondo. Mondializzazione, intesa in termini filoso�fici, significa non solo che ogni punto del mondo � connesso in tempo reale ad ogni altro, ma che non � immaginabile nessun punto esterno al mondo. Che il mondo non presuppone nulla che lo preceda o che lo segua. Esso coincide interamente e senza scar�ti con se stesso. Oltre che integrale, la mondializzazione � anche irreversibile. Perch� � vero che essa � un'epoca, come lo � stata la modernit� o l�et� di mezzo. Ma - ecco la differenza rispetto ad es�se - si tratta di un' epoca che mette fine alla stessa idea (storicisti�ca) di successione lineare delle epoche. Che revoca in causa il me�desimo concetto di storia, come lo abbiamo fino ad ora utilizzato. Non che la storia sia finita - ma certo siamo entrati in una di�mensione storica del tutto nuova, orizzontale e sincopata, in cui la simultaneit� degli eventi scardina ogni ordine di successione tra il prima e il dopo. Mai era accaduto che in un quarto d'ora - parlo del pomeriggio dell�11 settembre - il mondo cambiasse cos� improvvisamente e radicalmente. Da questo punto di vista la mondializzazione non � soltanto un'epoca diversa, ma un diverso regime di senso.

Che la globalizzazione sia un processo integrale e irreversibile � d'altra parte provato dal fatto che anche le forme di resistenza pi� virulenta ad essa si muovono all�interno delle sue coordinate, adoperano il suo stesso linguaggio, fanno uso delle stesse armi, ideologiche e reali, che pure contestano. La circostanza che per�sonaggi come Bin Laden non solo traggano le proprie risorse da giri finanziari interni all�Occidente, ma siano stati formati dai servizi americani e pakistani in funzione antisovietica, indica che bisogna guardare allo scontro in atto non come ad un conflitto tra sistema ed anti-sistema, ma come ad un conflitto interno al e pro�dotto dall'unico sistema-mondo. Ci� vale anche per quel che ri�guarda il piano dell'immagine. Non esistono due rappresentazioni diverse ed alternative, ma una lotta per l'egemonia nell'unico orizzonte rappresentativo possibile: quello mediatico. Da questo punto di vista non riesco a immaginare nulla di pi� profonda�mente intrinseco alla dinamica globale di quanto � accaduto, in�sieme nella realt� e nell'immaginario collettivo, l'11 settembre. Direi che quell'atto - la sua effettuazione e la sua comunicazione: � in fondo la stessa cosa - � stato forse il punto pi� estremo rag�giunto dalla freccia della globalizzazione. Ora, se tutto ci� � vero, vuoi dire che � insensato delineare scena�ri politici, economici, antropologici alternativi alla forma globale che ha assunto il mondo. E ci� non soltanto per il loro carattere ineffettuale, utopico, residuale; ma anche perch� tutte le forme di neolocalismo identitario ed autocentrato sono esse stesse il risul�tato controfattuale, una specie di rimbalzo ideologico, della me�desima globalizzazione che vorrebbero contrastare. Dalla globa�lizzazione, insomma, non si esce, dal momento che essa non � un interno cui si possa contrapporre un esterno - ma esattamente l'abolizione della differenza tra intemo ed estemo, l'intemalizzazione di ogni intemo. Come ha dovuto sperimentare anche Bush, neanche l�isolazionismo americano � pi� possibile. Neanche il centro della globalizzazione pu� sfuggire al rapporto globale con i pezzi che lo circondano.

Toni Negri: Sono d'accordo con Esposito: effettivamente la globa�lizzazione � irreversibile - da questo punto di vista mi pare che abbia ragione persino Fukuyama quando sostiene che il quadro������ attuale di definizione della civilt� � insuperabile. Non solo, ma aggiungo che tale irreversibilit� � anche desiderabile perch� porta dentro di s� un processo rivoluzionario. Il problema � che alcune forze cercano di controllarla, di gerarchizzare nuovamente il mondo. � vero, dunque, che la globalizzazione � in s�ontologicamente, come diceva Esposito - irreversibile, vale a dire irresistibile ed irriducibile. Restano per� le questioni che essa pone: in particolare i due grandi fenomeni della trasformazione del lavoro, diven�tato sempre pi� immateriale, mobile, flessibile, e della dissoluzio�ne dei territori sui quali il controllo dei processi in atto pu� essere effettuato.

La prima trasformazione ha distrutto il tradizionale assetto disci�plinare dei processi lavorativi perch� ha riportato il lavoro, i suoi strumenti, nella testa degli uomini, ne ha fatto delle protesi della corporeit� dei lavoratori. Il secondo fenomeno � quello della fine dello Stato, di questo Stato barbarico - perch� tale si � rivelato lo Stato-nazione da Verdun ad Auschwitz. Ora, appunto la fine del�lo Stato-nazione ha riproposto il tema della gerarchizzazione del mondo, del suo controllo, confrontandosi ai problemi cui prima facevo riferimento. Che fare, come intervenire, come riorganizza�re il mondo dentro questo nuovo quadro? � evidente che non era possibile che le cose continuassero ad andare in questo modo. La caduta delle bombe sul Pentagono e soprattutto sulle Torri Ge�melle costituisce davvero il segnale della fine del sogno progressi�sta della globalizzazione e delle tentazioni dell�unilateralismo, comunque ed ovunque motivato. Con quell'evento � emerso in mo�do chiaro il conflitto tra coloro che stanno al gioco della presente globalizzazione e di questa nuova corporeit� del mondo, e - di contro - le potenze trasversali che invece vogliono arrestare tale processo.

Salvatore Veca: Su alcune delle cose dette sono d'accordo anch'io: che i processi di globalizzazione abbiano in qualche modo alterato e modificato radicalmente il paesaggio cui eravamo abi�tuati � un fatto; che ci� abbia generato, fra gli altri, i due effetti di cui parlava Negri - relativi alla questione del lavoro e a quella del territorio, con la connessa crisi o pi� semplicemente con il connesso cambiamento nei modi e nella portata dell'esercizio di sovranit� - � un altro fatto indiscutibile. Tuttavia a questo punto credo sia opportuno introdurre alcuni elementi di riflessione pi� problematica e intellettualmente pi� scettica rispetto al discorso che Esposito e Negri sembrano condividere a proposito di ci� che hanno definito come il carattere �ontologico� del processo in corso. Non mi � chiaro che cosa voglia dire il riferimento all�ontologia o a una ontologia e, in genere, tendo a favorire filosoficamente un uso pi� parsimonioso di questa espressione con altri scopi teorici. Per esempio, � verissimo che sono in atto trasformazioni del lavoro che tendono a caratterizzarlo in termini di immaterialit� - e che ci� determina un collasso dei disciplinamenti del lavoro stesso co�me li abbiamo finora conosciuti. Ci�, tuttavia, non toglie che in questo pianeta unificato, ma anche spezzato e diviso, dai processi di globalizzazione esiste un grande, grandissimo numero di perso�ne che in realt� sono in condizione di schiavit�. Da questo punto di vista di immateriale sembra vi sia davvero assai poco. Voglio dire che a questa trasformazione del lavoro in una parte del mon�do corrispondono deserti di degradazione, uso di esseri umani co�me arnesi, sfruttamento, povert� e sofferenza in un'altra.

Quanto alla crisi della sovranit�, non c'� dubbio che la globalizza�zione alteri la geografia stabile dei confini e ci� naturalmente erode e riduce il potere di azione di quelle agenzie radicate nel quadro territoriale che sono gli Stati-nazione. Ma � anche vero che alla di�minuzione della capacit� operativa degli Stati corrisponde l'insorgenza di nuove domande di Stato. Bench� sottoposte a forti muta�zioni, insomma, le �lite del potere permangono tali anche nel qua�dro per certi versi drasticamente mutato. D'altra parte, per rispon�dere alla domanda posta da Negri sul futuro della globalizzazione, credo sia preferibile intellettualmente non concepirla come un pro�cesso o un insieme di processi basati su una qualche ferrea ed ine�sorabile legge della storia - altrimenti non resterebbe che seguirne il corso predestinato senza potere intervenire in alcun modo. L'uni�co criterio per agire e orientarsi nel pianeta conteso sarebbe quello dettato da una qualche �etica del parto�. N�, propriamente, vi sa�rebbe alcuno spazio, grande o piccolo che sia, per impegnarsi seria�mente nel giudizio politico: e questo � propriamente quanto mi sta a cuore. Sono convinto che la migliore filosofia politica debba met�tersi alla prova nella ricerca dei criteri del giusto e dell'ingiusto ai tempi della globalizzazione. Infine, si consideri che il termine stesso di �globalizzazione� � tutt'altro che univoco. Anzi, sappiamo che sul suo significato � da tempo in atto un'ampia controversia. Per�ch� � vero che � in corso un processo di globalizzazione finanziaria, produttiva, e tecnologica - ma ci� non toglie che esistano, nello stesso mondo diviso e condiviso, miliardi di persone le cui vite sono inchiodate severamente e durevolmente a nicchie locali. E d'altra parte, � noto che si diano identit� collettive che si costituiscono in movimenti, i quali, pur se innescati dagli stessi processi di globaliz�zazione, da altro punto di vista li contrastano. Per concludere, vedo un mondo che presenta gli aspetti sottolineati da Esposito e Negri, ma non privo di elementi di opacit� e di ambiguit�, generati dalla simultanea presenza di altri elementi che rendono il quadro alta�mente contraddittorio e pi� esposto all'incertezza per noi osserva�tori o partecipanti.

Esposito: Mi pare che da questo giro iniziale di interventi emerga una prima differenza di prospettiva, ma anche di metodo e di lin�guaggio: mentre Negri lavora su concetti e lessici in forte disconti�nuit� rispetto alla tradizione moderna, Veca � pi� prudente, sotto�linea maggiormente le continuit� e le viscosit� che, nonostante il cambiamento di scenario, legano i fenomeni attuali alla situazione precedente. Basti pensare al fatto che, sul terreno filosofico - politico, in qualche modo riprende - sia pure rinnovandola - la temati�ca moderna del contratto. Personalmente non solo ritengo un'ope�razione di forte innovazione lessicale - e dunque concettuale - del tutto necessaria, ma potrei dire che ho dedicato ad essa tutto il mio lavoro dell�ultimo decennio. Tra il significato manifesto e l'orizzonte di senso delle grandi parole dell'Occidente (compresa quest'ultima) vi � sempre stato uno scarto pi� o meno ampio. La mondializzazione lo ha allargato a dismisura. Usare termini come����� �individuo� e �comunit� - ma anche �guerra�, �potere�, �sovra�nit� come li usavano Hobbes, Spinoza o Kant - mi pare vera�mente improduttivo: non afferreremmo nulla di quanto sta acca�dendo. Tutte le classiche bipolarit� tra pace e guerra, polizia e ap�parato militare, politica interna e politica estera sono diventate in�servibili in un mondo che non conosce pi� differenza tra �dentro� e �fuori�, che ha interiorizzato ogni esterno. La stessa categoria di terrorismo � radicalmente cambiata nel momento in cui il terrori�sta � pronto a condividere la vita e la morte delle proprie vittime. Naturalmente � vero che i processi di mutamento storico - concet�tuale non sono mai lineari - che si formano cristallizzazioni lessi�cali capaci di sopravvivere al loro tempo, che ogni trasformazionereca dentro di s� traccia di ci� che trasforma. Ma a mio avviso un punto di svolta radicale c'� stato ed � tale da richiedere formula�zioni, chiavi di lettura, categorie interpretative del tutto nuove. Mi pare che nessun mestiere, pi� di quello del filosofo, richieda questo sforzo di radicalit�. Naturalmente il tema della mondializzazione ha mille facce, mille angoli prospettici, tiene dentro di s� un aspetto e il suo contrario, ma il mutamento di senso, prima ancora che di significato, rispetto a tutto il passato � fortissimo. Siamo ad un passaggio di fase non diverso, per intensit�, da quel�lo che alla caduta dell�Impero romano ha fatto ruotare intorno al proprio asse l�intera civilt� occidentale. � in questo senso che parlavo prima di �ontologia�: il mutamento non attiene solamen�te alle categorie della politica e dell�economia, ma a qualcosa che sta ancora prima e che riguarda la nostra esperienza in tutti i suoi aspetti individuali e collettivi.

Negri: Partiamo allora da una definizione pi� precisa. Globaliz�zazione � il �dolce� mercato mondiale - lo dico con tutta l�ironia del caso - che poi si consolida enormemente nella cooperazione informatica di tipo finanziario: si costituisce l�ambito di vita non solo delle �lite occidentali, ma di tutto il mondo. La modernizzazione globale � esattamente la tendenziale identificazione di que�ste �lite: io sto bene perch� investo in azioni di Wall Street, i miei figli saranno intelligenti perch� vanno a studiare a Harvard. Que�sto lo dice il capitalista nigeriano come il mafioso russo, il mem�bro della classe dirigente americana come quello delle famiglie industriali europee, i nuovi gerarchi balcanici come i ricchi petro�lieri del Medio Oriente. C'� questa profonda unit� della classe di�rigente mondiale che si � completamente realizzata in termini non solo politici, ma anche di valori condivisi. Dietro gli uomini, le strutture: si � affermata una nuova lex mercator�a che ha sottrat�to agli Stati la capacit� di validare i contratti: pare che circa l�80 per cento dei contratti oltre una certa quantit� di denaro sia validato direttamente da accordi stipulati in studi di avvocati - anche se tutto ci�, come ha dimostrato a suo tempo Polanyi, non pu� essere definito semplicemente mancanza di Stato.

Su questo dato di realt� credo possa essere d'accordo anche un contrattualista convinto e intelligente come Veca: il mercato in quanto tale non esiste se non nelle forme di una organizzazione po�litica sottostante. Il problema naturalmente � quello della quantit� e della qualit� del controllo del potere. Essi sono determinati da diversi fattori, il primo dei quali � costituito dalle lotte operaie del pensiero fordista. La globalizzazione non ci sarebbe mai stata sen�za le lotte. Le lotte operaie hanno determinato l�inflazione nei pae�si capitalisti avanzati e cos� hanno reso impossibile governare attraverso lo spazio nazionale in Europa e nella stessa America. Poi la rivoluzione anticoloniale ha impedito che continuasse l�espansione imperialista degli Stati-nazione. La globalizzazione e le sue forme politiche nascono da questo deficit ontologico - e quando parlo di ontologia, parlo di spazio, di tempo, di conflitti, di cose - dun�que - maledettamente concrete. In Italia � impossibile controllare i salari - questa � un'affermazione ontologica; negli Stati Uniti � im�possibile controllare il numero delle armi, quante sono veramente - questa � appunto ontologia. Oltre certe soglie ontologiche, noi entriamo in nuove epoche storiche. � quanto avviene oggi per la costituzione dell�Impero. Solo che, contemporaneamente, noi sia�mo anche entrati nel quadro di una lotta feroce tra clan rivali del capitalismo per il dominio su questa globalizzazione. Quanto al discorso di Esposito sul lessico politico, mi pare che siamo nella situazione di una persona che entrava nella guerra dei Trenit�anni, tra il 1618 e il 1648: il nuovo lessico lo conoscere�mo solo alla sua conclusione. Ma non � la globalizzazione che de�termina la possibile modificazione del vocabolario, quanto la tra�sformazione delle forme di vita, la maniera in cui le moltitudini si affacciano alla storia. Quando il lavoro diventa comunicazione, linguaggio; quando il tempo di lavoro diventa flessibilit� e mobi�lit�; quando la societ� produttiva diventa realt� sociale, allora non possiamo pi� separare il tempo del lavoro dal tempo della vi�ta e tanto meno dal tempo della sua riproduzione. Ebbene, quan�do ci� accade, il linguaggio moderno, tutto il linguaggio della modernit�, perde di signif�canza.

Veca: Anch'io per globalizzazione intendo un insieme di requisiti e propriet� che investono e consentono di riconoscere in modo sufficientemente preciso processi o fenomeni di tipo finanziario, tecnologico o comunicativo che non dipendono dal riferimento a localizzazioni, a territori o a Stati determinati. Vorrei per� ripren�dere uno spunto di Negri relativo al problema delle �lite. Io sono d'accordo con lui che di globale ci siano esclusivamente le �lite dei paesi ricchi...

�������� Negri: Scusami, Veca, anche il Terzo Mondo si � generalizzato ed � globale. Non sono solo le �lite che si sono globalizzate, ci sono anche i poveracci. Le torri e i ghetti si ripetono simili, a Los Angeles e a Bangkok.

Veca: Appunto, stavo arrivando esattamente a questo. Tu fai l'elogio del lavoro immateriale o comunque accetti questo proces�so e lo leggi, lo interpreti secondo un tuo modo di vedere le cose. Poi ricordi che ci sono i poveracci. Ma, come accennavo prima a proposito del quadro opaco e incerto, i poveracci, gli oppressi, le persone, singoli o moltitudini, che vivono in condizioni di disu�mano svantaggio, tutti costoro con il lavoro immateriale non han�no niente a che vedere. Da questo punto di vista, rispetto al mo�dello classico degli ultimi 100-150 anni, l'attuale sistema presen�ta forse una singolare novit� su cui ha recentemente richiamato l�attenzione Alessandro Pizzorno, e cio� il fatto che, mentre prima vi era ineguaglianza, sfruttamento e quindi conflitto tra ceti ricchi e ceti poveri, oggi i primi non hanno pi� bisogno dei secondi. � come se non ci fosse pi� rapporto tra le �lite globalizzate e le moltitudini. E vero che la lex mercatoria impera...

Negri: Imperava, perch� la lex mercatoria � andata in frantumi l�11 settembre...

Veca: Non credo: la questione non � in termini di s� o no, ma di gradi, di pi� o meno. C'� stato un enorme aumento di quanto vie�ne affidato ad accordi che si sottraggono a norme che non siano prodotte dagli accordi stessi. Da qui il potere sempre decrescente delle �lite politiche, la progressiva debolezza - gi� a partire dagli anni Settanta - della politica rispetto ad una variegata gamma di poteri sociali entro e al di l� dei confini che hanno ripreso forza. Venendo alla questione posta da Esposito sul lessico politico, pen�so che le cose stiano pi� o meno cos�: quando siamo immersi in processi di cambiamento, ci troviamo di fronte a fenomeni che ci sono familiari e ad altri che ci appaiono incerti. Allora cerchiamo di connettere i secondi ai primi per orientarci in un mondo diffi�cile. Esposito ci invita a rinominare le cose, in presenza di discon�tinuit� marcate nel nostro paesaggio concettuale abituale. Il sug�gerimento � quello di mandare al macero le ultime edizioni dei vocabolari di moralit� e politica ereditati. La differenza fra la prospettiva di Esposito e la mia � che io sono convinto che noi siamo, come i celebri marinai della barca di Neurath, inevitabil�mente affaccendati ad aggiustare la barca e a ridefinire i termini del nostro linguaggio senza poterci fermare in cantieri ospitali e sicuri, ma sempre in navigazione. Altro problema � quello di ca�pire se il processo in corso sia desiderabile, come dice Negri, per�ch� ha una portata rivoluzionaria, oppure no. E questo perch�, come rilevava Esposito, alla ricerca filosofica compete precisa�mente il compito di adottare i criteri del giudizio e, quindi, ag�giungo io, siamo indotti a mettere a fuoco le ragioni di un�opzione normativa a proposito del fatto della globalizzazione. Ora, la glo�balizzazione � certamente un fatto; e la responsabilit� intellettua�le consiste allora nella migliore descrizione o spiegazione o interpretazione del fatto.

Ma la faccenda non � tutta qui: noi possiamo avere ragioni per impegnarci nel giudicare e nel valutare il fatto. La filosofia politica pu� impegnarsi, alla luce della migliore com�prensione degli effetti del fatto della globalizzazione, nella valutazione degli effetti sulla qualit� delle vite di persone qua e l� per il mondo diviso e condiviso. Effetti in termini di opportunit�, diritti e benessere; effetti sulla maggiore o minore capacit� delle persone di guidare le proprie vite, e non essere suddite o schiave delle cir�costanze naturali e sociali in cui possiamo riconoscere gli effetti del fatto della globalizzazione.

Esposito: Prima di tornare sulla globalizzazione, vorrei marcare un punto di differenza rispetto alla prospettiva di Negri. La mia sensazione � che quando egli tende a sovrapporre la questione del politico a quella del lavoro e della produzione, resti in fondo aderente allo stesso paradigma liberale che vuole criticare, nel senso che finisce per eliminare ogni elemento di specificit� del politico. Ci� accade perch� Negri intende liberare la politica da ogni forma di trascendenza e restituirla ad una integrale immanenza. Ma � proprio questa modalit� integralmente immanente della soggetti�vit� rivoluzionaria - connotata addirittura in termini erotici, di desiderio, di amore - che non mi convince. Vi vedo una concezio�ne, come dire, eccessivamente euforica di quello che, dopo Foucault, si chiama �biopolitica� - una valutazione tutta positiva della riduzione della politica alla sfera della vita, che invece mi pare comporti rischi assai seri sia per la politica sia per la stessa vita. Che cos'�, cosa pu� diventare, una politica tutta schiacciata sul bios, sulla nuda vita? Non rischia di rovesciarsi in opera di morte, di esplodere per eccesso di immanenza, per mancanza di distinzione tra livelli che invece devono rimanere diversi? Vi pu� essere una politica interamente coincidente con i processi biologi�ci, senza differenza, scarto, limite rispetto a ci� che non � politico come i processi economici, o che � impolitico come l�amore? La mia impressione, leggendo quell'importante libro che � Empire, e che esso sia alla fine governato da una sorta di teologia immanentizzata, secolare. Certo, Negri si propone di rompere con ogni forma di teologia politica. Eppure questo soggetto rivoluzionario, connotato in termini erotico-produttivi, non ha esso stesso una valenza escatologica?

Circa la questione, posta anche da Veca, di una valutazione di fondo sui modi in cui nell�ultimo ventennio si � modellata l'attua�le globalizzazione, la mia posizione � molto netta. Senza voler fornire neanche un'ombra di giustificazione ad un atto ingiustifi�cabile da tutti i punti di vista, come � stato quello dell'11 settem�bre, io ritengo che esso sia legato da un nesso molto stretto con la forma che hanno assunto i processi di mondializzazione. Nonostante tutte le differenze, esso fa parte dello stesso quadro sistemico che combatte, di cui costituisce una terribile convulsione interna. La relazione che li unisce � costituita dalla violenza. Naturalmente la violenza non ha una sola dimensione - pu� essere, ed �, diversa per qualit�, intensit�, direzione. Eppure all'altro lato della violenza terroristica - in quello che essa vuole colpire - c'� qualcosa che ha al proprio fondo un elemento della sua stessa so�stanza: � quello che in tedesco si chiama Gewalt, cio� appunto un misto indivisibile di potere e violenza non la forza bruta, ma una forza legittimata da un certo ordinamento.

E quella che possiamo definire violenza dell'esclusione. E inutile in questa sede ripetere le cifre che ormai ben si conoscono circa lo squilibrio strutturale e crescente tra la minoranza ricca, potente, privilegiata del mondo e la maggioranza povera, impotente, spesso affamata fino alla morte. La globalizzazione, insomma, � nello stesso tempo inclusiva ed esclusiva. Include per esclusione. E una domanda spesso ripetuta in questi giorni, ma che non � possibile non riproporre. Come si poteva concepire che un equilibrio di questo genere - secondo cui i dieci uomini pi� ricchi del mondo hanno molte pi� risorse dei dieci paesi pi� poveri - potesse regge�re senza spezzarsi? Si � parlato a questo proposito di nichilismo. Ma il nichilismo terrorista � la risposta barbarica ad un preceden�te, e diverso, nichilismo implicito nella attuale mondializzazione, nell'insensatezza di una vita integralmente governata dal princi�pio tecnico di prestazione. In ci� il rapporto e la differenza tra i due tipi di violenza: la violenza terrorista non � la violenza del non-senso - anche se nulla appare pi� insensato che uccidere a caso migliaia di innocenti. Ma si tratta appunto dell'insensatezza di chi vuole a tutti i costi ripristinare il senso - il proprio senso - imponendolo a ci� che non lo ha. Ad un mondo in s� privo di senso, come quello che tutti abitiamo. In generale il terrorismo � l�odio di questo mondo - e dunque di tutto il mondo; la volont� di ricrearlo - distruggendolo - in base ad un ipersenso perfettamente speculare al suo non-senso.

Negri: Circa la critica che mi rivolge Esposito, � probabile che quando si tratta in termini ontologici la soggettivit� rivoluzionaria, si generi un effetto di euforia, di entusiasmo del biopolitico. Ma pu� darsi che si tratti di altro. Noi tutti sappiamo che nella storia ci sono dei passaggi nei quali ci capita di essere presi, in cui siamo condannati a muoverci. Come parlare, allora, di euforia? Sarebbe come accusare Serveto di essere euforico del rogo, o gi� prima Socrate della cicuta - no, noi sosteniamo il destino e lo vogliamo tra�sformare in evento. Anche per quanto riguarda la questione dell'escatologia, vorrei ricordare che l'escatologia � stata forse l'uni�ca chiave positiva dell'Occidente, della sua storia e del suo stesso concetto, dopo che entrambi hanno tante volte assunto la forma della morte. Stiamo attenti: l'escatologia ci ha portato alla rivolu�zione, ma insieme ci ha permesso di riconoscerei nella Costituzione americana, ci ha permesso di essere comunisti senza essere sovieti�ci. E non � cattiva escatologia quell'esodo dall'Impero, nell'Impero, che noi oggi immaginiamo quasi fossimo cristiani contro Nerone...

Esposito: Scusa Negri, se ti interrompo. Lungi da me sottovalu�tare gli elementi positivi e produttivi che ha portato la rivoluzione cristiana. Tutto ci� lo do per implicito. Riscontro solo un elemen�to di contraddizione tra l'intenzione che tu esprimi di voler chiu�dere con l'orizzonte teologico-politico e il tentativo di farlo attra�verso quelle stesse categorie teologiche, certo secolarizzate e rove�sciate, ma che restano tali. Duemila anni fa esse avevano una portata rivoluzionaria, ma...

Negri: D'accordo, ma il problema � un altro. Quando faccio que�sti discorsi, anche in Empire io passo attraverso la critica post-coloniale, attraverso gli studi che, soprattutto, hanno sviluppato gli indiani, gli afro-americani: essi hanno riconosciuto e descritto dal loro punto di vista, parziale, la teleologia delle lotte. L'Impero ne � il prodotto. Anche l'operaismo italiano � un discorso terribil�mente provinciale, ma pieno di formidabili intuizioni rispetto a quella che � stata la crisi dello Stato-nazione, la crisi del rapporto contrattuale fissato dalle costituzioni keynesiane eccetera. Anche a tutto ci� alludo quando parlo di soggettivit� rivoluzionaria. O pensate che sia possibile tornare ad una forma di regolazione dell'economia, della finanza, del diritto privato e del diritto pub�blico fuori da un contesto globale? Pensate che sia possibile tor�nare indietro rispetto alla situazione determinata dall'attacco terroristico, rispetto alla specularit� di questi clan diversi che lotta�no per imporre la loro logica al mondo? Si tratta, come dicevo, di una soglia ontologica...

Esposito: Io non penso assolutamente che sia possibile tornare indietro; mi pare ridicolo solo immaginarlo. Credo si possa anda�re solo avanti. Che si debba procedere nel quadro di rapporti globali - anche se la globalizzazione del dopo Manhattan sar� profondamente diversa da quella precedente, assai pi� dura, aspra, contraddittoria. Ma proprio perci� mi sembra che la politi�ca non possa coincidere solamente con il flusso soggettivo di una moltitudine indeterminata. Che essa passi anche per ci� che resta degli Stati, per le organizzazioni internazionali, per i grandi bloc�chi socio-culturali...

Negri: Sarei un imbecille se non lo pensassi anch'io. Ma il proble�ma � di decidere su cosa puntare. Punti sulla ricostruzione del mondo attraverso le istituzioni esistenti o punti sulle moltitudini e sulla loro possibilit� di costituire nuove istituzioni?

Esposito: Su tutte e due.

Negri: Io no. Io penso che l'esodo da questa situazione di crisi profonda non possa essere che totale. Il ritiro dalla politica della rappresentanza � ormai completamente compiuto. E d'altra parte che significato ha pi� una rappresentanza a livello globale? Che vuole pi� dire �un uomo, un voto�? Provate ad applicarlo a livel�lo della globalizzazione - non significa pi� niente.

Veca: Vorrei ripartire da una osservazione sul terrorismo e sul�l'attacco dell'11 settembre. Vi vedo insieme un atto di guerra nei confronti della potenza imperiale e uno scontro tra civilt� araba moderata e civilt� araba estremizzata. Il problema non � di esca�tologia. E che ci sono dei criminali imprenditori delle devozioni politiche che riescono ad ottenere controllo e identificazione in se�guaci ai quali forniscono beni di appartenenza. Dopo tutto, non c'� nulla di particolarmente sorprendente in tutto ci�, sono tutte cose che l�Europa conosce molto bene perch� i nostri bisnonni erano fondamentalisti cristiani: questa � la logica di ci� che appa�re insensato. Il conflitto sar� lungo e, come si usa dire, nulla sar� pi� come prima.

Circa poi la domanda se sia possibile tornare indietro, anche io non lo penso. Diciamo che vi sono degli ambiti globali. Altri, inve�ce, come le istituzioni e il governo politico, che invece sono inevi�tabilmente locali e situati rispetto a forze, processi e poteri sociali senza frontiere. Allora, prendendo atto di ci�, perch� non cercare di immaginare una politica possibile rispondente alla situazione attuale? Certo, sarebbe fatuo, irresponsabile ritenere che si possa tornare, per dirla con Habermas, alla chiusura politica nei termini della costellazione nazionale, ma non mi sembra cos� insensato pensarla nei termini di una costellazione postnazionale. Sappiamo che tutte le istituzioni internazionali sono organizzate in base a modelli nati alla fine della seconda guerra mondiale o nella situa�zione della guerra fredda. Non dovremmo cominciare a valutare disegni adeguati alle mutate condizioni? Quanto poi al fatto che moltitudini generino istituzioni, questo non lo decidono i filosofi. Lo si pu� desiderare, ma non determi�nare concettualmente. Al contrario pensare la politica, le istitu�zioni, le forme di convivenza in modo alternativo rispetto alla co�stellazione nazionale - questo mi pare un esperimento, certo provvisorio e limitato, che tuttavia vale la pena di perseguire. Per esempio, noi sappiamo che � globalizzata la distribuzione di ric�chezza e povert�, ma che non lo � quella dei diritti di persone, in�dividui, soggetti situati qua e l� nel pianeta. Conosciamo bene il contrasto fra ci� in cui il mondo � gi� unito e ci� in cui esso � di�viso. Fin dalla fine degli anni Ottanta, dalla caduta dei vari muri e dal sisma geopolitico dovuto all�implosione dell�impero sovieti�co, di tutto ci� si � cominciato a discutere. Alcuni pensano alla cosmopoli, altri a processi di democratizzazione, cio� ad una sor�ta di estensione, sul versante esterno dell'arena internazionale, di istituzioni che avevano dato buona prova di s� sul versante inter�no, altri ad una sorta di governo mondiale. Personalmente sono piuttosto scettico su quest'ultima ipotesi. Penso piuttosto alla co�struzione di istituzioni internazionali includenti, anzich� esclu�denti, come invece sono state in vari modi e fasi le Nazioni Unite, il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale. Si tratte�rebbe di mettere a fuoco l�addensarsi di reti di organizzazioni non governative, di forme associative transnazionali, l'insorgenza di regimi internazionali, i processi di costruzione di istituzioni sovranazionali come, dalle nostre parti, il difficile e inedito processo dell�Unione europea: un insieme variegato di processi e di progetti tali da costituire non il governo mondiale, ma da generare una geografia mutata dei luoghi e dei tipi, dei livelli del governo, tale da produrre effetti sulle vite umane, sulla loro qualit�, dovunque esse siano. Si tratta, evidentemente, di una prospettiva normativa sulla politica possibile, ai tempi della globalizzazione. Dovremmo prendere sul serio la sfida di saggiare lo spazio delle possibilit� politiche praticabili, entro il pi� ampio e severo spazio che il mondo ci concede.

Esposito: Io credo che l�unico argine rispetto al cortocircuito ca�tastrofico tra le violenze contrapposte che stringono oggi il mondo in una terribile morsa sia quello della politica. Del resto non sol�tanto la violenza terroristica, ma anche quella implicita nell'at�tuale forma di globalizzazione nasce nel e dal ritiro della politica davanti alla potenza congiunta di tecnica ed economia. Se politi�ca significa delimitazione di spazi, creazione di forme relativa�mente stabili, di geometrie e di confini, la globalizzazione, cio� la eliminazione di ogni confine e anche di ogni spazio delimitato, non poteva assumere che la forma dell'antipolitica, della spoliticizzazione. Ma, appunto, un mondo interamente spoliticizzato � strutturalmente esposto alla violenza: quella della mondializza�zione disuguale ed escludente e quella che le si contrappone nella forma della furia omicida e del terrore. E perci� che - al di l� dell'impiego, necessario ma inefficace se fi�ne a se stesso, della forza militare - il mezzo, la risorsa, il lin�guaggio per uscire da questo vicolo cieco sta nella politica. In ogni tipo di politica. Quella, certo residua ma non scomparsa, de�gli Stati - � evidente che un successo durevole nella costituzione di uno Stato palestinese vale pi� della cattura di dieci bin Laden; quella degli organismi internazionali, pur con tutti i loro limiti e le loro ambiguit�; ma, pi� in generale, quella costituita da ogni azione collettiva capace di ricreare spazio, forme, mediazioni in un mondo sempre pi� affidato alla nuda immediatezza dei con�trasti. Se il mondo globale � un mondo senza alterit� - in cui vie�ne meno anche il fronte materiale del conflitto - l'impegno primo della politica non pu� essere che quello di costruire rapporti, rela�zioni, tra soggetti identificabili anche e proprio nelle loro diffe�renze. Io non credo che ci� vada posto in alternativa rispetto alle istituzioni. Senza togliere l'importanza innovativa dei processi co�stituenti, abbiamo bisogno anche di forme costituite. Per esem�pio, se in Europa non si raggiunge un livello minimo di apparato costituzionale, tutti i discorsi normativi restano sul piano dei de�sideri. La politica ha bisogno anche di forme, di forze, di decisio�ni, altrimenti rimane ineffettuale. Tutto il resto - cio� la dimen�sione della pura soggettivit� - ha un'enorme importanza, ma ap�partiene al linguaggio dell'impolitico.

Negri: Non lo so. Io mi sento un po' sulla carretta di Madre Coraggio, cio� dentro la guerra dei Trent'anni. Come allora bisogna resistere, sopravvivere, rendere il dolore un elemento che ricompone la soggettivit�: questa � l'operazione, non solo etica ma anche concettuale, che pu� farci capire quello che oggi sta succedendo. Quando Veca dice: facciamo i kantiani, allude a qualcosa che in realt� Kant ha potuto fare solo dopo la guerra dei Trent'anni, do�po una modificazione radicale - e nessuno mi accusi di essere escatologico a rovescio. Cosa possono fare oggi le istituzioni internazionali? Gli Stati Uniti sono partiti con l'usurpatore Bush da un discorso di unilateralismo, avevano immaginato un mondo bizantino dominato dall�imperatore, pensavano allo scudo spaziale co�me a una figura dell'Apocalisse. Gli � andata male perch� qualcuno ha fatto cadere le torri che sostenevano il tempio. � allora che si sono inventati le grandi alleanze. Ma alleanze tra chi? Qui non ��������������� pi� come l�impero di cui parlava Polibio, in cui si concentravanomonarchia, aristocrazia e comizi popolari. Oggi ci sono solo monarchia ed aristocrazia che stanno scannandosi tra loro intorno al |������������� nuovo equilibrio mondiale, a quel ventre molle dell�Impero che � il Medio Oriente, al controllo del petrolio che � l'energia per far funzionare il mondo. E allora? Come aver fiducia nelle vecchie istituzioni nate alla fine della seconda guerra mondiale - con la guerra tra Israele e Palestina ancora l�? Come si fa a pensare che dopo cinquant'anni di inefficienza, esse possano ancora vivere? Quanto alle ong, funzionano solo per il potere. Per cui bisogna essere molto realisti: far nostro il carro di Madre Coraggio e trasformare la nostra miseria perlomeno in dignit�.

Esposito: Tu non dai nessun peso all�Europa? A quanto pu� accadere in Europa?

Negri: Io do moltissimo peso a quanto accade all'Europa. Sono sempre stato europeista, cos� come sono sempre stato filoamericano, non facendo d'ogni erba un fascio, ma distinguendo fra����� Kennedy e chi lo ha ammazzato... Ma se non ci si vuole limitare a costruire in Europa il punto debole della catena imperiale, il problema va posto nei suoi termini politici reali: come possiamo pensare all'Europa senza una sinistra rivoluzionaria? O c'� una sinistra rivoluzionaria che considera fondamentali questioni come il diritto del lavoro, che difende le grandi conquiste che la classe�������������� operaia ha qui fatto e che noi abbiamo ereditato nel Welfare State, o altrimenti l'Europa non esiste. Non pu� esistere un'Europa come spazio gerarchico all'interno di quella che � una dimensione mondiale di �lite rappresentata dal liberalismo americano.

Esposito: Ma tu, in Europa, non vedi alcuna differenza per esempio tra Aznar e Berlusconi (gi� diversi tra loro) da un lato e Jospin e Schr�der dall'altro?

Negri: Io considero la sinistra europea veramente fottuta. O noi riusciamo ad inventarci una sinistra radicalmente nuova - e ci sa�rebbero le armi per farlo - o altrimenti in Europa non si parler� pi� di sinistra. La fine del socialismo � una fine reale, il sociali�smo � veramente finito. La situazione � davvero bloccata finch� la sinistra europea � rappresentata da Blair. Una nuova sinistra sarebbe potuta nascere solo dal movimento di Seattle, da un mo�vimento che considera l�azione politica come una costruzione di vita, che salta la rappresentanza. Veca ha perfettamente ragione a fare il discorso che d�altra parte fanno persone lodevoli, idealisti giuridici che stimo e rispetto, come Giddens e Rawls - ma tutti costoro dicono cose che ormai danno il senso del vecchio, dello sciupato. Prima di Genova intravedevo delle forme possibili di organizzazione politica - poi, dopo la stupida reazione del gover�no italiano, tutto � cominciato a precipitare. Si tratta di riprende�re daccapo il discorso interrotto. Come gi� dicevo, siamo ad una situazione simile a quella della guerra dei Trent�anni - quando il conflitto tra cattolici e protestanti in realt� serviva alla costruzio�ne dello Stato assoluto. Oggi stanno riproducendo questa guerra � non la Cia o qualsiasi altro, ma le nuove �lite del mondo unifica�to, in lotta feroce tra loro. A questo punto coloro che si oppongo�no sono nella situazione di Cartesio, il quale non poteva fare altro che costruire una posizione ontologica di resistenza: �Penso, dun�que sono�. Una ragionevole ideologia contro la sconfitta. Anche oggi il movimento non pu� che oscillare tra esodo e quietismo � dove il quietismo pu� essere a sua volta combattivo oppure semplice libertinismo. Altro che contrattualismo - qui si sentono solo colpi di cannone, o di guerra batteriologica. L�11 settembre ha di fatto posto fine al movimento che stava nascendo - anche se non � detto che rinasca in altre forme. Solo l�esodo dalla sinistra rap�presentanza ci permetter� di ricostruire.

Veca: Ho ascoltato con interesse le cose suggestive che ha detto Negri, l�eloquenza di Negri mi ha chiarito la differenza fra i no�stri modi di pensare e praticare il lavoro intellettuale come professione. Negri mira a dare ad altri motivazioni per agire in certi modi. Io miro a comunicare ad altri ragioni per giudicare e valu�tare giustizia e ingiustizia del mondo. Negri ha interesse alla conversione delle credenze dei devoti della necessit�. Io ho interesse per le ragioni di chi pu� condividere il senso musiliano della pos�sibilit�. In ogni caso, non vedo ragioni plausibili per non conti�nuare ad usare i miei strumenti inevitabilmente sciupati, prima di arrivare a ritenere uno sport allettante il salto sulla carretta di Madre Coraggio. In realt�, come ho gi� detto, io concordo sul deficit di rappresentanza delle istituzioni internazionali o transna�zionali modellate negli anni della guerra fredda. L�11 settembre ci ha mostrato che quel mondo - o una sua parte significativa - � davvero alle nostre spalle e tutto quello che nasce da esso � certa�mente segnato dalle origini e, almeno in parte, obsoleto. La que�stione, tuttavia, � se si debba rinunciare del tutto a ragionare sul�le istituzioni - e dunque saltare sulla carretta o fare i libertini, a seconda dei gusti - oppure no. Io non credo: bench� le istituzioni siano sciupate, sono convinto che continui ad avere senso il tenta�tivo di ripensarle, di saggiarne le possibilit� di riforma e dare ra�gioni per rimodellarle.

Per quanto riguarda i movimenti - a prescindere dalla reazione da parte delle forze dell'ordine, che dimostra soltanto la grave in�capacit� di un governo di fare il proprio mestiere in modo decen�te - mi pare che anche a Genova vi fossero grosso modo almeno due differenti tipi di motivazioni: da un lato quelle della semplice resistenza alla globalizzazione, di pura difesa della propria iden�tit� anche in forme tribali, di nicchia o di clan. Ma poi si � visto un altro atteggiamento, che a me interessa molto di pi� - ed � quello di persone che si prendono per mano con altri per sostene�re i diritti di altri. Questo - non la costruzione in forma antagoni�stica del movimento - mi pare l'elemento pi� positivo della varie�gata galassia dei cosiddetti popoli di Seattle. Certo, pu� darsi che tutto ci� finisca stritolato dagli eventi dell'11 settembre e dalla si�tuazione di incertezza che essi hanno disseminato pervasivamente nel mondo. Ma io continuo a considerare necessario riflettere sul�le istituzioni e scrutare attentamente i segni prognostici del futu�ro, come faceva il vecchio Kant un po' di tempo dopo la guerra dei Trent'anni. Come allora, ad un certo punto, la gente che pri�ma si scannava in un conflitto di religione e di identit� contrap�poste ha cominciato a convivere. Dopo tutto, dalle guerre di reli�gione non � venuto fuori soltanto lo Stato assoluto, ma anche la difficile via della tolleranza.

Quanto al futuro, perch� non considerare un sintomo positivo la circostanza che un'amministrazione imperiale come quella statu�nitense, che aveva cominciato con una netta scelta di politica uni�laterale, con la richiesta dello scudo spaziale, con il rifiuto dell'Onu e delle corti internazionali, ha sperimentato la propria vulnerabilit� e allora ha mutato strategia? La risposta di quella amministrazione all'attacco alle Torri Gemelle non � stata sempli�cemente quella di andare a bombardare, ma quella di mettere in piedi una coalizione con gli Stati pi� diversi. In questo modo non soltanto si � evitato il conflitto di civilt�, ma si sono fatti atti poli�tici quali la dichiarazione che i palestinesi hanno diritto ad uno Stato. Ci� potrebbe indurci a scorgere, nel contesto incerto di una guerra strana e in ogni caso lunga, i tratti di un ridisegno della mappa delle relazioni internazionali. Questa, naturalmente, � una possibilit�, fra le altre. Altre possibilit� sono, nello stesso spazio delle possibilit�, molto peggiori in termini di valore politico e di giustizia nel globo conteso.

Esposito: Anch'io comprendo l�ansia di novit� di Negri ed anche il suo fastidio rispetto a vicende e linguaggi consumati. Resta il fatto che, una volta cancellata ogni distinzione tra modello iperliberale e modello socialdemocratico - pur con tutta l�opacit� che tale distinzione comporta - beh, non ci resta chel�alternativa tra esodo e quietismo o la loro sovrapposizione. Negri insiste sul tema del vitale. Capisco contro cosa protesti. Ma � sicuro che la catego�ria di �vita� in quanto tale porti all�emancipazione politica? Co�me egli ben sa, il vitalismo � stato tipico anche della cultura di destra e la riduzione della politica alla nuda vita � stato per certi versi esattamente il presupposto �filosofico� del nazismo. Personalmente ho cercato di leggere la vicenda contemporanea attraverso l�altemativa tra i paradigmi di �comunit� e di �im�munit� ed anzi interpreto quella attuale come una vera e pro�pria �crisi immunitaria� - cio� come l�esplosione distruttiva cui ha portato il doppio eccesso di autodifesa, sia da parte dell�Occidente rispetto al resto del mondo che preme ai suoi confini, sia del fondamentalismo islamico che non vuole farsi infettare dalla secolarizzazione occidentale. Quando queste due strategie con�trapposte e complementari di difesa immunologica sono entrate in contatto, l�inter� sistema immunitario che reggeva il mondo � esploso precisamente come accade nelle cosiddette malattie autoimmuni all�interno di un organismo. Come finir� questa vicen�da, dove si arriver�? Probabilmente a nuovi atti terroristici, che a loro volta determineranno una nuova, ancora pi� terribile, stretta immunitaria, con la conseguente fine, o forte riduzione, di deter�minate libert� e della stessa circolazione tra persone e cose. In ta�le caso il rischio pi� forte sar� quello di dar voce solamente alla paura, al rischio stesso. Credo che la via alternativa a tale possi�bilit� catastrofica sia quella di difenderci da questa ossessione fo�bica di tipo immunitario, dando invece vita, forma e pensiero alla categoria opposta all�immunit�, vale a dire quella di comunit� - naturalmente non nel senso, esso stesso immunizzato, che i neocomunitaristi danno a questa espressione, ma secondo un univer�salismo delle differenze in cui il mondo si riconosca nella sua di�mensione insieme singolare e plurale. Si ricordi, a questo proposi�to, che in latino il termine �singolo� si usava solo al plurale: mai �singulus�, ma sempre �singuli�.

Negri: Rispetto a quanto avete detto a proposito delle istituzioni, io non ho nulla contro l�artificio in quanto tale, sia esso prodotto dall�ingegneria costituzionale oppure di progettazione biopolitica; anzi, penso che l�artificialit� costituisca oggi il principio stesso della natura, come appare evidente dalla mutazione antropologi�ca in atto. Credo, per�, anche che i problemi, pi� volte richiama�ti, della povert� debbano implicare una restituzione materiale ed una decisione ad essa adeguata - in termini di amore, cio� oltre il mercato; e in termini economici, cio� fuori e al di l� dell�egoismo privato (scilicet: propriet� privata, economica di mercato eccete�ra) . Tutto ci� non ha nulla a che vedere con il vitalismo, anzi im�plica la necessit� delle istituzioni, una relazione tra ontologia ed istituzioni. Io stesso sono un vecchio istituzionalista, costruito sui testi dell�istituzionalismo classico. E tuttavia siamo in una situa�zione completamente nuova, che mostra un limite assoluto, di cui il suicidio politico da parte dei kamikaze � diventato il seguito. Da questo punto di vista mi sento di fare un�autocritica rispetto a Empire. Quando lo abbiamo scritto, Hardt ed io, credevamo che la capacit� nucleare rappresentasse il i potere militare assoluto. Poi, in un solo giorno, tutto questo si � rivelato falso: l�immagine americana � stata sfigurata non da un ordigno nucleare, ma da un coltellino. Non credo che siamo ad uno scontro di civilt�, come dice Huntington. E che non si � voluta vedere la contraddizione che montava. L'illusione, o meglio la reazione, liberale dall�inizio degli anni Settanta e poi la politica di Kissinger hanno bloccato la possibilit� di ricambio politico. Cos� adesso ci troviamo in una co�stituzione imperiale nella quale monarchia ed aristocrazia lottano tra di loro, ma i comizi della plebe sono assenti. Ci� determina una situazione di squilibrio, dal momento che la forma imperiale pu� esistere in maniera pacificata solo quando questi tre elementi si equilibrano tra loro - ecco la radice del suicidio politico, opera�to dalle �lite aristocratiche, ma che chiama in causa la plebe poli�tica mondiale, meglio, la sua assenza. Come si pu� trasformare tale plebe in moltitudine - cio� in sog�gettivit� politica? Se pensate di farlo passando per la difesa della democrazia, cio� per la difesa della gestione liberale o socialista del capitale, questo � un grosso errore. Il rapporto con il movi�mento lo possiamo ristabilire solo attraverso il rapporto con le singolarit� che formano la moltitudine, in questo senso mi sento assai vicino ad Esposito quando parla di comunit� in una manie�ra simile a come io parlo di moltitudine. Le singolarit� si legano tra loro non come delle masse, ma come delle moltitudini che as�sumono su di s� la produzione della vita - senza che ci� abbia nulla a che vedere con il vitalismo. Ma tutto ci� sta al di l� del mercato e della democrazia che � la sua forma politica - del resto anche il socialismo era una forma politica modificata dell�organizzazione capitalistica del mercato. Dunque o riusciamo ad inventarci un'altra forma o possiamo salutare il nostro futuro, l�Europa e lo stesso Occidente. E per questo che dico che siamo sulla carretta di Madre Coraggio: cerchiamo di attraversare questa situazione e vediamo cosa succede, avendo soprattutto in testa che la cosa fondamentale � quella di andare al di l� della guerra e del mercato, che poi sono la stessa cosa.

Veca: Vorrei concludere da vecchio illuminista o, pi� precisamen�te, da anti-antilluminista, sulle possibilit� che ci riserva il futuro aperto dall�attacco dell'11 settembre. Io credo sia assolutamente possibile, e anzi probabile, una restrizione in termini di garanzie e di libert� fondamentali per esigenze di sicurezza. Avremo un gran numero di limitazioni su quello a cui pi� teniamo - per esempio sulla libert� di agire, di girare, di vivere pienamente le nostre vite. Io ritengo che se anche ci� diventasse inevitabile, non per questo sarebbe accettabile, rimarrebbe semplicemente un ma�le. Quindi continuo a pensare che dovremmo cercare, nei limiti delle nostre possibilit�, di mettere in agenda l'intenzione di limi�tare questi costi, minimizzando le transazioni, per esempio, fra si�curezza e libert� fondamentali delle persone. Francamente non so se sia vero che tra democrazia e mercato ci sia identit�. So che � falso che vi sia identit� fra guerra e mercato, se l�uso dei termini � quello letterale o quasi letterale. Sono anche convinto dell�urgenza del fatto che le persone, qua e l� per il mondo, abbiano assicu�rati alcuni spazi perch� la loro vita possa essere considerata e sentita come una vita che, per una essenziale variet� di ragioni, valga la pena di essere vissuta. E questo ha certamente a che fare con una tradizione, come la nostra, che prevede che le persone abbiano diritti fondamentali in quanto, semplicemente, persone. Certo, il mondo � largamente imperfetto e pu� naturalmente dar�si il caso che siamo all'inizio di una guerra dei Trent'anni, anche se non � proprio cos� chiaro quali ragioni uno o una avrebbe per sostenere ci� e non qualche altra profezia. Ma, al netto delle pro�fezie alla grande o terra terra che lascio volentieri ad altri, non vedo perch� dovremmo rinunciare ad esprimere fedelt� e durevo�le lealt� a un grappolo di cose che sono state l'esito di una com�plicata storia e alle quali teniamo perch� esemplificano ci� che per noi vale.

Vorrei ora concludere davvero. Lo far� con lo scudo protettivo di una citazione. E una frase di Albert Camus - che dedico al diret�tore di MicroMega al quale so quanto � caro quest'autore; una frase che mi ha molto colpito e che ho adottato come titolo per un libro che ho appena finito di scrivere e che consiste in nove lezio�ni sull'idea di giustizia e che mira a fissare i prolegomeni per una teoria della giustizia senza frontiere, di fronte al fatto della globa�lizzazione e al fatto dell'oppressione. Nel mondo vi � la bellezza e vi sono degli oppressi. Ebbene, per quanto sia terribilmente diffi�cile, sostiene Camus, io vorrei essere fedele ad entrambi. In cose difficili come quelle che abbiamo discusso e in tempi complicati come quelli in cui ci accade di vivere, la promessa della duplice fedelt� di Camus � qualcosa come un impegno a non congedarsi dalla faticosa ricerca, che non ha ne pu� o deve avere fine, di principi di giustizia per un mondo pi� degno di essere abitato.

 

articolo tratto dalla rivista bimestrale MicroMega, n�5 anno 2001

 

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