CONFERENZA DI AURELIO MUSI: LO STATO-NAZIONE, OGGI

(Trascrizione e redazione sono state eseguite a cura della S.F.I. di Salerno. Pertanto, gli eventuali errori di sostanza e di forma, contenuti nel testo,sono da attribuire interamente agli operatori della SFI e non all�autore che non ha proceduto ad alcuna correzione dello scritto di seguito riportato.)

 

 

 

Come molti dei presenti ricorderanno noi ci siamo visti in questa stessa sede il 15 gennaio del 2002, a pochi mesi dall�11 settembre del 2001. Ci rivediamo oggi, a pochi giorni dall'inizio della guerra in Iraq. Io devo necessariamente fare il riassunto della puntata precedente, perch� il discorso che tenter� di farvi stasera � intimamente connesso e intimamente legato alla riflessione che vi ho proposto il 15 gennaio del 2002. Se vi ricordate e, comunque, per i non presenti lo ricordo ora, in quell'occasione io mi soffermai su un carattere importante del moderno e della modernit� su cui noi non riflettiamo abbastanza. Cio�, sul fatto che le discontinuit�, ovviamente si parlava delle discontinuit� nel politico, nella politica, sono intimamente dentro le continuit�. Feci una serie di esempi: la sovranit�, la rappresentanza, la democrazia, i partiti, le forme della politica, impero eStato- nazione, come le forme pi� importanti della politica e, infine, della traduzione storica di una di queste forme e cio� della forma che io chiamai �sistema imperiale�. Parlai, gi� allora, del passaggio dai due sistemi imperiali, fino al 1989, all'unico �sistema imperiale� dopo il 1989. Parlai di una certa idea di Stato-nazione, che poi riprender� perch� non � tanto l'idea classica, ma � un qualcosa di diverso, e, infine, affrontai il rapporto tra globalizzazione, terrorismo e impero. Vi ricordo che era appena uscito il numero di MicroMega dedicato proprio a questi temi. In quel numero c'erano degli interventi, a mio avviso, molto importanti di Antonio Negri, di Salvatore Veca, di Roberto Esposito e di altri. La domanda che ci ponemmo allora, e che torna di grande attualit� oggi, � la domanda da cui si pu� partire per poi riprenderla se mai alla fine, si pu� formulare in questo modo: � possibile una connotazione positiva di impero? D'altra parte se vi ricordate era anche la domanda che faceva da sfondo alla discussione su quel numero di MicroMega che io citai allora e che riprendo adesso.

Si scontravano in quella discussione, a mio parere interessante, su quel numero di MicroMega, due posizioni tra loro, appunto, contrastanti e divergenti. Una posizione, che poi probabilmente riprender� Antonio Negri quando verr� a discutere con voi prossimamente, in base alla quale lo Stato- nazione era una sorta di Stato barbarico. Negri parlava proprio di Stato barbarico, usava esattamente questa espressione. Stato barbarico non solo e non tanto per come lo Stato-nazione si presentava e si presenta oggi, ma Stato barbarico per come lo Stato-nazione si � presentato, diceva Negri, ma sono posizioni che poi Negri ha confermato in pi� occasioni, per tutto il �900, da Verdun a Auschwitz. Quindi, se cos� stanno le cose, se lo Stato-nazione � uno Stato barbarico, la posizione ovvia e coerente � quella in base alla quale bisogna lottare contro tutte le istituzioni rappresentative. Si riproponeva in Negri quella che � una sua caratteristica storica, coerente devo dire, cio�, questa forte componente antistituzionale, questa forte carica antistituzionale che ha caratterizzato tutto l'itinerario di Negri da quando era uno dei leaders di Potere Operaio fino ad oggi, sostanzialmente.

Dall'altro lato, c'era una posizione, che io condivido e su cui vale, invece, la pena di riflettere attentamente anche se i margini, a quanto pare, si stanno sempre pi� restringendo, che era la posizione di Veca e di Esposito in base alla quale, proprio per tutti i motivi di crisi, per tutta la drammatica situazione vissuta allora, dopo l'11 settembre, si poneva un bisogno ancora pi� urgente, ancora pi� immediato di istituzioni e di politica come mediazione. Questo era, in sostanza, il punto del dibattito. Da un lato una forte componente antistituzionale che partiva da una posizione tendente a considerare la forma dello Stato-nazione, appunto, come Stato barbarico e, quindi, il bisogno e l'esigenza di colpirlo e di colpire con lo Stato-nazione tutte le forme rappresentative, dall'altro invece un forte bisogno di istituzioni, un forte bisogno di politica come mediazione.

Oggi siamo al 2 aprile 2003 ed io penso che, probabilmente, sono successe tante altre cose, per� come cercher� di argomentare alla fine di questa chiacchierata, credo che, intanto, sia sbagliata questa posizione che tende a brutalizzare lo Stato�nazione, che sia sbagliata una posizione antistituzionale quale quella espressa da Negri, ma non solo da Negri, e che, invece, sia necessario collocarsi in quel corridoio sempre pi� stretto della politica come mediazione.

Questo � il riassunto della puntata precedente. Io, oggi, invece, voglio proporvi una riflessione in quattro passaggi.

1) Il primo passaggio � l'esigenza di �definire�. Siamo tra filosofi e penso che una chiara concettualizzazione del problema sia il primo stadio da cui partire. Allora, dobbiamo definire Stato, dobbiamo definire Nazione e dobbiamo definire Stato-Nazione. Sono tre dimensioni, tre livelli, tre orizzonti abbastanza diversi tra di loro che non vanno confusi, vanno, ovviamente, connessi, ma non confusi. Questo � il primo stadio che vi propongo.

2) Il secondo � una particolare fase di sviluppo e di arricchimento dello Stato-nazione, come quella che abbiamo vissuto dal secondo dopoguerra fino al 1989. Quindi, il rapporto tra i processi di decolonizzazione e Stato-nazione.

3) Terzo passaggio: mondializzazione e globalizzazione. Domanda: fine dello Stato nazione? Questo � il terzo passaggio logico.

4) E, infine, un solo Impero, un solo Stato, ma sorpresa delle sorprese, come poi cercher� di dimostrarvi, facendo riferimento a sette esempi, oggi, al 2 aprile 2003, gli Stati-nazione si prendono la rivincita. Poi vi far� toccare con mano quali sono, come dire, gli esempi, le spie della rivincita degli Stati-nazione, di come lo Stato-nazione riesca non a mettere in crisi, ma, comunque, ad entrare in dialettica con quella forma che noi abbiamo considerato come forma del �sistema imperiale�.

Primo passaggio: problemi di definizione. Qui ovviamente entrano sia il livello della storia sia il livello della struttura. � chiaro che quando io mi riferisco a Stato, mi riferisco precisamente a quello che noi intendiamo per Stato moderno. Che cosa intendiamo noi per Stato moderno? Sostanzialmente, intendiamo, al di l� dei passaggi storici, al di l� delle differenti periodizzazioni del processo, tre cose: la sovranit� unica e indivisa, un processo di progressiva espansione delle funzioni pubbliche, e un ruolo sempre pi� decisivo, sempre pi� importante acquisito da questa nuova forma di organizzazione politica, appunto, lo Stato nelle relazioni internazionali. Siete tutte persone intelligenti, ci sono alcuni miei studenti, ci sono professori di storia e filosofia, ci sono colleghi e amici e a tutti voi io non devo spiegare i passaggi interni a questo fenomeno nuovo che � rappresentato dallo Stato.

Stato per me � uguale a Stato Moderno. � una forma di organizzazione politica che ha passaggi interni, ma che grosso modo noi possiamo individuare nella sua genesi nel periodo compreso tra il XIV e il XV secolo, io vado un po' pi� indietro rispetto alla periodizzazione classica, che vive un'ulteriore fase di affermazione tra il XVI e XVII secolo, che ha il passaggio ulteriore verso una affermazione della sovranit� e, quindi, della concentrazione del potere nella seconda met� del �600 e che vive, poi, una prima importantissima nuova fase, nel primato di questa forma politica nelle relazioni internazionali, nel �700. � chiaro, poi che nell'800 � vero, come dicevo l�altra volta, che riemergono gli Imperi, riemerge quella che Braudel avrebbe chiamato �l'ora favorevole� alle grandi formazioni politiche, alle grandi organizzazioni politiche. Braudel la vede per il �500, ma possiamo vederla anche nell'800, anche perch� � vero che tutto l'800 � una dialettica tra Stati-nazione e imperi che ha un suo sviluppo interessante.

La Nazione, veniamo al secondo aspetto del primo passaggio. Diciamo, innanzitutto, che c'� una Nazione prima della Nazione romantica. Questo � un primo elemento da tenere in grande considerazione. Il concetto della categoria di Nazione ha un'origine, da un punto di vista lessicale, come ha dimostrato Federico Chabod in uno studio molto bello che poi erano una serie di lezioni, quando ha parlato del concetto di patria, di nazione, e di Stato moderno nella letteratura politica tra �400 e �500, ha una storia che precede la stessa affermazione della nazione romantica, come noi la intendiamo. Non si presta, in genere, molta attenzione a questa storia della �Nazione� prima della �Nazione� che � una storia che ha visto protagoniste, per esempio, anche alcune realt� politico-istituzionali italiane che hanno dato un loro contributo importante allo sviluppo di nazioni in sensi diversi. Nazioni come insieme di gruppi privilegiati, perch� �Natio� ha una dimensione fortemente corporativa. All'origine del termine-concetto di nazione c'� una dimensione corporativa, una dimensione chiusa. Poi la nazione ha questo ulteriore passaggio, questa ulteriore evoluzione nel trinomio tardo settecentesco, perch� � con il triennio italiano rivoluzionario che si va affermando,con quella fase di passaggio all'et� napoleonica, di patria, nazione e libert� che fa fare un passo avanti importantissimo, nell'evoluzione della nazione, perch� a quel punto entrano alcuni elementi della nazione di tipo nuovo, rispetto alla nazione cos� comel'avevamo conosciuta in precedenza e i tre caratteri fondamentali legati a questo trinomio sono il carattere dell'unit�, il carattere della coscienza, il carattere dell'autodeterminazione. Quindi, Stato-nazione � una endiadi, perch� collega tra loro due processi in uno. A me piace molto fare riferimento ad un'idea di Stato-nazione che non � collegata direttamente al suo processo storico di affermazione. Prima sono stato presentato anche come politologo. A me diverte molto osservare che quando un giornale mi intervista una volta mi chiamano storico, un�altra volta ancora politologo, altre ancora storico contemporaneo e, infine, anche storico dell'et� moderna, ma il problema non � questo. Il problema � che a me piace una definizione, una concettualizzazione che nell'ambito politologico � stato dato del concetto di nazione che in sostanza � un processo ben equilibrato di State building, cio�, di costruzione dello Stato e di Nation building, cio� di costruzione della nazione. Tutto ci�, nel senso che questo processo equilibrato si � verificato, intanto, in pochissime parti. Quindi, di Stati-nazione, in senso proprio, ce ne sono molto pochi e si sono verificati solo laddove, precocemente, rispetto ai processi storici classici che noi conosciamo, si � creato quello che i politologi chiamano un ben riuscito accordo sui fondamenti del vivere in comunit�. Lo Stato-nazione � esattamente questo, un processo che �, ovviamente, ricostruibile storicamente, ma che non � collocabile in un punto preciso della storia, in base al quale ci sono alcune comunit� politiche che riescono a fondare il vivere in comunit� su presupposti e su unaccordo pi� precocemente rispetto ad altri. E in senso stretto, io dico che gli Stati-nazione pienamente realizzati sono veramente pochi. Essi sono: la vecchia Europa e il nuovo mondo. Per �vecchia Europa� intendo una parte di quella Europa che � stata, anche un po' in senso dispregiativo, identificata nella fase che ha preceduto lo scoppio della guerra. Per �nuovo mondo� mi riferisco, ovviamente, agli Stati Uniti che rappresentano un caso esemplare di riuscito accordo sui fondamenti, oltre il concreto processo di strutturazione dell'organizzazione politica e di formazione della nazione nel senso ottocentesco, nel senso romantico. Gli Stati Uniti hanno fatto una rivoluzione costituzionale e nazionale insieme. � un dato da tenere presente.

Rispetto a questo quadro che, tutto sommato, � rimasto inalterato fino al 1945, dopo il 1945 noi abbiamo avuto degli elementi interessanti di novit�. Essi sono i processi di decolonizzazione. Questi hanno spinto verso la creazione di nuovi Stati-nazione. Ma attenzione, gli Stati-nazione che si sono creati grazie al processo di decolonizzazione, allo sgretolamento dei vecchi imperi coloniali, ovviamente, presentano connotati particolari. Sarebbe lunghissimo, ma se ne potrebbe discutere, perch� parlare di Stato-nazione non significa solo parlare dei �nostri� modelli, sarebbe interessante capire che cosa dei nostri modelli di Stato-nazione, dalla vecchia Europa, � passato in questi nuovi modelli di Stati-nazione che si sono costruiti a partire dall'avanzare del processo di decolonizzazione. Le condizioni in cui si sono sviluppati questi nuovi Stati-nazione, sono state fatte delle ricerche a tal proposito, sono vertiginose per i tempi di attuazione. Se voi confrontate il numero degli Stati-nazione ancora nel periodo precedente alla seconda guerra mondiale con il numero degli Stati-nazione degli anni ottanta del �900, voi trovate una moltiplicazione per dieci o per quindici, adesso non ricordo bene. Questi nuovi Stati-nazione, hanno riproposto alcuni elementi tipici della genesi e dell'affermazione degli Stati-nazione, ma non dobbiamo dimenticare che si sono sviluppati in una condizione di forte bipolarismo che ha fortemente inciso sullo sviluppo stesso di questi Stati-nazione. Questo, per�, ci dice una cosa importante. Ci dice della forte capacit� di esportazione di una Europa che muore. L�Europa comincia morire, d'altronde, gi� da quando la Sterlina non � pi� la moneta di riferimento mondiale, ma � dopo il 1945, con lo sgretolamento degli imperi europei, che si evidenzia maggiormente il fenomeno. Un ulteriore segno c'� stato, poi, nella incapacit� durante la crisi di Suez da parte delle vecchie potenze europee di condizionarne l'esito. Esse non hanno contato assolutamente niente. In definitiva i segnali di crisi dell'Europa sono tanti. Per�, mentre l�Europa finiva, rivelava una capacit� di esportazione di modelli insospettata, perch�, in realt�, tutti i processi di nazionalizzazione che si sono sviluppati nel secondo dopoguerra hanno in larga misura preso a modello i processi di State building e di Nation building europei. Purtroppo, in alcuni casi noi abbiamo avuto delle accelerazioni della costruzione politica rispetto alla costruzione nazionale e viceversa. Abbiamo avuto forti scompensi nella costruzione di un processo nazionale. Questo lo paghiamo anche oggi e lo pagheremo ancora nel futuro. Non ci sono, per�, dubbi che l'Europa abbia avuto una grande capacit� di esportare un elemento importantissimo, nato nel suo cuore, nel cuore della sua civilt� ed � l'elemento dell'autodeterminazione. Questo aspetto del problema la mia generazione, quella del Vietnam, l'ha vissuto drammaticamente, quello di riuscire a conciliare l'aspirazione all'autodeterminazione con la divisione bipolare del mondo. Questo � stato esattamente il problema. Io ricordo che nel 1967 quando ero un giovane repubblicano e appartenevo alla Federazione Giovanile Repubblicana c'era il congresso nazionale e io insieme ad altri amici, che poi passarono chi ai partiti di sinistra chi all'estrema sinistra, gridammo a Ugo La Malfa, mentre faceva il suo discorso, Ho Chi Minh, Ho Chi Minh! Era una contestazione diretta a chi? A chi in quel momento ci stava presentando legittimamente che il problema sussisteva tra la questione dell'equilibrio mondiale e la questione dell'equilibrio bipolare e che questo portava ad un contrasto con l'aspirazione all'autodeterminazione dei popoli, che era sacrosanta, ma che in quel caso l'autodeterminazione era, innanzitutto, fortemente condizionata in un caso dal polo comunista e dall'altro dal polo americano e, quindi, entrava necessariamente in rotta di collisione con la divisione bipolare del mondo e che, comunque, l'equilibrio politico internazionale doveva far pagare una serie di prezzi e il prezzo da pagare era anche, in quel caso, per un bene superiore, per un bene pi� importante, quello dell'autodeterminazione. Questo � un altro esempio per il ragionamento che vi sto proponendo. Arriviamo in queste condizioni, con molte altre variabili, ma ora mi interessa arrivare alla fine, e la fine � la parte, forse, pi� interessante di tutto il ragionamento che vi sto proponendo, al processo di mondializzazione.

Il processo di mondializzazione e di globalizzazione, del quale poi parlerete anche con qualche studioso che vi presenter� i suoi studi su questi temi, secondo molti ha rappresentato la fine dello Stato-nazione. Io ho ritrovato una vecchia conferenza di Serge Latouche, come sapete Latouche � uno dei pi� importanti teorici della critica alla globalizzazione, ed � una conferenza che risale al 28 agosto 1996. � una conferenza interessante a mio parere, perch� evidenzia i passaggi logici pi� importanti della posizione che individua nel processo di mondializzazione, in quel periodo era pi� usato il termine mondializzazione che globalizzazione, la fine della politica. Fine della politica come fine dello Stato-nazione. Io vi leggo alcuni passaggi che sono molto interessanti. Naturalmente la letteratura su questi temi � sterminata, per� questa conferenza di Latouche, che io ascoltai nel '96, d� veramente il senso di una posizione comune a pi� livelli, anche disciplinare di considerazione dei problemi. La prima questione � l'affermazione del villaggio-mondo, connesso proprio alla fine dello spazio nazionale. Dice Latouche: �La scomparsa delle distanze crea la fine dello spazio nazionale e il riemergere di questo caos interiore che distrugge le basi dello Stato nazione e genera fenomeni di decomposizione. L'assorbimento del politico da parte dell'economia [questo � un altro topos su cui si insiste in questi anni] fa riapparire lo Stato di guerra di tutti contro tutti. La competizione - legge dell'economia - diventa la legge della politica. C'� un ripiegamento che fa sorgere un nuovo feudalesimo e fa scoppiare nuove guerre e conflitti. Il feudale e il privato vanno di pari passo e ci sono volute la monarchia, gli Stati nazionali e la rivoluzione perch� si superasse questo conflitto privato. E tuttavia si vede questo suo risorgere in Libano, Jugoslavia, Cecenia�. Questo � un primo passaggio che mi sembra molto interessante. Quindi il villaggio-mondo e la fine dello Stato-nazione, primato dell'economia e fine della sovranit� dei cittadini. Secondo aspetto che voglio sottolineare, ma che gi� � Stato accennato prima, ma che qui di seguito viene meglio esplicitato. �Si vede cos� come le leggi dell'economia privano i cittadini della loro sovranit� ed appaiono sempre di pi� come una costrizione che si pu� amministrare, ma in nessun modo eliminare. I cittadini perdono cos� la padronanza del proprio destino. Con l'espressione "fine del politico" si intende la fine di questa categoria come istanza autonoma rispetto all'economia. Ancora una volta ricchezza e potenza tendono a fondersi. Come dichiara il dirigente di una multinazionale, "noi non vogliamo dominare il mondo, vogliamo semplicemente possederlo"�. Quindi, fine del politico, crollo del sociale e questo � il terzo elemento: �Vista dal basso la fine del politico si traduce nel crollo del sociale, nel termine della societ� stessa�.

Tutto questo provoca secondo Latouche, ma, ripeto, questo � significativo di tutta una cultura, una temperie culturale, di quegli anni, seconda met� degli anni '90, una doppia via di fuga: la via di fuga nel fondamentalismo e la via di fuga nel ripiegamento interiore. Dice Latouche che bisogna evitare entrambe queste due vie di fuga e bisogna costruire, parla esattamente in questi termini, un "contropotere mondiale". Su questa base si sono sviluppati anni dopo, ma nemmeno tanti anni dopo, i movimenti No-global con varie sfumature, con varie differenziazioni e interpretazioni, per� mi sembra che stiano qua le radici. Infatti, Latouche � poi uno degli autori ispiratori di alcune sezioni del movimento No-global. Undici settembre: globalizzazione e terrorismo. Vedete che in questo orizzonte culturale che io ho cercato di presentarvi non compare il fondamentalismo, perch� in quegli anni il fondamentalismo faceva gi� moltissima paura, ma non emergeva ancora all'ordine del giorno come terrorismo. Globalizzazione eterrorismo vanno esattamente in questa direzione, perch�, da un lato � la logica di combattere contro un nemico invisibile, dall'altro, erano gi� emersi in precedenza, ma emergono con pi� forza i teorizzatori dello scontro di civilt�. Qui � scomparso completamente dall'orizzonte la categoria, la forza dello Stato-nazione. Venendo, poi, a tempi pi� recenti si passa alla teorizzazione del bene contro il male. Sempre passando da un livello basso ad uno pi� elevato di astrazione, ripercorriamo termini come visibilit�, scontro di civilt�, bene contro male, Stato come nuda potenza, ma Stato come nuda potenza che fa il paio con la missione. Quindi: Stato, potenza, missione. Gli stati in questa ottica, in questa logica, diventano prevalentemente �stati canaglia�. Il lessico ha la sua importanza, c'� un decadimento nel termine del lessico, vale a dire uno svuotamento della ricchezza semantica del termineStato. Questo � un problema fondamentale. Evidentemente � la rappresentazione nel linguaggio di processi pi� generali.

Quarto passaggio: un solo Impero, un solo Stato. Voi tutti sapete che una delle definizioni pi� ricorrenti dello Stato moderno � quella in base alla quale questa nuova organizzazione politica assume il monopolio dell'uso della forza legittima. Mi pare che pochi, per�, hanno pensato ad uno slittamento di termini, o meglio uno spostamento di termini, ma che diventa fondamentale, cio�, che dal monopolio della forza legittima noi rischiamo di passare al monopolio legittimo della forza. Capite cosa voglio dire? L�unilateralismo imperiale � fondamentalmente questo e allora l'unilateralismo imperiale significa una cosa apparentemente ricorrente nella storia, ma che anche qui, se fate caso ai termini adottati, non � pi� vero, le cose non stanno pi� in questi termini. Monopolio legittimo della forza significa che il conflitto diventa la norma nel mondo globalizzato, cio�, se il conflitto diventa la norma del mondo globalizzato significa che il conflitto militare va a riempire una crisi di legittimit�. Una crisi di legittimit� che � sotto gli occhi di tutti che investe anche gli istituti sovranazionali. � cos� veramente? Io vi sto presentando delle espressioni che, per�, per me non sono cos� apodittiche, ma che sono in qualche modo interrogative se teniamo conto di quel che sto per dirvi, cio� se teniamo conto che i fatti degli ultimissimi giorni e delle ultimissime ore rivelano uno spasmodico bisogno di Stato-nazione.

Vi enumero degli esempi.

Primo: il peso delle relazioni diplomatiche. Il peso delle relazioni diplomatiche � ancora forte. Nel mondo globalizzato il peso delle relazioni diplomatiche, voglio parlare evidentemente di chi la diplomazia la sa fare eil Vaticano � una di quelle realt� che storicamente ha dimostrato di saper fare diplomazia, � ancora notevole.

Secondo: non ha colpito nessuno il fatto che Bush, certo poi non ha dato corso, ha utilizzato, prima di entrare in guerra, uno strumento che � tipico delle relazioni tra Stati, cos� come noi l�abbiamo conosciuto. Mi riferisco all'ultimatum. L'ultimatum non � un riferimento ad una volont� esclusiva di sopraffazione. L'ultimatum �, in qualche modo, quello che resta di una legittimit� che, ormai, � entrata in crisi, ma che resta ancora.

Terzo: l'attacco dell'Impero �, precisamente, l�attacco ad uno Stato-nazione, all�Iraq.

Quarto: l�Islam non � solo civilt�. L�Islam � un insieme complesso che � stato poco analizzato, ma c'� una letteratura araba, che � poco conosciuta in Occidente, che si � soffermata a lungo sulle tipologie e sui modelli di Stati-nazione che si sono affermati nei paesi islamici. L�Islam non � solo civilt�, ma � un insieme di Stati-nazione. Io ho l'impressione che questi Stati-nazione avranno loro peso anche nel futuro immediato.

Quinto: io penso che nello stesso equilibrio mediorientale il ruolo degli Stati-nazione sar� decisivo. Mi riferisco all'Egitto,alla Siria e all�Iraq, anche in un eventuale ridisegno geopolitico dell'area. In uno dei primi documenti americani relativi all�organizzazione della seconda guerra del Golfo che ho letto, uno dei primissimi documenti che furono preparati, la prima frase recitava cos�: nel 1991 noi andammo in Iraq per ristabilire lo status quo, nel 2003 noi andiamo in Iraq per creare un nuovo ordine politico. Questo poi � un concetto che � passato tranquillamente, nel senso che poi oggi � tranquillo pacifico. Io l'ho letto in tempi ancora non sospetti, quando tutti quanti dicevano che l'impero americano interveniva in Iraq per il petrolio. In questo stesso documento c'era scritto che se noi avessimo avuto come priorit� il petrolio saremmo andati in Argentina, in Venezuela non Iraq. Io dico che anche nella politica del dopo Saddam, nella politica americana del dopo Saddam, in un eventuale ridisegno geopolitico di quest'area, il peso di questi Stati-nazione di quest'area decisiva, che andrebbero studiati molto pi� approfonditamente di quanto si sia fatto, sar� notevole. Ma lo stesso conflitto Israelo-Palestinese � un conflitto tra Stati-nazione.

Sesto: in Europa il quadrilatero che conta di pi� � ancora il quadrilatero dei pi� antichi Stati-nazione: Spagna, Francia, Inghilterra, Germania. Intendo Stati-nazione nel senso che in Francia abbiamo avuto una rivoluzione, in Spagna c'� Stato un processo interessantissimo di costruzione di Stati-nazione, in Inghilterra molti, addirittura, hanno interpretato la rivoluzione del 1642 e del 1688-89 non come una rivoluzione, ma come una restaurazione, sostanzialmente, di quegli accordi sui fondamenti di cui ho parlato prima che erano stati, in qualche modo, compromessi dalla monarchia dal rapporto tra monarchia e Parlamento. In Germania la Riforma ha rappresentato un momento molto importante di costruzione dello Stato-nazione. Rispetto a questo quadrilatero si ripresenta drammaticamente il problema Italia con tutte le fragilit� storiche che oggi si fanno sentire ancora di pi�, perch�, badate bene, consegnano un volto dell'Italia che � assolutamente indipendente da chi lo governa. Non illudiamoci che un governo diverso da quello attuale possa consegnare alle relazioni internazionali, oggi, un'Italia pi� pesante. Io non credo.

Infine, gli stati nazione e la guerra attuale. La Turchia, uno Stato-nazione non ha consentito diaprire il fronte nord. E su questo io chiudo. Grazie!

 

 

INTERVENTI

(sintesi)

 

Il primo intervento mette in rilievo come la relazione del prof. Musi sia stata estremamente chiara e lineare e riproponga il problema del senso della legittimit� dello Stato-nazione, pi� volte messo in crisi dall�imperialismo. Ad avviso di chi interviene, l�imperialismo attuale � proprio di una certa cultura cosmopolitica di ascendenza capitalistica. In tal senso, l�Impero, il concetto stesso di Impero, non � una deviazione patologica del concetto di nazione, bens� la sua pi� radicale negazione. Questo aspetto lo si trova gi� considerato in Carl Schmitt e i fatti recenti lo dimostrano ampiamente.

 

Il secondo intervento pone in rilievo come spesso si cerchi subito sul piano teorico di indicare superamenti e prospettive dialettiche, laddove la storia ci riconduce puntualmente ad avere pi� attenzione per i fatti. Lo Stato-nazione, che fino a poco tempo fa era visto come un elemento in definitiva liquidazione, riemerge con forza da un punto di vista, soprattutto, di esigenza legale e diplomatica.

La guerra � stata fatta per ridisegnare la carta del mondo e in tale direzione non c�� principio legale che tenga. Ma proprio in tale prospettiva lo Stato�nazione diventer� fondamentale, nei prossimi venti-trenta anni, per poter risolvere le questioni della regione mediorientale. A parere di chi interviene la guerra dura gi� da una ventina d�anni e parte dal fatto che gli Stati Uniti hanno avuto ragioni di attrito prima con il Giappone e poi con l�Europa. Finito l�equilibrio delbipolarismo Occidente � Unione Sovietica, il mondo ha ripreso un cammino concorrenziale e gli Stati Uniti sono rimasti in parte isolati e in parte condizionati dalla crescita economica di paesi emergenti, tra i quali l�Europa stessa. Ridisegnare la regione mediorientale per guardare oltre, quindi.� un conflitto enorme, mondiale. La questione� molto complessa. Pochi sono gli Stati-nazione esistenti realmente nel mondo con spessore storico ampio quale � quello a cui si fa riferimento, citando questo termine. Lo scenario che si intravede � tragico e durer� venti o trent�anni e per reazione alla forza di unico impero ci saranno numerosi episodi di terrorismo. La domanda � quindi questa: cosa deve fare l�umanit� in questa prospettiva e noi in Italia, perch� la nostra nazione abbia un peso maggiore nelle prospettive appena enunciate?

 

Il terzo intervento � incentrato sulla questione della guerra, intesa come elemento tragico di crescita. L�analisi parte dalla constatazione che all�interno dalla relazione di Musi convivano due orizzonti di fondo. Uno ottimistico, relativo alla rinascita dello Stato-nazione come elemento essenziale ed unico per una prospettiva di rilancio dellerelazioni internazionali, l�altro tragico, nel senso che solo la guerra pu� far recuperare il gap storico di alcune regioni che non hanno avuto una reale crescita politica e sociale, nonch� culturale nella direzione dello Stato-nazionale. La guerra, quindi, come strumento dialetticamente necessario e ineliminabile per arrivare alle fondamenta dello Stato-nazione, cio� all�accordo sui fondamenti e all�autodeterminazione?

 

Nel quarto intervento si evidenzia, nella relazione, una prospettiva troppo ottimistica. Il prof. Musi ha messo in evidenza lo scivolamento semantico del concetto di Stato da �monopolio legittimo della forza� a �monopolio dell�uso legittimo della forza�. Il problema � che l�Europa ha rinunciato alla forza delle armi, dell�intelligenza, della cultura, della politica. L�Europa non ha la forza di un�egemonia culturale e pratica. Il mondo che gestisce le �armi intelligenti� ha anche la gestione della cultura ideologica. All�interno di questo scenario, lo Stato-nazione, se per Stato-nazione intendiamo la coincidenza tra cittadino e istituzioni, che ruolo pu� avere in concreto sul piano della diplomazia? Ma la stessa diplomazia che ruolo pu� avere di fronte alla forza dell�egemonia?

I movimenti di oggi sono lontani da quelli che realmente mettevano paura ai governi. � possibile realmente un�alternativa allo stato delle cose esistenti oggi?

 

 

REPLICA DEL PROF. MUSI

 

Non sono ovviamente risposte, sono ulteriori problematizzazioni. Per�, una risposta mi sento di darla al riguardo del primo intervento. Io non vedrei in contrapposizione imperialismo e nazione. Storicamente l'imperialismo � una delle propaggini estreme dello sviluppo degli Stati-nazione. Senza lo sviluppo degli Stati-nazione non ci sarebbe stato l'imperialismo di tardo �800 e del primo �900 che ha portato alla Prima guerra mondiale. Direi che l'imperialismo � collegato non sempre, e non solo, all'idea di impero. Pu� essere imperialista anche uno Stato non imperiale. Storicamente bisogna tener conto di questo elemento. Non c'� opposizione concettuale e storica tra imperialismo e nazione, ci pu� essere un passaggio e la storia ce lo ha dimostrato. Bisogna considerare attentamente questo. In tal senso, non c'� un'opposizione tra guerra etnica e nazione, cio�, il problema fondamentale � che la guerra etnica scoppia laddove i processi di costruzione nazionale sono stati processi molto complessi. Sono stati processi affrettati, anche con le complicit� dell'Occidente. Noi abbiamo creato delle nazioni fantasma, anzi degli Stati-nazione fantasma. Sono stati privilegiati, in maniera veramente strumentale, alcuni elementi che non consentivano, in alcunicasi storici precisi, un reale sviluppo di Stati-nazione, perch� non potevano essere stati-nazione. Mi riferisco ovviamente, per esempio, sia a quello che si � verificato dopo la disintegrazione del sistema imperiale sovietico,sia a quanto si � verificato dopo la disgregazione della Jugoslavia. L'Occidente porta responsabilit� pesanti nell'aver favorito la creazione di Stati-nazione fantasma. Quindi, le guerre etniche sono dentro questa complicata formazione-fondazione di questi stati nazionali.

Per quanto riguarda il secondo intervento anche qui storicamente noi abbiamo gi� visto alcune cose che possono essere interessanti. Abbiamo, per esempio, visto che l'ascesa degli imperi non � irresistibile. La pianificazione imperiale ha dei limiti. Allora, non commettiamo l'errore di volere, l'ho commesso anch'io quando ho fatto riferimento ai documenti dei servizi americani, confondere la progettualit� dell'impero che � quella di andare, per esempio, in Iraq per ridisegnare la geopolitica dell'area con la costruzione storica concreta del giorno per giorno. Bisogna stare attenti a non valutare e demonizzare, creando una forte opposizione solo nei confronti dei progetti di pianificazione ed, invece, essere impreparati poi di fronte alla loro concreta realizzazione storica. Quanto alla guerra contro il terrorismo, io ritengo, e dir� una cosa impopolare, che, comunque, anche l'Europa ha delle responsabilit� dopo l'11 settembre, perch� il suo coinvolgimento nella guerra al terrorismo � stato pressoch� nullo. Diciamola tutta. Diciamo che probabilmente noi portiamo delle responsabilit�, perch� in ogni caso devo riscontrare una mancata sensibilit� di percezione del pericolo del terrorismo internazionale dopo l'11 settembre da parte dell'Europa. Ne possiamo discutere, possiamo approfondire questo elemento, per� non ci sono dubbi che all'origine anche di quella che viene considerata l'incomunicabilit� tra Europa e Stati Uniti c'era anche una responsabilit� dell�Europanel suo mancato coinvolgimento nella guerra contro terrorismo.

La guerra, poi, qui per rispondere al terzo intervento, ha sempre storicamente avuto, soprattutto dalle guerre dal �500 in avanti, una funzione importantissima della storia mondiale. Ci sono molti storici delle relazioni internazionali che ritengono che non siano i trattati, le paci, il momento costituente delle relazioni internazionali, ma siano le guerre. Il problema non � questo, il problema � che la novit� attuale, e questo forse crea quel pessimismo che caratterizza un po' il nostro atteggiamento, la nostra sensibilit�, sta nel fatto che la guerra � diventata la norma assoluta. Il valore normativo della guerra � cosa ben diversa dal valore costituente della guerra. Il valore costituente della guerra significa che la guerra � un motore di accelerazione storica nei processi costitutivi della storia. Il valore normativo della guerra significa una cosa diversa, significa, in qualche modo, che senza guerra non c'� storia. Stiamo addirittura a questo, oggi, che la guerra riempie il vuoto di legittimit� e, in qualche modo, diventa essa stessa il pieno della storia, la norma, appunto, nel senso di valore normativo.

Riguardo al quarto intervento, condivido il fatto che ci sia un vuoto di egemonia culturale dell'Europa, ma io rispondo chiedendo: come si costruisce il pieno di egemonia culturale? Cio�, una volta considerato che l'America viene demonizzata, per� viene anche santificata, perch� in qualche modo questo � il rapporto bipolare che esiste, anche perch�, in genere, non c'� demonizzazione senza santificazione, l'Europa che cosa deve fare oggi? Bisogna dare una risposta, ma una risposta movimentista non mi si addice. Io sono per la pace con i �se� e con i �ma� e sono contro la guerra con i �se� e con i �ma�, non senza �se� e n� senza �ma�. Per� io devo dire anche che quando si dice che oggi i movimenti pacifisti rappresentano una potenza, in effetti, si dice una cosa giusta. Cio�, si dice che, comunque, le forme della partecipazione stanno seguendo canali differenti. La mia generazione ha, in effetti, vissuto in maniera abbastanza unidimensionale le forme della partecipazione. Per noi le forme della partecipazione politica passavano attraverso canali abbastanza moderni, abbastanza abituali, abbastanza ricorrenti e forse oggi stanno cambiando. Mi pongo il problema in maniera interrogativa. Forse stanno cambiando i modelli di partecipazione? Allora la domanda � non l'assenza di partecipazione, ma ancora una volta come la politica deve fare i conti, deve mediare, perch� la politica � mediazione, queste nuove forme di partecipazione. Io non penso che oggi ci sia una crisi di partecipazione, il problema � che, forse, i canali di comunicazione tra queste nuove forme di partecipazione, che secondo qualcuno sono la seconda potenza imperiale oggi nel mondo, devono trovare una forma di rappresentazione politica. � qui il problema. Quello che noi oggi scontiamo �, intanto, la totale incomunicabilit� tra i politici come mediatori e perfino le forme tradizionali di mediazione e, quindi, siamo ad un livello addirittura precedente a questo. Oltre questo, se andiamo avanti, vediamo che � ancora pi� difficile per i politici e per il sistema politico nel suo complesso, per volont� o per incapacit� dei politici, riuscire ad individuare le forme di mediazione dei movimenti. E allora succede quel che succede in Italia. Succede che il partito DS � scisso in tre parti. Allora io vi dico che le forme di frammentazione, storicamente, come quelle che stiamo vivendo oggi, preludono all'estinzione. Ho tanti testimoni stasera, e non me lo auguro di indovinare, ma vi dico che quando si arriva a quello a cui siano arrivati oggi, e sono notizie del ultimissime ore, si sta alla vigilia dell'estinzione politica. Anche questo la storia ce l'ha insegnato. Se il problema diventa esclusivamente il rapporto di natura strumentale con i movimenti, non � cos� che si fa la politica. La politica � sempre rappresentanza di interessi, mediazione, ma, andando effettivamente a riportare l'interesse, i fini di coloro che si rappresentano nel mondo della rappresentazione. Questa � la politica e questo � il problema oggi. Non � un problema di scarsa partecipazione, perch� la gente partecipa e tanto, ma partecipa nei modi pi� diversi. Il problema � esattamente come riuscire a far passare queste forme di partecipazione in un qualche luogo della mediazione politica che dia efficacia politica a tutto questo. Quindi, oggi non c'� una crisi di partecipazione, ma c'� una crisi della mediazione politica della partecipazione. Tutto ci� � una cosa ben diversa. Allora, lavoriamo tutti su questo. Ma se andiamo avanti in questo modo e se i due mondi, cio�, il mondo della politica e il mondo della partecipazione, dei cosiddetti movimenti, non riescono in nessun modo ad incontrarsi se non a livello strumentale da parte del mondo dei partiti della rappresentanza politica, non si faranno molti passi in avanti. Ecco perch� l'Europa potrebbe dare tantissimo su questo terreno, io ne sono convinto. Ma ancora una volta io penso che le responsabilit� siano in un concetto che non � proprio emerso in questa nostra conversazione, vale a dire il concetto di classe dirigente. Ma il discorso si farebbe molto pi� ampio.