1 Affetti di un disperato AFFETTI DI UN DISPERATO Lasso, vi prego, acerbi miei mart�ri, a unirvi insiem ne la memoria oscura, se cortesi mai s�te in dar tormento; poich� son tanti, che lo mio cor dura, di mille vostre offese i vari giri, ch'i' non ben vi conosco e pur vi sento: talch� di rimembrar meco pavento le mie sciagure. Or voi, sospiri accesi, ite a seccarmi i pianti in mezzo al varco del ciglio d'umor carco; e voi, da miei sospir miei pianti offesi, tornando in gi�, di lor vi vendicate con sommergerli adentro '1 mesto core, a cui per le vostr'onte ornai si toglia che possa la sua cruda amara doglia sfogar, poich� cos� agio non fate ch'uscendo fuor con voi il mio dolore, lasci l'albergo d'ogni nostro affetto; perch'io, finch� m'ha morto, in mezzo al petto serbarlo vo', se mai quel che m'avviva potr� menarmi del mio corso a riva. Perch� cadente ornai � '1 ferreo mondo e son gi� instrutti a farci strazio i fati, di pari con le colpe i nostri mali crebber sugli altri delle prische etati troppo altamente, poich� sotto il pondo di novi morbi i gravi corpi e frali gemono smorti, ed a la tomba l'ali il viver nostro ha pi� preste e spedite, e son sempre feconde le sventure di s� fatte sciagure non pi� per nova o antica fama udite, e dal pensier uman tanto lontane che crederle men sa chi pi� le prova: talch� sembra lo ciel che non pi� accenda benigno lume, onde qua gi� discenda un'alma lieta. Or chi cotanto strane guise di mali intende mai per prova, se potesse mirar qual � lo scempio che di me fa mio destin f�ro ed empio, al suo, ch'or chiama avaro ed or crudele, grazie sol renderia, non che querele. ��� Di qualunque animal, quando primiero a l'ime soglie del suo viver giunge, lo 'nfocato vigor onde ha la vita, con dolci nodi amici e' si congiunge la sua salma; e un caso adverso e f�ro, pur sia stella avara in darmi aita, o natura dal suo corso smarrita, di duo adversari me, lasso! compose: il mio mortale infermo, afflitto e stanco, ch'omai par venir manco, strazia l'alma con pene aspre, noiose; e '1 mio miglior, che d'egre cure abonda, affligge '1 corpo con crudeli pesti: e mentre, oim�! con pensier molto e spesso me 'nterno a sentir me contro me stesso, membro non ho ch'a l'anima risponda, poich� non ho vert� che i sensi d�sti, se non se 'n quanto mi si fan sentire gli acerbi effetti de' lor sdegni ed ire. In s� misero stato e s� doglioso va', spera, se tu puoi, qualche riposo. Ma '1 piacer f�ro di dolermi sempre parmi ch'alleggi in parte '1 mio cordoglio, se del mio stato a lamentar mi mena; ond'io, ch'a pi� e a pi� dolor me 'nvoglio, far�, cantando con suavi tempre, che pel contrario suo poggi mia pena. Vita sovra '1 mortai corso serena, moderati piacer, delizie oneste, tesori per valor vero acquistati, onori meritati, mente tranquilla in abito celeste; e, perch� pi� lo mio dolor s'avanzi, talch� null'altro mai fia che l'agguagli, amor di cui � sol amor mercede, e vicende gentil di f� con fede, venite al tristo pensier mio dinanzi, ch'e' vi far� sembrar pene e travagli a lo mio cor, perch� di duol trabocchi, s� come rossa gemma avanti gli occhi posta talora, egli adivien che facci rassembrar sangue il latte e fiamme i ghiacci. Rinfacciatemi or voi, s'unqua potete, qualche vostro favor, stelle crudeli! Ite, e ven prego, a ritrovarlo ornai entro quei moti de' benigni cieli, che 'nfluiscon qua gi� gioie men liete. Solo ben io da me so che non mai bevvi respir, che non traessi guai. Deh! perch� da la vita altra beata, stanco da tante alte sciagure e rotto, misero, fui condotto a la presente amara e disperata? Poich�, se mai a' giorni, a' mesi, agli anni, c'ho speso nel dolor, i' son rivolto, veggio esser nato per mia cruda sorte solo a fiamme, sospir, lagrime e morte. E cos� crudi scempi e acerbi affanni non m'hanno in quel che i' era ancor disciolto. Ah, che daranno tempo al fato rio che meglio studi 'l precipizio mio; se non � forse che la morte avara tema col mio morir farsi pi� amara! Mi venne sol da luminosa parte del cielo una vaghezza di destare a pie de' faggi e poi de' lauri a l'ombra la bella luce che fa l'alme chiare, ch'a la povera mia si spense in parte quando se 'ndoss� '1 velo onde s'adombra: talch�, d'alto stupor finor ingombra, parea a se stessa dir: - Lassa! chi sono? � debbami dar il nome; ma sempre '1 chiamer� pena e non dono, se affligge pi� chi pi� conosce il male. Oh inver beati voi, ninfe e pastori, cui sa ignoranza cagionar contenti, ch'obliati sudor, fatighe e stenti acquetar vi sapete a un dono frale o di poma o di latte over di fiori; ed al caldo ed al gel diletto e gioco vi reca l'ombra fresca e '1 sacro foco; ne altra gioia a voi sembra che piaccia che rozzo amore o faticosa caccia! Ma qual piacere i' seguo, afflitto e lasso, fra tanti strazi abbandonato e solo, ne la misera mia vita che meno? che fatto son noioso incarco al suolo, anco infecondo, dove '1 tronco e '1 sasso, come in suo centro, han la lor quiete. Almeno il mio piacer e' fosse il venir meno; ma '1 fato me '1 disdice. Or, se mi serbo sempre a novi sospiri e a pianti novi, piovi miserie, piovi sovra '1 mio capo, empio destino acerbo; e non voler meco mostrarti avaro d'altri scempi pi� infesti e pi� nemici, ch'i' tua penuria e non piet� la stimo; se non � forse invidia ch'i' sia '1 primo tra disperati e che mi renda chiaro essempio di dolor agl'infelici. Ma per le pene mie i' giuro a queste aspre selve, solinghe, orride e meste, che non mai turber�, mentre respiro, i lor alti silenzi un mio sospiro. Canzon, sola rimanti a pianger meco dove serbo '1 dolor, n� fra la gente d'ir chiedendo piotate abbi vaghezza; che l'alto mio mart�r conforti sprezza. Ma, se doglia compianta e' men si sente, sdegna ch'ancor tu resti a pianger seco l'afflitto cor, che disperato v�le che l'aspre pene sue si sentan sole. 3,1 A Massimiliano Emanuele A MASSIMILIANO EMANUELE ELETTORE DI BAVIERA Qual novo lume col divin suo raggio d'almo splender la mente orna e rischiara, e di gran cose i miei pensier informa? Onde mi viene ornai luce s� chiara, che m'apre ad alta impresa il gran viaggio, a cui muover da me non posso un'orma? Chi mai con luminosa alt�ra norma, l'ombre scuotendo a lo mio ingegno intomo, me 'ndrizza ad opre un d� forse pregiate? Lume di nostra etate, che d'ogni alta virt� riluci adorno, signor, che reggi di Baviera il freno, le meraviglie ch'io provando ammiro, sono del valor vostro effetti usati, tal ch'i pregi in altrui via pi� lodati le minor laudi vostre avven che sieno: se quell'ampio splender, che 'n me rimiro, breve barlume � sol che diffondete di quella luce onde s� ricco s�te. Che dunque dietro a voi mie lodi alzassi, ardir non �; poich'egli osar non v�le, ne pu� cotanto, e ne, potendo, il deve: ma son quasi cristallo opposto al sole, ove si rompa il raggio, e non trapassi, che la rimanda il lume onde '1 riceve. Fugga or da me cura noiosa e greve, che '1 veglio che giamai non stanca l'ale mio nome alfin d'oscuro oblio non copra; se m'avvalora all'opra chi puote in sua virt� farmi immortale; che son di tanta gloria e d'onor degni fuor d'uman corso i minor pregi suoi, che di lor chi pu� mai ritrarre 'n carte alle future et� picciola parte, fa pi� di quel ch'i pi� spediti ingegni f�to lodando i pi� nomati eroi. Or di quest'alta speme il bei pensiero a ragionar di voi mi mena alt�ro. Ma di tante virt� di quant'io posso col debil sguardo sostener la luce, quai f�en mezze a narrar e quai f�en prime? Tal dubbio in forse ogni consiglio adduce, e la copia del dir, la quai m'adosso, sul bel principio fa mancar mie rime. Or quai convien che de la fin s'estime? Pur seguendo '1 desio che mi fa strada, vo' con lo stile a mio poder alzarmi. Prima gloria de l'armi, onoro in voi quella temuta spada, a' cui lati si stan senno e valore, ov'� la maest� nell'else assisa, e da la punta sua dipende il fato. Quella spada onor'io, a cui vien dato dalla terra e dal ciel ogn'alto onore sovra qualunque pi� onorata guisa, salvo ci� sol che di lei non rimbomba di Smirna e Manto assai pi� chiara tromba. E ben eran ornai di nobil carme inf�n d'allor le vostre geste degne, che sotto '1 grave acciaio il capei biondo primier premeste intra le chiare insegne di quel gran padre vostro, in pregio d'arme primo a tutt'altri, ed or a voi secondo: indi non mai sper� cotanto il mondo, che non restasse dietro a vostre imprese ogni qualunque suo desir pi� egregio: allor nel vostro regio animo il dio combattitor discese; dove poi la ragion, ire spirando, quel valor sovrumano in voi produsse che conoscer non sa rischi e terrori. Quinci dell'armi in sui pi� f�ri ardori quanto fu vago mai di gir pugnando l� sempre ove maggior periglio f�sse, tu, vera Gloria, testimon di lui in mille chiari fatti, il narra a nui. Narra pur anco a noi come de l'arti di sovran duce egli arricch� lo 'ngegno, non con gli altrui, ma co' suoi sommi imperi: e 'n conquistar citt�, provincia o regno, come deggia adempir l'alte sue parti, e' l'appar� da' suoi trionfi alt�ri. O nati a bei dest�n almi guerrieri, sotto colui trattando i ferri vostri, che de' consigli suoi va s� potente, qual di noi presta mente tanto vigor in una a' sensi nostri porge giamai, quanto '1 suo senno a tante armate schiere, ed intra lor diverse e d'abiti e d'ingegni e di linguaggi? E quando di pensier pi� accorti e saggi videsi un duce mai fra tutte quante le chiare armi o latine o greche o perse? Cotanto quel di voi senno canuto ha visto di lontano e provveduto. Quind'� che degne sol de' vostri impieghi son le pi� dubbie imprese e le pi� grandi, s'ove il poder ostil siasi dimostro, tal ch'ogni uman consiglio a terra mandi ed ogni mortai forza o rompa o pieghi, ivi '1 senno adoprate e '1 valor vostro. Deh! prestare credenza al sermon nostro, vegnenti a noi, che di sua alt�ra, invitta vert� narra pur poco: e a chi noi crede allor fanne tu fede, in virt� di sua mano, Asia sconfitta; o possanza d'Europa, o forte mano, infra tanti furor d'arme infedeli, te non essendo, or chi di noi saria? Che se '1 pensier indietro l� me 'nvia rimembrando me 'ngombra un timor vano di veder da per tutto empie e crudeli straggi di noi, e fumar d'ogni loco in un orribii misto il sangue e '1 foco. Gi� panni di veder madri piangenti co' figli pargoletti uccisi in seno, ch'�mpian di tristo orror il petto mio; e le sacre donzelle udir non meno sospirar, vergognose, egre, dolenti, il f�or de l'onest� donato a Dio. E gi� mi sembra al furor empio e rio altro scampo che '1 Ciel a noi non resti; onde la vita in me medesmo abborro. Per� dove trascorro, s� vaneggiando co' pensier funesti, e non pi� tosto mi rallegro ornai con meco stesso, sol per� ch'io veggia un'et� ch'un signor s� grande onora? Sia benedetta mille volte l'ora che tanto in alto i miei pensier alzai, onde convene ch'altro ben non chieggia, se tal senno al valor � 'n voi congiunto, che '1 mestiere de l'armi al sommo � giunto. Canzon, tu via me 'nf�ammi anzi ch'acqueti nel bel novo desio che a dir me 'ncende de la pi� alt�ra e chiara gloria nostra: per� rimanti, prego, entro la chiostra de' pensier miei di t� gioiosi e lieti, fin che la man l'usato stil riprende, poich� d'aver compagne hai vera brama a gir col� dove '1 dover ti chiama. 3,3 A Massimiliano Emanuele ALLO STESSO Poich� l'umil, devota, accesa voglia di bei nuovo mi mena, a ci� ch'i' dica maggior cosa di voi, real signore, prego la mente, dell'oblio nemica, perch'i' al fin giunga ove '1 desio me 'nvoglia, che raddoppi al bisogno il mio valore. Se lo stil, che gi� mosse a farvi onore, tanta da voi di chiari pregi illustri tien copia, che mancar non mai potrebbe. E chi tacer saprebbe, rimembrando per cento e mille lustri sudar tra l'arme imperadori e regi per voi ripor tra le corone e gli ostri su quella somma altezza in cui sedete, e l'alta stirpe oltrapassar le mete degli onor tutti imperiali e regi: tanto che spiacque agli stess'avi vostri, non essendo di lor chi mai pensasse ch'altro loco di gloria a voi restasse? O grand'alme s� amiche al cielo e care, ch'or tenete tra bei splendori eterni le sue parti pi� alte e pi� serene, se giungon mai su' nidi almi superni del gran nipote l'opre degne e rare a recar n�ve gioie al vostro bene, or d'allegrarvi in Dio pi� vi convene, poich� sol fu quell'alta gloria vostra una bell'alba del mio chiaro sole. Che 'n s� gravi parole non p� mai risonar la lingua nostra, che dica in quanta maestate alt�ra fu da l'invitta sua virtute alzato sovr'ogni suo pi� eccelso onor antico; ch'intenta or pende dal suo cenno amico di prencipi sovrani un'alta schiera, che sol confida in suo valer provato, sicura che da' regni unqua non cada, poi ch'appoggi� gli scettri a la sua spada. E quel re formidabile, che regna entro l'Alpi, Garona e l'onde salse, che '1 giogo ornai credeasi al mondo imporre, incontra '1 suo poder cotanto valse il nome sol ch'oggi a laudar m'insegna, ch'or a pie de la pace umil ricorre. O nome glorioso! E chi rincorre tutti tuoi pregi alti, ammirandi in guisa ch'ognor ne parla, e sempre '1 pi� ne tace, quella Donna loquace ch'a mezzo '1 cielo in alta r�cca assisa de' rumor di qua gi� si nutre e cresce, voce formando, che, se via pi� gridi, divien men roca e 'n chiaro suon pi� sale. Indi accoglie ogni nome alto, immortale, a cui vaghezza e meraviglia mesce, e per tutti i remoti estrani lidi, risuonando tra noi, chiaro il riporta fin da l'una del sole a l'altra porta. Alto desio, tu s� me 'nf�ammi '1 petto, ch'i' ben m'aweggio ornai che l� mi meni ov'� forza atterrarsi il pensier mio: onde, di riverenza e timor pieni, treman lo stil, la mano e lo 'ntelletto, ch'i', te seguendo, tanto in su gl'invio: e potrebbe sdegnar '1 Ciel, perch'io col tenebroso debii guardo intemo voglia spiar le pi� riposte cose di Colui che dispose de le basse cagion l'ordin etemo, e formata di ben saldi diamanti stende di lor lunghissima catena, con la qual cinge e tiene avvinto il mondo. E, mosso in sua ragion cupo e profondo, inverso noi da mille etati innanti, per orror cos� densi il passo mena, che chi pon cura di non girli incontra, quando crede fuggirlo, allor lo 'ncontra. Ma, se a la vostra altissima fortuna, felicissimo Sire, i' mi rivolgo, sembra ch'al Fato il valor vostro imperi: onde s� forte dubio i' tra me volgo (tante grazie sul brando il Ciel v'aduna!), se sien maggior in voi l'opre o i pensieri; ch'ogni grand'alma di desir pi� alt�ri non pu� giamai desiderar cotanto, quant'otteneste voi da' cieli amici. Faccian pur i nemici schermo che 'n sicurezza abbia ogni vanto di montagn'aspre e d'alti spaziosi rapidi fiumi, o pur d'orrido cielo, ch'ad un sol cenno vostro obbedienti vedransi e la natura e gli elementi, agevolarsi i monti faticosi, seccarsi l'onde e dileguarsi il gielo; tal che non f�a per voi tempo distinto tra '1 venir, il veder e l'aver vinto. E svegli pur risse, tumulti e guerre tra regnanti cristian l'Invidia amara, che sempre mai colla Fortuna giostra per far (e questa sola � la pi� avara voglia di lei) che tra conf�n si serre d'Europa almen l'alta fortuna vostra. Che, come allor che da l'eterea chiostra quando '1 gran Giove via pi� d'ira avvampi, tuona qua giuso, il suo folgor ardente suole recar sovente belle speranze agli assetati campi, e a le torri superbe alti timori; e' cos� recher� la vostra spada un'alma pace al buon popol di Cristo, e che pel santo glorioso acquisto porter� a l'Asia guerra, ira e furori, u' con navi e cavalli ornai sen vada gi� panni, e d'ascoltar la lieta voce che sovra la gran tomba alzi la croce. Rallegratevi, dunque, or con voi stessi, tu famoso de l'armi alto mestiere, che per suo senno � tua ragion compita, e tu, bella virtute, ch'a s� alt�ro campione hai gli onor tuoi tutti commessi, ne 'n questa et� pi� vai sola e smarrita; e colmo ancor di gioia alma infinita vadasi il mondo, che la gloria immensa del suo gran nome riverente onora; e volga lieto ancora lo Ciel ch'i suoi favor largo dispensa a chi mai sempre al ben gli pone in uso; e sovra tutti ornai convien che goda lo stil che '1 valor suo mi pose in mano, ed oh bei pregio mio sommo e sovrano! s'alzato e' siasi mai cotanto in suso che pur si fosse di sua etema loda sol indrizzato, non che giunto al segno, che non fora del mio stile pi� degno. Canzon, andrai con l'altre a veder quella, che pensier non imita, alma persona, che 'ngombro ha di sua gloria il mondo intero; e, giunta al suo cospetto, umile, alt�ro, dirai devota in atto ed in favella: - Se ciascun detto nostro una corona fosse immortal, pur a l'onor devuto, a voi, signor, saria piccioi tributo. 5 Giunone in Danza GIUNONE IN DANZA Io, de le nozze riverito nume, che le genti chiam�re alma Giunone, che, perch� sotto il mio soave giogo or due ben generose alme congiunga, gentili cavalieri e chiare donne, co' prieghi umili di potenti carmi invocata, qua gi� tra voi discendo; e perch� sotto il mio soave giogo due alme al mondo sole or io congiunga, menovi meco in compagnia gli d�i, che 'nalz� sovra il ciel l'etade oscura, con Giove mio consorte e lor sovrano. Come? ben si convenne al secol d'oro con semplici pastori e rozze ninfe in terra conversare i sommi d�i, e, 'n questo culto di civil costume ed in tanto splender d'alma cittade, almeno per ischerzo, almen per gioco vedersi in terra i d�i or non conviene? Questa augusta magione e d'oro e d'ostro riccamente ornata, ove 'n copia le gemme, in copia i lumi vibran s� vivi rai qual le pi� alte e le pi� chiare stelle di cui s'ingemman le celesti logge, s'albergare qua gi� vogliono i d�i, ov'alberghin i d�i non sembra degna? e quell'argentee ed ampie mense, dove l'arte emulando il nostro alto potere, l'indiche canne e i favi d'Ibla e Imetto presse di eletti cibi in mille varie delicate forme, le quali soavemente si dileguan sui morsi, si dileguan tra i sorsi, non somiglian le nostre eteme, dove bevesi ambrosia e nettare si mangia, che quali noi vogliam danno i sapori? Tutto a questo simil, dolce concento di voci, canne e lire risuonan di Parnaso le pendici e le valli, quando cantan le muse e loro in mezzo tu tratti l'aurea cetra, o biondo Apollo. Ma questi regi sposi, de' rari don del cielo quant'altri mai ben largamente ornati, di tal mortali onori di gran lunga maggiori degni pur son d'un nostro dono eterno; onde adomiamo in essi i nostri stessi etemi don del cielo. I terreni regnanti, che stanno d'ogni umana altezza in cima, stiman sovente di salir pi� in suso scendendo ad onorare i lor soggetti; e i terreni regnanti son pur essi soggetti a' sommi numi, e, perch� sol soggetti a' sommi numi, han stabilito i sommi regni in terra. Perch� lo stesso a noi lecer non debbe? che, perch� onnipotenti, credettero le genti poter pur ci� ch'� 'n sua ragion vietato, e fur da noi sofferte che credessero il tutto a noi permesso, purch� credesser noi potere '1 tutto e s� le sciolte fiere genti prime apprendesser, temendo, dal divino potere ogni umano dovere. Del garzon dunque valoroso e saggio che coll'alte virtudi veracemente serba il nome antico, che d'IMMORTALIT� risuona AMANTE, e de l'alta donzella, di cui sovra uman corso vien dal bei corpo la virt� pi� bella, ond'� a la terra e al ciel cotanto CARA che fatto ha sua natura il nobil nome, ornai l'inclite nozze festeggiamo danzando, o sommi d�i; e chi a menar la danza ha ben ragione, l'auspice de le nozze ella � Giunone. Esci dunque in danza, o Giove, ma non gi� da Giove massimo, di chi appena noi celesti sostener possiam col guardo il tuo gran sembiante augusto; esci s� da Giove ottimo, con quel tuo volto ridente, onde il ciclo rassereni e rallegri l'ampia terra, e dovunque s� rimiri, fondi regni, inalzi imperi, tal che '1 tuo guardo benigno egli � l'essere del mondo. Deponi il fulmine grave e terribile anche a' pi� forti, non che lo possano veder da presso queste che miri, queste che ammiri tenere donne tanto gentili e delicate. Ti siegua l'aquila, pur fida interprete de la tua lingua, con cui propizio favelli agli uomini e loro avvisi palme e grandezze. Anzi voglio, e non m'� grave (che gelosa io qua non venni), che tu prenda quel sembiante d'acceso amante non di sterili sorelle, ma di quelle chiare donne che di te di�ro gli eroi; e 'n s� amabile sembianza esci pur meco, o sovran Giove, in danza. Il mio gran sposo e germano non gi� in terra qui da voi, caste donne, i chiari eroi unqua adultero fur�. Suo voler sommo e sovrano, che spieg� con gli alti ausp�ci, tra gli affetti miei pudici ei dal ciel gli eroi form�. Porgi or l'una or l'altra mano a chi f�nse la gelosa, e d'eroi tal generosa coppia ben f�a quanto da noi si pu�. E tu vaga, gentil, vezzosa dea, alma bellezza de' civili offici, che son le Grazie che ti stan da presso, e poscia i dotti 'ngegni t'appell�ro de le sensibii forme alma natura, e una mente divina al fin t'intese de l'intera bellezza etema idea; per Stige, non istar punto crucciosa perch� tu qui non empi il casto uf�cio, qual ti descrisse pure a nozze grandi un'impudica pi� che dotta penna, che '1 mio (qual dee tra noi, pur regni il vero) � sopra '1 tuo vie pi� solenne e giusto, poich� tu sembri (e sia lecito dirlo) ch'a letti maritai solo presiedi le licenze amorose a far oneste; se de le proli poi nulla ti curi, ma ben le proli io poi, Lucina, accoglie, Quest'or mio dritto f�a, qual fu tuo dritto ne la gran contesa dal regale pastor come pi� bella di riportarne il pomo: or pi� non dico; che, quando del mio uf�cio si ragiona, allor parlar non lice d'altro che di concordia, amore e pace, talch� mi cadde gi� da l'alta mente il riposto giudizio; anzi unir� co' tuoi tutti gli sforzi miei pel tuo sangue troiano, e l'imperio romano per confin l'oceano abbia e le stelle. Ti cingano or le Grazie; ti scherzino, ti volino d'intomo mille Amori, e a le tue dive bellezze da' le forme pi� leggiadre di sorrisi, guardi, moti, atti, cenni e portamenti, qualor suoli quando Giove vuoisi prendere piacere di mirar la tua bellezza. In tai guise elette e rare esci. Venere, ornai meco a danzare. Da questa dea prendete idea, o sposi chiari, o sposi cari; ch� della vostra in questa chiostra pi� bella prole non veda il sole; e a te di padre, a te di madre figli vezzosi rendano i nomi pi� che m�l gustosi. E tu, gran dio del lume, che nel cielo distingui al mondo l'ore, e qua gi� in terra sopra il sacro monte presso il castalio fonte, valor spirando al tuo virgineo coro, fa' i nomi de' mortai chiari ed eterni; memore io vivo pure che, 'n buona parte a t� debbo io le nozze, s� che 'n gran parte a t� debbo il mio regno, che 'n quella senza leggi e senza lingue prima infanzia del mondo, la t�ma, l'ira, il rio dolor, la gioia con la lor violenza insegnarono all'uom le prime note di t�ma, d'ira, di dolor, di gioia, qual pur or suole appunto, da tali affetti t�cco gravemente, il vulgo, qual fanciul, segnar cantando, indi le prime cose che destassero pi� lor tarde menti, o le pi� necessario agli usi umani, quai barbari fanciulli, not�ro con parole di quante mai poi f�r pi� corte ed aspre; ed in quella primiera e scarsa e rada e, perch� scarsa, rada lor favella, eran le lingue dure, non mobili e pieghevoli, com'ora in questa tanta copia di parlari, a' quali 'n mezzo or crescono i fanciulli, a proferir da �mpito portati, e a proferir da l'�mpito impediti, qual fanno i blesi, prorompean nel canto; e, perch'eran le voci corte, quai fur le note poi del canto, mandavan fuori per natura versi; n� avendo l'uso ancor di ragion pura, i veementi affetti soli potean destar le menti pigre, onde credean che 'n lor pensasse il core. Ed in quella che puoi dir fanciullezza de l'umanitade soli i sensi regnando e, perch� soli, ad imprimer robusti ne l'umano pensiero le imagini qual mai pi� vive e grandi, e da la povert� de le parole nata necessit� fame trasporti, nata necessit� fame raggiri, o mancando i raggiri e gli trasporti, da evidenti cagioni o effetti insigni o dalle loro pi� cospicue parti o d'altre cose pi� ovvie ed usate, co' paragoni o simiglianze illustri o co' vividi aggiunti o molto noti, s'ingegn�ro a mostrar le cose istesse con note propie de le lor nature, che i caratteri f�r de' primi eroi, ch'eran veri poeti per natura che lor form� poetica la mente, e si form� poetica la lingua; ond'essi ritrov�r certe favelle, che voglion dire favole minute dettate in canto con misure incerte, ed i veri parlari o lingue vere gli uomin dianzi divisi un�ro in genti e le genti divise un�ro a Giove, ond'� il mio sommo Giove eguale a tutti; e tal fu detto favellare eterno degli uomini, de' d�i, de la natura, onde nefandi son, n� mai p�n dirsi ch'era in lor favellar, non mai p�n farsi le madri mogli ed i figliuoi mariti. E s� la forza de' bisogni umani e la necessit� scovrirgli altrui e la gran povert� de le parole e la virt� del ver comune a tutti, che mostr� l'utiltade a tutti uguale, dest�ro unite il tuo divin furore, di che pieni que' primi eroi poeti, de' quai f�ro tra lor le greche genti famosi personaggi o comun nomi celebri, Orfeo e Lino ed Anfione, che coi lor primi carmi o prime leggi primi sband�ro da le genti umane ogni venere incerta e incestuosa; e venne in sommo credito il mio nume, ond'io presiedo a le solenni nozze, le quai f�ro solenni i divi ausp�ci presi del ciel ne la pi� bassa parte, perch� Giove pi� su balena e l'etra fin dove osa volar l'aquila ardita. E perch� son le certe nozze e giuste le prime basi degl'imperi e regni, Giove egli � '1 r� degli uomini e de' d�i, a cui '1 fulmine l'aquila ministra, l'aquila assisa a' regi scettri in terra e del romano impero alto nume guerriero; ed io, di Giove alta sorella e moglie, s� fastosa passeggio in ciel regina e coi comandi d'aspre e dure imprese, quante Alcide se '1 sa, pruovo gli eroi. Questi tutti son tuoi gran benef�ci, de' quali eteme grazie io ti professo. Per�, canoro dio, per la tua Dafne, volentier sopporta che la gran coppia de' ben lieti sposi non t'invidi Parnaso e '1 sacro coro, ch� quest'alma cittade, fino da' primi tempi degli eroi patria de le sirene, perpetuo albergo d'assai nobil ozio, nutr� sempre nel sen muse immortali, e pruove t� ne fan troppo onorate i Torquati, gli Stazi ed i Maroni. Ma tu taci modesto or le tue pompe, ma io grata, anzi giusta, or te l'addito; ne a scernergli me '1 niega con l'ombre sue la notte, la qual, col nostro qui disceso lume onde tu vai vie pi� degli altri adorno, vince qual mai pi� luminoso giorno. Col� stretti uniti insieme vedo il rigido Capassi col mellifluo Cirillo. De le genti egli maggiori quegli � '1 mio dotto Lucina, con cui va fido compagno il sempre vivo, sempre spiegato, sempre evidente, Galizia nostro. V'ha l'analitico chiaro Giacinto; e a chi il cognome, provido il cielo, diede d'Ippolito, il cui costume al casto stile avea di questi serbato il cielo. Quegli, se rompe cert'aspri fati, sar� '1 Marcelle d'un'altra Roma. Ve pur colui a cui nascendo col caso volle scherzare il fato. e di Poeta di�gli il cognome. Quegli � l'Egizi, ch'a lento pi� e con pia mano cogliendo va dotte reliquie d'antichit�. E, a quello unito, d'un che s'asconde agli altri tutti, il qual tu, Febo, spesso e ben vedi, esce un bel nome, che chiaro a tutti suona Manfredi. Stavvi '1 Rossi meditante alta impresa presso Dante: una dolce e gloriosa l� verdeggia nobil Palma; e v'� un Dattilo sublime. Ivi '1 Buoncore coltiva l'erbe di cui gli apristi tu le virtudi; e l� '1 Perotti con nobii cura e' sta rimando l'egra natura. A le cose alte e divine indi s'erge e spiega il volo il gentil dolce Spagnolo. Quei ch'� 'n s� tutto raccolto entro sua virtude involto � '1 buon Sersale, sempre a s� uguale; e quell'altro egli � il Salerno, in cui parlano i pensieri. Quegli � '1 Luna, dal cui frale or la mente batte l'ale su del ciel per l'alte chiostre a spiar le stelle nostre. Quello, al cui destro omero aurata pende una lira, sembra un romano Nobilione; e v'ha quel che la fortuna, non gi� il merto, il fa Tristano Ve"lValletta l'onore del suo nobii museo; anche '1 Cesare ornato del bel fiore di Torquato; il leggiadro Cestari, il Gennaio festivo, il Viscini venusto, pur l'adorno Corcioni, il Forlosia dolciato e ritrosa, Diana; � s� ben la tua vita, vita degna di nume, menar l'etade eternamente casta d'ogni viril contatto; talch� le sante membra n� men tocchi col guardo uomo giammai, come pur d'Atteon, che n'ebbe ardire, tu gi� facesti aspra vendetta al fonte; ma, se pur mai seguisse ogni donzella i tuoi pudici studi, non aresti or, o dea, chi t'offrirebbe e vittime ed incensi in sugli altari. Per� Giove, che '1 regno sopra '1 gener umano a noi conserva onde '1 regno ben ha sopra di noi, egli siegue un piacer dal tuo tutt'altro: piacer che gli produce ne l'ordine de' d�i il nome augusto, che '1 dal giovar creando � detto Giove, che dal profondo nero sen del Cao trae fuor le cose in questa bella luce sotto le varie lor forme infinite de le quali fornisce e adorna il mondo, e da tale suo studio �padri� voi d�i, �madri� noi d�e siam dette E quindi awien che, come Giove abborre la rea confusion de' semi tutti, che poi dissero �Cao� color che sanno, cos� odia e detesta la rea conf�sion de' semi umani, che prima disser �Cao� le rozze genti. Intendi, intendi pure l'alte leggi del fato; tu t'innalzasti in cielo, perch� Giove con teco e gli altri numi serbasse in terra le virt� civili, che p�n sole serbar la spezie umana: ei comanda le nozze, che madri son de le virt� civili, ond'io, moglie di Giove, le fo certi e solenni, Venere, dolci, e tu le fai pudiche, e 'n carmi ne dett� le leggi Apollo; onde Imeneo sul Pindo a lui sacrato nacque d'Urania che contempla il cielo, e l'educ�re le sue sacre muse, che cotesta, che tu pregi cotanto, eterna castit� vantano anch'elle. Deh mira adunque, deh mira intorno con ciglio grato tante matrone, fide custodi de l'alto sangue di tante illustri chiare famiglie, tra' quai torreggia di m�l che timo odora, il Mattei che valore ha del nome maggiore, e con atti modesti l'amabil Vanalesti, e '1 de' tuoi sacri studi vago Salernitano, e '1 di t� acceso Puoti, altro Rossi splendente quanto l'ostro di Tiro. Ma que' che lieta accoglie la Sirena sul lito, l'un cui par che '1 petto aneli ed a un tempo stesso gieli tutto e bagni di sudore sol la fronte, � '1 Metastasi, pien del tuo divin furore, a cui serve or senno ed arte; l'altro � '1 Marmi teneruzzo. Venuti anche tra questi son da l'Attica tosca in bei drappel ristretti, bei tuoi pregi e diletti, cento gentili spirti, cinti di lauri e mirti. � con questi il gran Salvini, il qual presso al nobil Arno � un'intera e pura e dotta gran colonia d'Atene, che comanda a cento lingue ed un gran piacer dimostra d'ascoltar l'origin nostra. Per onorar tanti pregiati ingegni, ch'a nozze tanto illustri or fanno onore, mastro divin de l'armonia civile, che tu accordasti con le prime leggi, e, perch� son le leggi mente d'affetti scevra la qual qui scende agli uomini dal ciclo, le leggi poi stimate don del cielo mastro ti f�r de l'armonia celeste; �giati al seno ornai cotesta cetra, c'hai finor t�cco assiso agiata in grembo, e col pi� vago e pi� leggiadro vezzo esci a danzare, o dotto Apollo, in mezzo. Tempra, Febo, l'aurea lira a' bei numeri del pi�, qual s'arretra o inoltra o gira o pur salto in aria die'. Di tua cetra il dolce suono l'aspre f�re raddolc�, e di tua bell'arte � dono, perch� l'uom s'ingentil�. S� la venere ferina de le terre Orfeo fug�, e la cetra sua divina poscia ornata di stelle in ciel vol�. Non ti mostrar s� schiva la bella madre del vago sposo. N� creder tutte le tue seguaci ch'abbiano in core quel c'hanno in viso. Vener te '1 dica quai caldi voti pur d'esse alcune l'offron secreti. Per� non isdegnare ch'eschi meco a danzare. In quest'aria vergognosa s� ti voglio, o casta diva, e mi piaci cos� schiva, che mi sembri tu la sposa. Come ben la castitade fa pi� bella la bellezza! Prende pi� che gentilezza un'amabile onestade. Cos� 'nsegna il tuo diletto ad amare e riverire; e cos� convien covrire bella sposa, l'arder che nutri in petto. Ma tu non tutta spieghi, Marte, qui la tua fronte, la qual sembra turbar cruccio importuno, forse perch� non tosto dopo Giove e, se bene m'appongo, innanzi Giove, io t'inchinai ch'uscissi a danzar meco? In questa diva festa celebrata in Italia, ognor feconda madre di saggi, prodi, invitti duci, ne la citt� che sovra l'altre in grido il pubblico inalz� genio guerriero, per queste liete nozze e d'una nobil sposa il cui gran genitore per raro valor d'arme � assai ben chiaro, e d'un sposo gentile, il cui gran zio, che puoi tu dir gran padre, nel mestiere de l'armi � assai ben noto. Io tutto ci� confesso e riconosco essere tutto ci� ben tua ragione, e dir� molto pi�: siamo in tua casa. Non per tanto io peccai contro la legge che de la danza gi� prescrisse l'uso, ma sommisi la danza ad una legge la quale m'ha dettato alta ragione. Pria t'accese al valor alta pietade e somma diligenza inverso Giove, ond'egli avviene che d'eteme glorie segnan gli annali e adomano l'istorie le guerre che tu imprendi e pure e pie, che 'ncominciasti a far fin da que' tempi che difendevi l'are o i primi asili con l'asta pura o scevra ancor di ferro; e l'asta pura poi serb� '1 romano per premio insigne al militar valore, ond'� Minerva astata la mente che delibera le guerre, Pallade astata che n'insegna l'arti, Bellona astata alfin, che l'amministra; e l'aste sole f�ro arme d'eroi, e perci� abbiam da l'asta tu di Quirino, io di Quirina il nome, che sopra degli eroi le nozze intesi e portava a la luce i figli loro quando ancor non avean le vili plebi le mie nozze tra lor solenni e giuste. E ricordar ti d�i che molto innanzi che spirassi furore, ira e spavento agli schierati eserciti in battaglie, questa Venere i tuoi spirti feroci con la scuola d'amor rese gentili, e la fierezza ti cangi� in braura; poi t'ispir� Diana i suoi diletti d'assalir orso o di ferir cinghiale; studi ben degni de' primieri eroi, che gli Alcidi portar sopra le stelle. Indi Apollo cant� le sante leggi, ond'i tuoi araldi, ad alta orrenda voce chiamando in testimon il sommo Giove che non son essi i primi a far l'offese, e se lor non s'emendano l'offese, intiman le solenni aspre crudeli e da le madri detestate guerre. Par c'hai posto in oblio l'antica e vera origine ch'avesti: non sei tu, puoi negarlo, la fortezza di Giove, ch'esercitasti pria contro te stesso, con vincere e dipor ne le catene de la ragion invitta la libidine vaga? e d'una donna solo contento e pago, indi apprendesti domar sotto il paterno imperio i figli ed a lor pr� domare i f�ri mostri, domar i tori a sopportare il giogo, domar la terra a sopportar l'aratro? Poscia le plebi erranti, inerti ed empie, a cui apristi gli asili ove si rifugg�an da l'onte e i torti che lor faceano i violenti ingiusti, domasti a sopportar legge e fatica, e col tuo esempio a riverire i d�i, e per la patria alfine, ch'a' popoli conserva e moglie e figli e casa e campi e d�i, con la guerra domar genti e cittadi? Dunque, tempra l'aria fiera col mirare riverente il tuo re benigno Giove, col mirare innamorato la tua Venere benigna. E mesci insieme l'ira d'Achille; ma che le leggi non isconosca de la natura, ne arroghi a l'arme ogni ragione. Mesci d'Enea l'alta pietade: ma le regine non abbandoni e se ne porti col loro onore anche la vita. Mesci l'amore del grand'Orlando, ma pi� temprato da la ragione. Con tai leggi ch'io ti reco esci, Marte, a danzar meco. A questa immago altera d'alta virt� guerrera nascano i figli a voi, ben lieti sposi: talch� gl'incliti e gravi bei trionfi degli avi sieno a petto dei lor meno famosi; e ne le loro glorie s'ergano s� l'istorie che poema giammai tanto non osi. Son tuoi propi doveri festeggiar queste nozze, Mercurio mio, gran messaggier di pace; ch� gentilesca lode � ben di questi Filomarini padri esser grati egualmente al popolo e a' sovrani e di placare i r� coi lor soggetti, qual agli uomini tu concili i numi; come di te poscia cant�r coloro che vollero di noi far pi� alte l'origini e pi� auguste. Ch� tu qui primo in terra a le plebi per tedio sollevate di sempre coltivare i campi a' padri per solo sostentar l'egra lor vita, che per salvar pria rifugg�ro a l'are, portasti l'alme leggi, che Cerere leggifera ti diede: ch'avessero le plebi il commerzio de' campi, che pria occup�re e reser colti i padri; e questa fosse loro la merc� giusta d'obbedire a' padri, donde tu avesti di Mercurio il nome. Indi, nate le guerre, fosti poi santo apportator di pace. Dunque in questa alleanza esci ora meco in danza. Questa pace con la face tratta Amor: e gli amanti, anelanti d'almo ardor, la tua verga non asperga del tuo, ch'uopo or non fa, dolce sopor. La sapienza di Giove d'invitar non ardisco, ch� troppo onor pure ne fa Minerva con lo stare a guardar la danza nostra. Dunque bastar ci dee che qui v'assista, o fortunati sposi, ed a pure, sublimi e chiare idee d'eterne verit� v'alzi la mente, a cui saggi formiate i vostri figli talch� 'n senno niuno altro somigli. Per�, bench� di t� sol paga, sdegni, non che parlar giammai di tue bell'opre, pur udirle giammai lodar da altrui; soffri, Minerva, pur che 'n tua presenza tanto io ne dica sol quant'egli 'mporta ch'io ne adorni il mio uf�cio onesto e santo. Da te provenne a l'uomo il talento divin di contemplare, e poich� l'ampia terra tutta secc� l'umore onde gran tempo dal gran diluvio ella rest� bagnata, talch� poteo Vulcano fulmini mandar sopra l'Olimpo a Giove, i fulmin ch'atterr�r gli empi giganti; l'uom da quel primo tempo ne l'ozio, solitudine e, per somma povert� di parlari, necessario silenzio, dal fulmine destato a contemplar pur finalmente il cielo, da' moti insigni degli etemi lumi animato il credette e '1 fece dio; e la sua volont� chiam� �'1 mio Giove�, che scrivesse nel cielo col fulmine le sue temute leggi, o vero pubblicassele col tuono; che scrivesse nel cielo de l'aquila coi voli gli adorati comandi, o li dettasse d'altri augei col canto: onde ne l'aurea etade fu detto che leggessero le genti l'alte leggi de' fati in petto a Giove. E quindi poscia vennero a' poeti quei lor nomi di �vati� e di �divini�, che f�ro �sacri interpreti de' d�i�, quando una cosa istessa era sapienza, sacerdozio e regno. E questi in quel sommo stupor del mondo quei �pochi� fur �ch'am� Giove benigno�, ch'over mossi da t�ma o da vergogna de la vener ferina in faccia al cielo, pentiti del comun brutal errore, presa ciascun per s� sola una donna, e credendo i volati degli augelli fosser cenni di Giove, proseguendo dell'aquile gli auspici in certi sacri orrori, si fermare de' monti, dove loro mostr� Diana i fonti, e quivi con le lor donne pudiche fond�re le famiglie, e poi le genti fabbric�re le picciole cittadi, cui con l'aratro disegn�r le mura; il concubito vago proibir�, dier le leggi a' mariti e 'ntagli�ro nel rovere le leggi: e questa fu prima sapienza in terra, ond'� venuto in questo culto il mondo. Tanta parte. Minerva, hai ne le nozze, se non le nozze a te si debbon tutte. Vulcano qui non danza, ch� ne men danza in cielo; ma, 'n cambio de l'onor qui da degnarvi, doni di lui pi� propi or v'apparecchia. In Etna ignivomo sotto la lurida fucina altissima con Bronte e Sterope altri monocoli or con le fervide braccia roboree, irsute e ruvide in tomo armonico i lor gravissimi martelli inalzano su la ben solida e grande incudine; e vi distendono le lenti e flessili argentee lamine; e s� ne formano gli usberghi lucidi, i tersi clipei, le gravi g�lee; e '1 duro calibe temprato aguzzano, temprato affilano in taglientissime, in pungentissime e spade e cuspidi, di che si vestano, di che si cingano, le qual'impugnino in guerra i strenui figli, e ne portino alte vittorie. Alma Cerere intanto, or tu cortese per cotesta deit� ch'a me pur devi, da me inchinata or danza a tante nozze Per me di questa terra la gi� gran selva antica, poich� Diana ne purg� le fiere, onde sicuro il suo germano Apollo in Anfriso poteo guidar gli armenti, col fuoco che Vulcano di dura selce viva da le battute viscere pria scosse, bruciando da per tutto rover gravi, dur'elci e querce annose, ridottovi il terreno atto all'aratro col ferro che ti die' Marte per uso del grave aratro, poi vi seminasti la prima spezie di frumento, il farro; e '1 farro poi dal vincitor romano fu dato in premio a' forti che 'nsigni l'arme oprar ne le battaglie; ed i pi� forti de' romani, i padri, che soli imprima aveano i sacerdozi, le lor nozze col farro consacr�re. Quindi tu altere desti le tue leggi de' campi, e le tue f�r le prime leggi umane, con le quai si fond�r gl'imperi e i regni: ch'appo le genti, i territori o campi sieno in sovrana signoria de' forti; quei che men forti sono, n'abbiano solo gli commerzi o gli usi. Perch� gli uomini, accorti che non potean divisi difender i lor campi da l'altrui forza ingiusta, congiunser tutte le lor forze in una; e s� fond�re in terra il sommo impero, cui sommiser le lor forze private, perch� guardasse loro colti i campi e sicuri, che guardando sicuri erano colti; e tutto ci� per t�ma che la terra non ritornasse alla gran selva antica. Tanta � la tua possanza, tanta hai tu dignit� d'uscir qui in danza. Tu seconda, feconda i suoi campi ch'al signore splendore rec�r. Tu a lui cara, prepara altri ed ampi, ch� ricchezze, grandezze puoi dar. Da vilt� nobilt� sol tu campi; co' tesori, gli onori usi serbar. Ma tu, Saturno, portator degli anni, non so qual mai superstizion ti tiene, ch� par che ti nascondi agli occhi d'una s� nobii corona. Prendiam gli aug�ri in meglio, non quai falso stim� finora il mondo. Cotesta tua gran falce, in quella et� che tu versavi in terra (forse perch'assai vecchio, tu vuoi ch'io t� '1 rammenti?), non ebbe altr'uso che di mieter biade, da le quai seminate avesti '1 nome; e 'n quella rozza etade e 'n quella povert� de le parole l'uom con le m�sse numerava gli anni onde avvenne che poi, del tempo dio, fosti allogato in cielo. Ne cotest'ali invero ti f�r date perch� tu voli o fugga, perch� 'nver tu non sei tardo n� presto, ma ben misuri i moti presti o tardi. Coteste sono insegne che ti di�r i patr�ci che trov�re gli ausp�ci, onde poi da la lor propia pietade divenner saggi, temperati e forti, e f�r gli eroi di favole spogliati, i cui prenci fond�r gli eroici regni; e sol di questi poi le discendenze, perch� aveano tra lor certe divise che non avean tra lor l'oscure plebi, tutto merc� de le mie certe nozze, da l'ordin lungo de' lor certi padri sol essi merit�r con vero nome de le genti maggiori dirsi �patr�ci�. E noi da quelle antiche inclite case, che, non essendo ancora i regni in terra, di�ro a noi '1 regno sovra lor nel cielo, siam detti �d�i de le maggiori genti�; talch� quest'ale son ristesse appunto di che '1 Pegaso il dorso e Mercurio i calcagni orna e le tempia, perch� i nobili primi ritrov�ro i seminati, ond'hai tu nome e nume; i nobili trov�r le leggi prime, con cui Mercurio richiam� le plebi; nobili dom�r primi il cavallo, che lor serv� poi 'n guerra, ma assai 'nnanzi con la sua zampa fe' sgorgare il fonte, presso a cui si fond�r le prime terre, ove abit�re poi le sacre muse che le citt� de le bell'arti orn�ro; da poi ch'Apollo ritrov� la lira, ne la quale compose de' privati tutti dianzi divisi o nervi o forze, con cui dett� le prime leggi in carmi. Per� con lieti auspici, che voglion dire in lor vera ragione una lunga prosapia e assai feconda d'indole generosa e giusta e pia e ben istrutta in tutte l'arti umane, su coleste grand'ali ornai ti libra, ed agile a danzar meco ti vibra. Tu per sposi cos� lieti tante nuove biadi mieti, che tua falce ottusa f�a. Ne la lor casa immortale di Lucina e di Giogale ferva pur la cura mia. E gi� in aria a destra move il regale augel di Giove, e 'n ciel segna una dritta e lunga via. Non fa d'uopo che, Vesta, tutta religiosa e diligente tu l'apparecchi l'ara, e che '1 foco v'imponghi, ch'eterno serbi inf�n d'allor che '1 foco ridusse in campi la gran selva antica; n� ti prepari da que' fonti l'acqua, presso a' quai si fond�r le prime terre, onde con l'acqua e '1 foco f�rsi le nozze poi giuste e solenni. Sol lece a me, che vano � '1 sacrif�cio, ch'or io, tutta composta in maestade, adempia qui il mio civile uf�cio. Or sotto questa mia potente insegna, che tanti e tali ben produsse al mondo, per cui '1 mio nume in ciel sovrano regna, questo mio giogo d'or lieve e giocondo, piega l'alte cervici, o coppia degna, in presenza del ciel tutto secondo. E voi, matrone, a lei pi� fide e grate, la moglie al marital letto menate. |
2 In morte di A. Carafa IN MORTE DEL MARESCIALLO ANTONIO CARAFA O del petto dell'uom vane e fallaci speranze e cure, che fra vie sovente son da' fati interrotte! Ecco, oim� lasso! del capit�n ch'a la divota gente facea difese incontra i fieri traci, poco cener chiudendo in picciol sasso, quella che sempre mena dritto '1 passo, in sua ragion s� rea, s� trista in volto, qual dinanzi '1 pensier or veder panni. Del mestiere de l'armi l'onor pi� grande, il pi� bel pregio ha tolto: ond'oscurato '1 ciel da l'alta parte, coi venti, a' quai l'annoso pin s'atterra, nev� qua giuso d'ognintorno; e donde s'abbassa, svegliand'ire in mezo l'onde, pianse con tuoni e piogge il nostro Marte, e de l'acque la mente di sotterra col gran tridente a tal scosse la terra, che del mondo parea lo spirto stanco, che '1 desta e nutre, ornai venisse manco. Ben � ragion che '1 colpo aspro, mortale, ch'ogni pi� bei sperar n'ha 'n cor traf�tto, pianga Occidente, e '1 di lui capo Roma. Quando udirem pi� l'Ottoman sconf�tto? Quando vedrem che stenda le grand'ale l'augello imperiai su l'Asia doma? Chi f�a, d'eternoo all�r cinto la chioma, chi a la gran tomba? Ma gli chiari acquisti troppo dasezzo, lasso me! sospiro, quando temer gi� miro le perdite i cristian paurosi e tristi. Tra le sue glorie e i nostri pianti amari che far degg'io? chi mi consiglia e come? Anzi qual, non che '1 mio pur troppo umile e da duol rotto, alto e spedito stile unqua giunger potr� suoi pregi rari? Ma del dolor sotto le gravi some non mi curo incontrar, purch� '1 suo nome per me laudando in rime non si taccia, de l'arte pria che del dever la taccia. D'armi gran padre, almo Sebeto mio, torbido l'onde s� per fama chiare, e senza onor le dolci rive amene, ti stai raccolto infra tue doglie amare, ne acquisti f� col pianto al dolor rio. Ma pi� ch'al Tebro e a l'Istro a t� s'attiene, largate ornai del lagrirnar le vene, l'onor di nostra patria, anzi del mondo, pianger per sempre a pie de la sua santa, regale, immortal pianta, che da diviso suoi nel tuo fecondo traspiant� '1 Fato, e la vertute antica alto senno e valor v'innest� poi: ed indi, 'n vece di terrestri umori, fatica l'enaff�� co' suoi sudori, cui fecondando alfin con aura amica alta fortuna, frutt� poscia a noi tanti e s� chiari, illustri, invitti eroi; tra quali ultimo, � vero, a le memorie Antonio s�, ma ben primo a le glorie. Quante grazie deggiamo a quel Destino, che di quagi� tempra le cose e regge, e i secoli e l'et� tiene 'n sua forza, ch'al maggior uopo de la nostra legge, quand'era spento '1 gran nome latino, dal ciel, che 'nforma in noi valor e forza, a prendere mand� terrena scorza de la pi� chiara stella il maggior lume. Or chi fia, di lui senza, il gran periglio membrando, non dal ciglio versi di pianto amaramente un fiume? e dica a voi, che di gramigna il crine poveramente ornando, e '1 valor vostro pel giogo tolto a la citt�, che '1 pose poi senza meta a l'universe cose, vostre bell'opre f�ste senza fine degne di marmi e d'opere d'inchiostro: s'unqua tossivo nati al secol nostro, nascer giamai non potevate in vero a destino pi� grande e pi� guerriero? Ma perch� ad ismarrir la dritta via uopo non v'ha di luminoso raggio, e l'andar giuso agevole si mostra, spediti al mal oprar facciam viaggio solo col tener dietro a l'ombra ria, che 'n guardia tien l'umida prigion nostra. Qual chiaro eroe, da la stellata chiostra di bel nuovo disceso, indrizz� mai il miglior vostro al poggio faticoso, u' siedi or glorioso, o bei segno di tutti i nostri lai? Che, fin d'allor ch'un braccio era tua sede, il tuo vagir sol potea far sereno o suon di tromba o di destrier nitrito, e ad elmi e scudi, da le fasce uscito, accomandavi '1 teneretto piede. Di tai cure indi avesti '1 petto pieno: trattar la spada o maneggiar il freno; giovane poi, con atterrar le belve, adattarti a pugnar entro le selve. Alma citt�, cui da lo ciel fu dato senza mete lo 'mpero, onde col sole stendesti '1 braccio in queste parti e 'n quelle, l'ombra or di cui e le reliquie sole destar sanno valor di mezo il prato in chi le mira: le vert� pi� belle, che 'n tanti duci, anzi 'n cotante stelle, ch'orn�ro '1 ciel de le tue glorie, e 'n tanti tuoi chiari essempi di valor pi� raro sparte si ritrov�ro, quel che '1 petto or ne fa bagnar di pianti, tutte leggendo, ne 'nform� s� solo. Talch� colei, che del fral senso i danni ristora in noi, de l'uom propia maestra, che spesso avanza ogni pi� forte destra, cos� lo strusse a glorioso volo, ch'i suoi spirti guerrier spiegando i vanni ispediti assai pi� de' suoi fresc'anni, tra Fortuna e Vert� nacquer contese, chi pi� giovasse alle sue chiare imprese. E tu, gran donna, che gli umani petti, ove t'aggrada pi�, dietro ti meni con lacci d'or a le tue labra avvinti, che d�sti duol ne' placidi e sereni, e in questi poi svegli contrari affetti, quanti 'n tua scorta, ancorch� lo cor cinti di duro smalto, f�ro in pace vinti dal duce mio? Ma tra' suoi tanti pregi abbia la doglia mia pur tanto loco, quanto sospiri un poco; ed altri, che di lei tal s'orni e fregi, c'abbia sua vera imago in bocca espressa, ond'infra Atene e Arpin vadasi chiara la patria nostra, e' sol potr� ridire quanto al Polacco quei seppe mai dire, che '1 mosse a liberar Vienna oppressa: qual, mentre aita a noi cotanto cara n'attende, il vede, o vista a' traci amara! con Giovanni venir de l'oste a fronte, e un mar d'arme a vendicarci l'onte. Or chi m'apre dal duolo il chiuso ingegno, s� ch'agguagli '1 pensier la grand'impresa, alto subietto a chi di Muse ha cura? Santa Vert�, di cui quell'alma accesa opr� l'atto d'eterna gloria degno, vagliami tua ragion, talch� sicura d'oblio sen vada ad ogni et� futura. Non vide '1 sol, da che '1 Fattor sovrano da prima il mosse de la terra intorno, fuor di quel chiaro giorno pi� saggio di consiglio e pro' di mano. Tanto per Cristo di pugnare ha sete, che non posa pensier, spirto non langue in petto, in braccio; talch� nulla luce scernerlo pu� se sia soldato o duce: finch� colse a la f� le palme liete sul campo dove rest� l'Asia essangue; e pur (tant'era pio!) da poco sangue d'alcun de' suoi, che morto in guerra giacque, la vittoria macchiata a lui dispiacque. Ma pi� gli omei non pu� chiudere il seno; oim�, ch'� morto il duce, a la cui morte piet�, senno, valor mor�ro uniti! Degna d'amari pianti ahi nostra sorte! da non venir a' pensier nostri meno. Chi f�a, lasso! chi f�a che pi� n'additi a le vittorie i bei sentier smarriti, se di nostr'arme il lume oggi � mest'ombra? Oim� lasso! oim� tristo! oim� dolente! Ma nostra cieca mente, che di bassi pensier sempre ne 'ngombra il senso fral, ne sa levarsi al cielo! O del divino Amor cura e diletto, anima grande, ornai da quella spera, ch'al tuo ritomo si fe' pi� sincera, pon'mente al nostro addolorato zelo: e se portasti 'n ciel teco l'affetto, onde quaggiuso avesti caldo il petto, tu l'Austria scorgi incontra i f�er nemici ad imprese pi� grandi e pi� felici. Canzon, per far a le sacr'ossa onore, a la tomba che chiude '1 cener santo, vanne carca di pianto; e 'n nome del tuo lasso, egro signore pria te 'nchina, e poi dille, s'�' pur lece: un cor um�l, d'immortai f�or invece, de' quai lo 'mpover�ro i suoi martiri, per me vi sparge intorno alti sospiri. 3,2 A Massimiliano Emanuele ALLO STESSO Alto signor, pi� di fallace il nome non merta il mondo ora ch'a voi se 'nchina, poich� ben ha dond'inchinar vi deggia: se adoma la di voi parte divina, a cui le membra fan vesti e non some, valor, che nullo uman pensier pareggia (i' dico quel valor che signoreggia con dolce impero i vostri piani affetti, per pi� illustrar ne l'arme il secol nostro): valor uguale al vostro non chiuser mai de' prischi duci i petti, quand'eran l'alme al ben oprar accese, e segnavan nel calle, onde a virtute si poggia, pi� spess'orme umane piante. Quind'� che le lor opre oneste e sante, che ben eran da noi f�nor intese con meraviglia s�, ma non credute, oggi, merc� di voi, ciascun le crede, e da' vostri costumi acquistan fede. � Ma, se l'acquistan s� ch'al paragone de la di voi virt� mancan di pregio, chi le vostr'opre creder� da poi? I' spero, allor quando sia al fato in pregio che la terra gi� vinta al ciel vi done, per accrescer chiarezza a' lumi suoi, ch'a quegli che verran dopo di noi una stella assai pi� chiara che '1 giorno testimon sia delle vostr'opre degne. Ch� donde l'alte insegne portaste a far passaggio over soggiorno, non pur non ricev�ro oltraggi ed onte, ma liete s'allegr�r le messi o i prati de la lor non pi� vista alma innocenza. Chi, fuor che voi, fren� l'empia licenza de l'armi a mal oprar spedite e pronte? poich� mal pu� affrenar popoli armati duce che suoi desir non anco affrena e col suo essempio altri a ben far non mena. Dond'� che poi molte fiate e molte ad imprese da voi tutte lontane giungeste pria che n'arrivasse '1 grido? onde a s� n�ve meraviglie e strane il Reno e l'Istro attoniti pi� volte l'onde al corso fermare? O tu che nido fai nel suo regio petto, albergo fido de l'altre tutte, alta Virt� che prendi in mezzo le fatiche i tuoi riposi, di s� meravigliosi effetti la cagion ornai ne rendi. Tu sola a l'angosciose opre di Marte talmente agevolasti il mio signore, che di folgor de l'arme oggi ha la loda: n� giamai col valor bellica froda venne de l'alte sue vittorie a parte; ch� non ha maggior palma il vincitore di quella in cui gli animi ancor de' vinti son da la sua virt� presi ed avvinti. Or se nell'atto de la f�ra pugna, peroch� in voi l'oste nemica ammire l'alto invitto valor, forz'� che v'ami, qual � a pensar, quando gli sdegni e l'ire ornai sgombri dal petto, ivi raggiugna la virt� ch'ai perdon poi vi richiami? Egli � colui sol degno ond'uom si chiami ch'a l'inimico umile e lagrimoso dimostra il volto di piet� dipinto. Ma consolare '1 vinto, e di saggio lodarlo e valoroso, la perdita recando a rio destino, duce che sappia oprar s� nobii atto, rassembrar non pu� mai terrena cosa; ma che 'n sembianza umana in lui sti' ascosa un'alta mente di valor divino, donde '1 sommo Fattor abbia ritratto tutti color che furo a' prischi tempi di creata clemenza alt�ri essempi. Di voi che dunque imaginar degg'io, se tal godete oprar atti s� degni, che vi dorrebbe il non potergli usare? Se '1 pregio in me di tutti i chiari ingegni fosse, pur mancarebbe il pensier mio in capir di bont� forme s� rare. O chiara idea de l'anime pi� chiare, valoroso signor, entro '1 cui seno, come 'n suo trono, � la Virt� seduta, se fosse conosciuta la sana gioia di che '1 cor va pieno, allor quand'ella � da voi posta in uso, saria dal mondo ornai l'error sbandito, che mena l'uom dietro al piacer fugace. Quinci, non pago sol di usare 'n pace le virt� regie, onde cotanto in suso siete sul poggio de l'onor salito, vi menar anco i di lor santi amori fra disagi de l'armi e fra terrori. Per�, se a quei che fece in guerra chiari sol un nobii desio d'eteme glorie, furon eretti altari e p�rti incensi, a voi, colmo di tante alte vittorie, sol per usar vincendo atti s� rari, di qual onor per debito conviensi? Premio ben poco a' merti vostri immensi egli � di trionfali alte ghirlande, che la gloria vi cinga il crine augusto. Ah! che lo Ciel, ch'� giusto, non seppe destinar premio pi� grande a la virt� che la virtude istessa: peroch'ella di s� cotanto � paga, che ci� che non � lei, sdegna o non cura. Quindi '1 saggio il destino o la natura ringrazia, perch� l'abbia in cor impressa la copia degli affetti errante e vaga: perch� su l'ombre lor spiega la luce ragion, dond'ei simile a Dio riluce. Quest'� dunque il trionfo almo, immortale, che per quanto lo stil se 'naizi a volo, manca via pi�, se 'n lui via pi� m'interno: o bei trionfo, di cui degno � solo che sia l'animo vostro alto regale e spettator e Campidoglio eternoo! Trionfo u' de' pensier s�de al governo Prudenzia, a cui l'avvenir mal si pote celar, pi� che non soffre umana usanza: Fortezza e Temperanza belle quant'altre mai reggon le rote ch'a l'alma e l'ira ed il desio form�ro: e 'n cima al carro in maestate � assisa la regina Virt�, la Virt� intera. D'affetti vinti una ben folta schiera, che t�rre il regno a la Ragion tent�ro, tra dolci lacci alf�n siegue conquisa; e di palme immortai va l'Onor vero colmo, adomando il gran trionfo alt�ro. Canzon, tal mi son io qual mal accorto nocchier ch'a vasto mar la vela crede, e spera esser col sole a l'altra riva; quand'ecco '1 giorno a nova gente arriva, ed e' trovarsi in alto mar si � accorto, tal che cima di monte ancor non vede. Riman per�, mentre pi� fogli i' vergo, con l'altra insieme, entro '1 medesmo albergo. 4 A Massimiliano Emanuele, per nozze AL MEDESIMO, PER LE NOZZE CON TERESA CUNEGONDA Se mai lieto seguendo il bel desio, ch'a farvi onor per lunga via mi mena, ebbi cura di voi. Muse immortali, poich� di grido in grido alma e serena fama dal Reno a rallegrar uscio tutte l'eterne cose e le mortali, narrando di due chiare alme reali gli alti imenei, donde ben ha ch'attenda il mondo a' danni suoi certo ristoro; spirate al mio lavoro, con destarmi virt�, la qual m'accenda s� ch'adombrando in carte il gran concetto, che move dal real nodo gentile, possa de l'opra mia tornarvi onore. E voi ch'a' vivi rai del primo Amore vi riscaldate, o sposi augusti, il petto, se l'inchinarvi a picciol dono umile vostra maggior grandezza egli � pur mai, questo pi� da vicin mirate ornai serto di f�or ch'ora vi tesse in voto per mano de le Muse il cor divoto. Che gi� dal fragil suo caduco velo peregrinando pi� la mente mia, cose vede oltre ogn'uso alt�re e belle: vede da presso ornai l� dove pria il primo foco ne f�' adorno il ciclo, tornarsi '1 sol, la luna e l'altre stelle. E gi� le sembra che si rinovelle la gran serie lunghissima de' tempi, e ne rimeni l'innocente etade. O grazie al mondo rade! scorge ritratta da' pi� vivi esempi, che prendon pi� de la divina luce, mandarsi a noi dal ciel novella prole, che colmer� d'opre leggiadre '1 mondo. E gi� sembra veder che '1 grave pondo del ferro, dentro a cui f�ro riluce il secolo, qual serpe incontra '1 sole, si scuota, e di nuov'�r tutto s'adorni; e a ritrovar la Vergine sen torni, l'orme sue spente gi� dal cieco inganno, e dar nuovo principio al maggior anno. E per aprir l'alto consiglio etemo a tal fati e cotanti ormai la strada, da cui per s� lung'uso il mondo � v�lto, a te, real signor, che de la spada a ciascun duce omai prisco e moderno, e per senno e per cor, la gloria hai tolto, gi� commise la cura, ond'ei rivolto, per te, con oprar forza a la sua forza, si ravviasse a la virtude antica. E 'nvero ogni nemica oste e le cieche avare voglie ammorza ratta cos�, che voi, alme leggiadre, che rischiarate ardenti e luminose quella parte del ciel ov'� pi� vivo, quando tra noi qua gi� lieto e giulivo verrete a far di voi l'augusto padre, ritroverete ne l'umane cose lievi e brev'orme sol di reo costume; e di virtute il gi� sepolto lume f�a che 'ncominci allor chiare e tranquille a fame riveder le sue faville. Quindi, real donzella al mondo sola, perch� del mondo il vasto impero degno sol f�ra di quel tuo merto sovrano, che su qualunque cima alta d'ingegno lieve cotanto ed ispedito vola, che aggiungerlo non pu� pensier umano, a s� egregio signor la santa mano non senza un alto nume or porgi in fede d'aver con lui la saggia mente unita: che tal cura gradita da mille etadi innanzi immobii siede altamente riposta in petto al Fato, che '1 mondo a far d'immortai prole adorno scelse t�, che immortai tutta somigli. Or, quando i cari teneretti figli (dolci premi d'amor) t'avrai mirato pargoleggiar vezzosamente intorno, dando or a questi abbracci, or a quei baci, sar� quel d� de' pi� bassi e fallaci desiri sgombro, e sol vedremo e 'n parte per vaghezza di fama usarsi Marte. Ma, da poi che i reali almi garzoni saran s� ne le forze iti avanzando che possa il ferro oprar la man guerriera, quanto l'essempio lor, l'armi adoprando per la sola virt�, f�a che ne sproni alzar le voglie a la suprema spera! O di grand'alme gloriosa schiera, or qui s� ch'abbandono il valor vostro; n� imaginar il so quanto devrei. Ma pur a' detti miei apri attento or il petto, o secol nostro: tutt'altro allor vedrai lieto e felice, ch� l'alta legge scritta in sen di Giove chiara si specchier� ne' nostri petti; e tempreranne s� gli umani affetti soavemente, che sol ci� che lice fia che ne piaccia, e ci� che piace giove, e un nome avranno e l'utile e l'onesto. Ah! che per� m'� l'aspettar molesto, pensando, o bella etate, a' tempi tuoi, con gli uomini veder misti gli eroi. Or intendo che '1 Ciel voleasi dire allor che incontra la sua f� diletta sostenne armarsi l'Asia in mille schiere: ond'ella tutta nel timor ristretta steasi aspettando gi� furori ed ire da tante mani ostil, crudeli e f�re: e poi, sposa real, le destre alt�re del tuo gran padre e non minor tuo sposo insiem congiunse a far la pia difesa. N� doppia fiamma accesa cos�, spirando spesso. Austro cruccioso strugge biade, arde selve, incende armenti, e quanto pasce pi�, via pi� divora, fin ch'ogni cosa avr� spenta e distrutta, come a' danni del fior de l'Asia tutta di celeste piet� co' petti ardenti i sovrani guerrier mostrarsi allora: tanto opr�ro col senno e col coraggio! Allora '1 Ciel volle mostrarne un raggio de la virt� del di lor germe espresso, che f�a liberator del mondo oppresso. Quanta e qual dunque nova, alt�ra mostra far� Germania allor, di glorie eterne atti usando s� degni e s� pregiati? Se 'n destinar le lor grazie superne ristasser mai le stelle, e a voglia nostra ne concedesse '1 Ciel comporre i fari, fra me volgendo onor tanto laudati, non so se voi, del Reno abitatori popoli fortunati, unqua potreste voi medesmi di queste fabricarvi qua gi� glorie maggiori. Ch'i greci pongan pur ogni pensiero in gir al ciel con la terrena soma, e la terra adomar d'alte dottrine. Sia cura de le chiar'alme latine oltre le vie del sol stender l'impero, e la r�cca del mondo essersi Roma. Altri studi sien d'altri almi e sovrani; ch� vostre arti saranno, o gran Germani, a lo Scita, a l'Etiope, a l'Indo, al Mauro riportar le virt� del secol d'auro. Per� vittime, incensi e fiori offrite divoti a lui, ch'ai vostro onor fatale or con gli onesti e santi amori attende: ond'egli incontro a t�, sposa reale, l'ali battendo de le voglie ardite, come fenice al sol, tutto s'accende; ed entro il tuo splender lieto s'incende di fiamme ond'arde in ciel la terza idea; se 'n mirar gli atti, il portamento e '1 viso, quai tutti t'han diviso da l'altre donne, e ti somiglian dea, scorge bellezze in te, che quai per sorte vorrebberle i desir, tai sembran esse; n� inganno a' bei pensier fanno i desiri: onde versa per t� caldi sospiri quel valoroso pien di senno e forte core, quel cor che spesse volte e spesse fa temer l'Asia pi� che cerva o damma; e quel cor, mentre nel tuo amor s'enf�amma, perch� a vincer formollo uso e natura, vincer te ancor in ben amar procura. Deh! non soffrir che cos� bella gloria, ch'a la tua gentilezza Amor destina, or, donzella real, tolta ti vegna: anzi, a prova d'amar s� pellegrina, riporta pur leggiadra alta vittoria, di cui de' vincitor riporta insegna: e come Amor, ch'� vero amor, t'insegna, ama lui sol per lui, ed in te stessa sol ama il tuo piacer, perch'a lui piace. Vien dunque or con la face de la fiamma ch'a Dio via pi� s'appressa, vieni, santo Imeneo, e i regii sposi colma di gioie in s� tanto ripiene, che da' pi� bei desir non mai sien vinte; ch� gi� '1 caduto sol ha in ciel distinte, co' chiari raggi al veder nostro ascosi, le stelle pi� seconde e pi� serene, de le sinistre e rie nulla accendendo: onde sen g�o la terra ricovrendo di notte a noi tanto aspettata e cara, che f�a de' giorni d'�r madre ben chiara. Canzon, se mai l� su temprossi giusta del mio fato la legge, e se consente che questo incarco lo mio spirto regga fin che le sole prime geste io vegga, e le minor de la gran prole augusta (qualor in cima a la divina Mente, pien di vera umiliate, onoro e 'nchino), spero tanto sul greco e sul latino, che '1 tosco suon di loro alto ribombe, che torr� '1 pregio ad amendue le trombe. 6 Origine della poesia � ORIGINE, PROGRESSO E CADUTA � DELLA POESIA �Il candor luminoso de l'alma stirpe, che di rai celesti a le muse vest�o gli alti natali � onde s'odon chiamar figlie di Giove, 5 di Giove il re degli uomini e de' d�i, e l� sovra le stelle si salutan sorelle e da Perseo e da Bacco e da'Bellorofonti e dagli Alcidi; 10 tal fresca origin diva dest� ne' lor ben generosi petti pensier tutti magnanimi e sublimi, schivi di laude ornar virt� volgari, ma celebrar sol opre e chiare e grandi 15 con tai divine imagini e s� vaste che imitarle dispera umano stile. Perch� applic�ro ogni alto studio e cura d'intesser i bei lor lavori eterni, di s� formando ampia immortal corona, 20�cui fa splendido centro il dio del lume che a le cose mortai numera gli anni e de' spirti immortali eterna i nomi, al suon di quella lira, che dolce accorda in melodia celeste 25 �i vari error de le rotanti sfere, ed in bell'armonia quant'eran prima dissonanti e f�ii, tanto poi mansueti e ben concordi fe' risonar gli uman costumi in terra. 30 ove la terra � ricoverta d'ombre, or senza nome allumerien l'Olimpo: anzi l'istesso Febo sconosciuto or roteria la sua gran lampa al mondo; 35� Febo, che 'n forza da le sagge muse ai d�i dispensa e lume e vita in cielo. Ond'infra l'alta sfera, che pigra corre il mietitor degli anni, sol pel rispetto e per piet� di figlio 40�ha posto il suo regal inclito seggio, pien d'apollinea luce, il sommo Giove per lunghi spazi sopra agli altri d�i; perch� primo insegn� temer gli d�i a'f�ri empi giganti, 45��a' quai le prime sue divine leggi � col fulmin scrisse e l'intim� col tuono. � Sotto lui Marte gira, � che ne le crude guerre e sanguinose, � dentro zuffe, terror, stragi e spaventi, 50�la rabbia regge e '1 rio furor de l'armi. � E presso al truce poi Vener fiameggia � con sua ridente alma serena luce, � che, co' suoi vaghi vezzi, atti leggiadri, � piegonne a gentilezze il ferreo mondo. � Mercurio tutto indi di sol vestito, � celeste araldo, d�tta a' vincitori � di terminar da uomini le guerre � e conservar con giuste leggi i vinti. � La pi� pressa di tutti a noi Diana 60 gira tra l'ombre tacita e secreta, � che con schive e sdegnose � sue maniere ritrose � ella pur ne dest� l'amor umano, � ch'attese a celebrar cittadi e regni, � restando a solitudini diserte � i Pani ignudi e i satiri sfacciati. � E nel sommo del cielo eterno tempio, � ch'erge le v�lte d'immortal zaffiro, � queste pittrici dive 70 con terren'ombre e co' celesti lumi � dipinsero i primier famosi eroi, � che del cammin del sole oltra i confini � port�ro con le lor grand'opre eccelse � su l'ali della gloria il greco nome. 75 Anzi sovra il sublime � Campidoglio del mondo, � di cui son spettatori uomini e d�i, � per mano de le muse � le insegne de le lor stupende imprese 80 in eterni trofei veggiam sospese. � L� del leon la spoglia, � che la selva nemea distrusse ed arse, � tuttavia, quando la s'indossa il sole, � secca i torrenti e le campagne asseta. 85 E col� dove pende � de la Gorgone il teschio: � col terribile aspetto e spaventoso � tuttavia sembra d'impetrar le stelle, � quas'indi per stupor sieno in ciel fisse. 90 E l� dove la nave, � che traggitt� di Ponto a' greci lidi � il vello d'�r, ch'a la feroce amante � cost� gran scelleragini e vergogna, � verso l'eternit� lenta veleggia. 95 Poich� gli eroi famosi e i lor trofei � con corso egual al sole � camminan stanchi una s� lunga via, � ch'oltra il cui fin non pi� cammina il tempo. � Da si sublime stato, l00 che 'n lavori celesti entro le stelle � spaziavan le lor menti divine, � sceser quaggi� le sante suore in terra; � non gi� per consecrare ampie virtudi � che conferiro de' gran beni al mondo, 105 ma pi� per condennar robusti vizi � che strepito facean di gloria e vanto. � Ed Omero, di tutti altri poeti � per merto e per et� principe e padre, � cant� con chiara alta sonora tromba 110 i violati ospizi dal troiano, � quando arm�r d'ira il risentito Achille � e di frodi infiamm�r le faci greche, � ond'in cener cadeo Ilio distrutto; � e quanto mai senno e valor ferm�ro 115 al ben accorto e tollerante Ulisse � gli error del mar irato, e pi� del mare � le Calipsi, le Circi e le sirene, � per punire in un d� ben mille offese � fatte al suo onor da' dissoluti proci, 120 ghiotti, infingardi, giucatori e vani � assediator de la pudica moglie. � Per� le caste d�e, pudiche e sante, � ravvolgendo in sozzure i puri spirti, � indeboliro il generoso e maschio 125 ingegno che sortir dal padre Giove. � E con mostrose maschere caprine � salir su i plaustri; e quelle che mai sempre � bevute avean le sacre linfe e pure, � quali salian dal limpido Ippocrene, 130 di vin bagnate con ridevol motti � not�r di vizi i re, gli eroi, gli d�i. � Indi os�r comparire in su le scene � ed esporre i conviti empi e nefandi � di fatti in brani pargoletti figli, talch�, per non veder le infami mense, � ritorse indietro il suo cammino il Sole. � Da tai scelleratezze atre esecrande, � bench� per detestarle e fame orrore, 140 a le vergini dive � pur profanati indi i pietosi petti, � degener�ro alfine in reo costume; � e, burle atroci a la virtute ordendo, � a' santissimi Socrati tram�ro 145 le sempre piante ed onorate morti. � Cos� quelle che prima � per felice natura eran portate � cantar sole virt� divine e grandi, � col volger tempo e col cangiar costume 150 f�ro per legge teatral costrette � sotto finte persone � e con civili motti ed innocenti � de la vita insegnar privati ufizi. � E quella lira alfine, 155 ond'Apollo tess� inni agli d�i, � che recatasi in seno il forte Achille � cantava i fatti di pi� grandi eroi, � si diede a celebrare � in Ismo ed in Elea 160 il lottatore vincitor del giuoco, � o con l'ardenti rote � chi del volante cocchio � schiv� la meta e non Vinfranse l'asse; � e tali innalz� al ciel entro gli d�i. 165 Ci� soltanto restava (e pur avvenne) � che le caste donzelle, � fatte d'Amor ancelle, � tributasser cantando � a bellezza mortale onor divini, 170 e loro rassembrasse a' numi eguale � chi di Lesbia contempli il divin volto, � che d'ogni qualit� mortal disciolto, � per lui n'abbia anco a vil scettro regale � le lor alte, immortali opre d'ingegno. 175 le loro alte immortali opre d'ingegno, � n� in Pindo n� in Parnaso � ebber pi� templi e regni e propie terre, � ma profane e private 180� and�ro da per tutto egre e raminghe � l'alte figlie di Giove, � e ne le regie corti, � a caldi prieghi di ben vista pace � util vie pi� di gloriosa guerra, 185��� radi e brievi ricovri elle trov�ro; � il perch� ne saran chiari mai sempre � e gli Augusti e gli Alfonsi ed i Leoni, � e i prenzi ne vivran tutte l'etadi, � e Roveri ed Estensi e Medic�i. 190�� Or se le somme laudi, onde si orn�ro � a prischi tempi giusti i sommi numi, � le magnanime donne e i forti eroi, � or son maniere di laudar volgari, � quai maschere talor senza subbietto ��� di Diane, di Veneri e di Alcidi; � che pur di voi mi resta dir, gran donna, � TORRE d'alta onest�, d'alto savere, � cui modestia cortese orna i costumi, �� cui gravit� gentil gli atti compone, cui dottrina e piet� veste i pensieri � e forma il favellar leggiadro e saggio? � Che 'n questa et� di raffinati gusti, � o gran Marina, voi ne rassembrate � sabina donna in attiche maniere. Queste son vostre laudi e propie e vere. 7 Per il dottorato di F.S. Borea PER IL DOTTORATO IN UTROQUE DEL CONTE ABATE F.S. BOREA ����� Ne la primiera dolce et� dell'oro era facil natura il bel costume, e schietto di beltade il dolce lume, e nuda leggiadria d'arte e lavoro. �� Dal sacro monte col virgineo coro del divino furore il santo nume versava a tutti d'Elicona un fiume, e vest�a membra umane il sacro alloro. ����� Stretta Astrea con gli eroi giva in drappello, 10��� voci tra lor portando amiche e grate; n� nomi aveano ancor Lite e Tenzone. ����� Dunque rimani tu la prima etate, consigliando, Savier, dritto e ragione, chiaro vate leggiadro, onesto e bello. 8 A Gherardo degli Angioli A GHERARDO DEGLI ANGIOLI ����� Garzon sublime e pien d'animo grande, che poche carte far questa et� d'oro estimi e, come Circi altre, quai f�ro sopra il vulgo mostrar forze ammirande! �� Col tuon Giove forz� l'uom da le ghiande ad ammirare il suo divin lavoro, ch� sugl'ingegni e le vaghezze loro sol pu� chi '1 poter suo per tutto spande. ����� Il divo Augusto perch� ad onorarlo 10����� Roma ebbe Voce�no e '1 ciel confini, chiaro feo da per tutto il padovano. ����� Ah, dir non puoi: - Son pronti ad essaltarlo, - perch� l'autor, poi che scovr� la mano, e' si nascose a' popoli vicini. 9 A Roberto Sostegni A ROBERTO SOSTEGNI, PER LA MORTE DI ANGELA CIMMINO ����� Torn� al ciel la gran donna e saggia e forte, che sol volle mostrarla al cieco mondo mentre dal proprio abisso atro, profondo crolla tra scosse di capriccio e sorte. �� Poich� ha le somme laudi or tutte assorte de l'adulare altrui vil vezzo immondo, quai via gittate senza scelta e pondo son di virtude atro veneno e morte; ����� questa di lei dir� picciola parte: 10���� l'aura manc�, che m'innalzava al cielo, Sostegni mio, per farmi a lei dappresso. ����� Giaccion l'opre d'ingegno a terra sparte, d'atra nebbia mi preme il terren velo, fatto, non che ad altr'uom, grave a me stesso. 10 Per il pontificato di Clemente XII NELLA PROMOZIONE DI CLEMENTE XII AL PONTIFICATO ����� Che insolito in me sento e raro e novo, onde in quest'egro afflitto, ch'al fondo mi premea, mortale incarco, pi� che spedita mai volar si vide 5 aquila altera o scitica saetta, fendo le nubi e m'ergo su le superbe, stolide, feroci, empie cime di Pelio, Ossa ed Olimpo? Ecco di sfera in sfera, 10����� di pianeta in pianeta e d'astro in astro, il pi� puro del ciel squarcio e sorvolo. Deh! come gi� l'argivo legno occhiuto, Perseo, le spoglie del famoso Alcide, e ogni altro che fiss� la greca gloria 15���� a l'etra de' suo' eroi chiaro trofeo, mi fugge sotto e cade, s'impicciolisce, si dilegua e sgombra! ����� Oh quanto corto, oh quanto col suo lungo aguzzar l'occhio ne' vetri 20���� � quel che ne le stelle Urania osserva! Poich� quanto le fredde sono minor de la gran fascia ardente, tanto maggior de la gran fascia ardente sparsa vegg'io d'inaccessib�l luce 25���� zona che cinge e tiene avvolto il mondo, ov'a note di ben saldo diamante alto vi leggo sculti i grand'imperi; i quai ben da una parte tutti insieme attenuti 30���� latini e greci e assiri e medi e persi, con magnanimo sforzo ciascun tenta e s'adopra a s� di trarre tutto l'orbe de' popoli e de' regni; ma da la parte opposta 35���� tutti col suo forte soave cenno pei vasti campi de l'immenso abisso gli si strascina dietro il sommo Giove. Del divin cenno e nume a condur la grand'opra 40���� sono menti e virt� ministre elette; a le quali fremendo dura necessit� presta ubidisce, e con necessitade ben cento e mille Enceladi e Tifei, 45���� di vizi vinti, debellat� e domi, con cervici di bronzo e ferrei petti, con braccia e piante di ben duro acciaio, tra lo strido e '1 fragor d'aspre catene gemono in eseguire il gran comando. 50���� Oh il mio purtroppo infermo occhio mortale! che l� nel basso mondo, per ravvisare il vero che nascondono in s� le cose umane, tutte scevere e sole 55���� tu le scorgevi, e s� scevere e sole l'umane cose nascond�anti il vero, e ti dolea, con grave sdegno gentil de la ragion delusa, veder misero il giusto e '1 reo felice. 60���� Vedi ora, vedi, come quelli che ti pareano e laidi e brutti, o dal fato scoppiati over dal caso usciti orrendi mostri, rapportati tra loro e ben intesi 65��quai ti presentan ora di bellissimi obbietti eterne forme. Su la grand'Asia il capo la superba Babelle alza e torreggia, perch� dipoi per Alessandro il Magno 70��a la greca sapienza in Dario inchini. La perfida, feroce, alta Cartago, ch'ambiziosa affetta su l'impero del mar quello del mondo, dal fulmin de la guerra inclito Scipio 75�veduta appena e t�cca, consegrata cadeo a la virt� romana, arsa e distrutta. Di sua felicitade ebbra ed insana, donna de le provincie, 80���infuria ne' capricci e ne' piaceri sfacciatamente dissoluta Roma, che per ornar di marmi e bronzi e d'oro parve insultare a la natura il fasto; com'a meraviglioso 85���splendid'ampio covile di tante crude, immani, orrende fiere, da l'aquilon gelato scendon barbare genti a darle il foco, perch�, quando a s� rei fini infelici 90���pur condussero il mondo e la sapienza e la potenza umana, contro a le quai nimiche il vero Iddio sostenne la celeste con prove di miracoli e martiri, 95���quivi fermasse il regno sua veritade eterna, la qual a un bene immenso ed immortale gli oracoli dettasse ai ver-credenti. Questa somma e sovrana 100� gloria di Roma ond'� l'Italia in pregio, che di questa di cui oggi nel mondo ne' mestieri di Marte e di Minerva non vede il sol pi� valorosa parte, i primi regi col possente Augusto 105�� Vadorano divori il gran triregno; da minaccevol turbo di fiera guerra, in punto ch'a lei manca del catolico gregge il gran pastore, posta in forse, di s� forte paventa. 110���� Quivi al grand'uopo e al paragon di tutti gli altri almi, incliti padri, ognun de' quali f�ra degno pastor di tanto gregge, il gran Clemente s'alza al sagro soglio. Tanto grand'uopo e paragon fan prova 115 quanta virt� inalzovvi il gran Clemente. 11 A Filippo Pirelli A FILIPPO PIRELLI ����� Contro un meschino il Fato armossi, e 'n lui sue cieche rabbie in altri unqua disperse un�o, e di venen atro il coverse nel corpo e i sensi, egri suggetti sui. �� Ma Provvedenza, che suggette altrui le sue menti non mai volle o sofferse, quindi il men� per vie tutte diverse a scovrir com'ell'abbia il regno in nui; e i fin spieg� di sue mirabil opre lo sopra le genti, u' tutta ferve ed arde, ch'entro a' ciechi suo' abissi asconde e copre. ����� E per tue laudi andr� gi� fatto antico, Pirelli, all'altre et� lontane e tarde chiaro, in sua vita l'infelice Vico. 12 A Roberto Sostegni A ROBERTO SOSTEGNI ����� Il cieco �nsano vulgo estima uom saggio chi tra la turba sa mirar s� solo, e s� inalzando da vil stato a volo, corse mai di fortuna un gran viaggio. �� Poich� nullo mi die' di tal vantaggio, la pietosa mia patria onoro e colo, e traggo da mia sorte alto consuolo che, perch'io giovo altrui, luogo non Vaggio. ����� Severa madre non vezzeggia in seno lo����� figlio, che ne fia poscia oscura e vile, ma grave in viso ancor l'ode e rimira. ����� S� '1 mio fral, messo di ragione in freno, la Provvedenza benedice e ammira, ch'or mi fa degno di vostr'alto stile. 13 Per le nozze di Casalbore PER LE NOZZE DEL MARCH. DI CASALBORE ����� Bench'io mi veggia da quel fato oppresso che l'ingiust'odio altrui cre� sovente e affatto lungi dalla molta gente viva, che appena me trovi in me stesso; �� poich� il raro valor dal ciel concesso a voi, bell'alme, unisce amor possente, al pubblico piacer mio spirto sente disio di riveder l'alto Permesso, e cantar lieto in dilettosa schiera lo�vostro nodo real, gli onor degli avi, e svelar que' futuri invitti germi. Poi ricaggio in me stesso e, da mie gravi cure sospinto a tornar l� dov'era, di me, non per mia colpa, ho da dolermi. 14 A Gaetano Brancone A GAETANO BRANCONE �����N� corone n� ostro o gemme ed auro giamai mi ponno, o mio Brancon gentile, rimenar il mio gi� caduto aprile, ne qual serpe di nuovo al sol m'innauro. Hammi in Pindo aduggiato il verde lauro invida nebbia, a rio t�sco simile; da la tremante man cade lo stile e de' pensier si � chiuso il mio tesauro. Ove manca natura, inferma � l'arte, lo perch� l'ingegno � '1 gran padre felice di bell'opre ammirande, eccelse e chiare. ��A te, cui Febo ispira e nuove e rare fonne di laudi, d'allogar ben lice la gran coppia da tutt'altre in disparte. |