Introduzione a "Microfisica del potere" di Foucault
di Mariapaola Fimiani
1. �Microfisica del potere � il titolo che raccoglie di Michel
Foucault interventi di occasione, interviste, dibattiti, lezioni, scritti brevi,
e che il sottotitolo riassume come "interventi politici". I testi
coprono l'arco temporale dal 1971 al 1976: come avverte la Nota all'edizione
(Einaudi 1977), essi accompagnano la produzione teorica pi� significativa - l'Archeologia del sapere� precede di poco, � del 1969 - e gli studi
storici degli stessi anni, la storia della prigione (Sorvegliare e punire, 1975) e l'avvio della storia della sessualit�
(La volont� di sapere, 1976).
Altri volumi, in Italia, hanno proposto collezioni
di interventi, incontri, saggi, che - pubblicati in Francia in Dits et �crits. I-IV, a cura di Daniel
Defert e Fran�ois Ewald (i quattro tomi sono stampati da Gallimard nel 1994 e
raccolgono tutti gli scritti pubblicati, non in volume, a partire dal 1954) -
costituiscono spesso un reticolo prezioso e un supporto indispensabile. In tal
senso edizioni meritevoli sono i tre volumi di Archivio Foucault (curati per Feltrinelli da J.Revel, A.Dal Lago,
A.Pandolfi e stampati tra il 1996 e il 1998), che hanno fatto uso di criteri di
composizione cronologica e tematica, selezionando scritti dal 1961 al 1984. E
certamente utili sono i recentissimi Biopolitica
e liberalismo. Detti e scritti su potere ed etica. 1975-1984 (a cura di
O.Marzocca per le edizioni Medusa) e Il
discorso, la storia, la verit�. Interventi 1969-1984, che Einaudi ha voluto
fornire come una seconda edizione di Microfisica,
ma che risulta certamente una raccolta autonoma, proposta da Mauro Bertani, per
certi versi mutilata e ridotta, per altri versi riveduta e ampliata fino ad
allegare scritti sull'etica degli anni Ottanta.� In realt�, in riferimento a questa tipologia di volumi, Microfisica del potere � l'unico testo
che a pieno titolo pu� essere attribuito al suo autore, nella forma elaborata
ed articolata del 1977, perch� costituisce un'antologia di scritti concordata
personalmente da Foucault con i curatori Alessandro Fontana e Pasquale
Pasquino, che ne proposero una esclusiva versione italiana. Dunque, un discorso
che voglia introdurre la microfisica del potere non pu� che muovere dal
commento di questo testo.
Per il suo carattere antologico vorrei selezionare
alcuni scritti in particolare e provare a tracciare un telaio concettuale
adatto a discutere la trasformazione della nozione di potere e la proposta di
un nuova analitica del potere, ma anche a farci ragionare sul tessuto storico e
teorico che l'ha preparata e annunciata, oltre che sulle finalit�
etico-politiche che troveranno pi� tardi, negli anni Ottanta, una fase di
decisivo approfondimento. Interrogarsi sulla Microfisica significher�, allora, non solo comprendere le
innovazioni foucaultiane riguardo alle questioni specifiche del potere in
Occidente, ma tener conto di una continuit� che, a mio parere, lega le
successive fasi della ricerca, da quella storica a quella pi� esplicitamente
teorica, fino alla inattesa ripresa del tema della soggettivit� e dell'etica.
Il lavoro che Foucault svolge negli anni Sessanta
appare prevalentemente di carattere storico, sia pure di quella storia
particolare che � la storia dei sistemi di verit�. La ricostruzione
dell'episteme moderna, condotta ne Le
parole e le cose , risponde all'idea di una storia delle grandi identit�
discorsive o, come egli stesso la definisce, di una storia del Medesimo. Essa
costituisce la conclusione di un trittico, destinato a individuare la
complessit� di una soglia, quella in cui appare "per la prima volta la
strana figura del sapere chiamata uomo". Si trattava di cogliere i punti
di intreccio e di indecisione tra i sistemi di verit� (o anche di "oggettivazione"
dell'uomo) e ci� che questi sistemi comprimono e lasciano tacere, tra gli
enunciati che conservano valore di verit� e quelli che restano esclusi dalla
dicibilit�. Cos� Le parole e le cose, storia
dei sistemi di oggettivazione o storia dell'identico, conclude nel 1966, secondo il progetto dell'autore, una sequenza
triangolare. Dopo la Storia della follia del 1961 - storia dell'esclusione
o dell'Altro - la Nascita della clinica
, del 1963, introduce una sorta di ponte tra la storia del diverso e la storia
dell'identico: "se pensiamo" - si legge nella premessa a Le parole
e le cose - "che la malattia non � soltanto il disordine, la
pericolosa alterit� entro il corpo umano e persino entro il cuore della vita,
ma anche un fenomeno che ha le sue regolarit�, le sue somiglianze e i suoi
tipi, � evidente l'importanza che potrebbe assumere un'archeologia dello
sguardo medico".
Non � secondario che il sottotitolo della Naissance de la clinique sia Une arch�ologie du regard m�dical (sostituito,
nell'edizione italiana, da Il ruolo della
medicina nella costituzione delle scienze umane), perch� il grande tema
dell'opera del '63 - che si pone nel mezzo, si diceva, in zona franca, tra la
storia del diverso e la storia dell'identico - � lo sguardo, la disgiuntivit�
del visibile, � le regard m�dical .
La Nascita della clinica si propone,
certo, una storia dell'origine e del mutamento dei paradigmi della medicina
moderna, oltre che delle pratiche istituzionali e politiche che l'hanno
accompagnata. Essa � indubbiamente una interrogazione, vicina per certi versi
all'analitica kantiana, sulle condizioni di possibilit� dell'esperienza medica,
ma � ancor pi� una sorta di estetica
trascendentale, perch� ci si interroga sulle condizioni di apparizione delle
strutture percettive della medicina. E va detto, qui sinteticamente, che per
quanto il "panoptismo" - introdotto per l'istituzione carceraria,
come si sa, in Sorvegliare e punire (1975) - abbia accreditato al vedere uno
statuto di identificazione e di controllo, in realt� nella Nascita della clinica lo sguardo che accompagna il compimento della
clinica moderna - da quando, dice Foucault, la malattia prende corpo, da quando irrompe l'opacit� del corpo, come per la
medicina anatomico-clinica e per la fisiologia e le analisi funzionali -
insegue "le innumerevoli vite", la vita "rarefatta" e
singolarizzata, perch� tenta di afferrare solo un reticolo mobilissimo di
influenzamento da elemento a elemento. Il terreno della clinica �, dunque,
quello dell'avvenimento, della dissonanza e della incomponibilit�, perch� le regard m�dical , malgrado il sistema
di sapere che concorre a produrre, conserva una potenza irruttiva, dirompente,
o - come ha detto� De Certeau - d'�tonnement.
Questo ci fa intendere la prossimit�, o la
complementariet�, dell'archeologia e della clinica, di due modi, simiglianti e
contigui, di conoscere la "punta estrema della singolarit�". La
storiografia e la medicina sembrano quasi praticare, cos�, uno stesso tipo di
sapere. Con lo sguardo medico la singolarit�, dice la Nascita della clinica, rischia di sfuggire alla forma della parola
e si mostra in quella soglia indecisa, tra il dire e il non dire, che � la
parola lirica (si paragona l'esperienza clinica all'esperienza poetica di
H�lderlin e di Rilke). Alla clinica, come al sapere storico-archeologico, �
dato il potere critico di lasciare apparire la dispersione dell'avvenimento e
della vita singolare. Tutto questo non sar� ininfluente per la insospettata
centralit� riservata -� negli anni
Ottanta, ma non solo - all'elemento della malattia e della cura. E' nel
Morboso, diceva gi� la Nascita della
clinica, non nel Vitale n� nel Macabro, che si mostra l'esistenza
singolare. E' nel therapeuein che si
individuano i passaggi essenziali dalla vita all'esistenza, dalla pura singolarit�
al potere etico, diranno gli anni pi� recenti della ricerca sulle nuove forme
di soggettivazione.
Ma torniamo alla Microfisica, per segnalare innanzitutto come i testi pi� recenti,
quelli del 1976, sono l'intervista rilasciata ai curatori, che apre il volume,
e le prime due lezioni introduttive del corso tenuto al Coll�ge de France nello
stesso anno, Il faut d�fendre la soci�t�,
che concludono l'antologia. E' possibile dire che questa cornice, quella del
'76, consente di riassumere una introduzione alla questione del potere con una
forza teorica che solo l'Archeologia del
sapere aveva saputo dare. Perch� � l'Archeologia,
nel 1969, a segnare il momento di una proposta teorico-filosofica di larga
portata.
Gli inizi degli studi foucaultiani sono di tipo
filosofico e vicini alla psicologia e alla psicopatologia. Essi risultano gi�
impegnati in una convinta critica alle forme della identit� soggettiva, di tipo
idealistico o fenomenologico (si pensi alla Introduzione a Binswanger del '54 e
alla discussione sull'immaginazione) e lasciano apparire pi� di un accenno ai
temi, apparsi poi tanto innovativi, della riflessione etica degli anni recenti.
Foucault consegue la laurea con una memoire
su Hegel, poi un dottorato con un ampio lavoro sull'antropologia pragmatica
di Kant, Introduction � l'anthropologie
de Kant, del 1961, rimasto inedito. Non resta nulla della memoire, ma resta pi� di un giudizio,
maturato alla scuola di Hyppolite, sul senso dell'hegelismo oltre la ricezione
idealistica di maniera: la filosofia, con Hegel, diceva nel '69, si fa titolare
del suo insopprimibile nesso con la non-filosofia, "il pensiero filosofico
� una pratica incessante" che � "un certo modo di messa in opera
della non-filosofia". La ricerca di Foucault, il suo metodo e le sue
scelte rimarranno, in tal senso, fedeli all'hegelismo. Il commento a Kant -
come si diceva, mai pubblicato - lo portava ad elaborare una trama concettuale
sul farsi dell'uomo nel mondo, secondo gli intenti dell'antropologia
pragmatica, e rimarr� - come ho avuto modo di sostenere e argomentare in altra
sede - un riferimento centrale per le tesi dell'etica come "estetica
dell'esistenza": l'uso della vita, il Gebrauch,
la vita che si fa opera di se stessa, la Kunst
, un'arte abile e inventiva, adatta a giocare il gioco del mondo, il governo
delle facolt�, delle rappresentazioni, dei sentimenti, affidato alla difficile
nozione del G�mut e alla sua padronanza, l'insopprimibile
appartenenza ad un mondo, dove l'esistenza �, al tempo stesso, trattenuta e
liberata, sono i punti teorici evidenziati dall'introduzione all'Antropologia kantiana. Questi
costituiscono i termini costruttivi della nuova etica degli anni Ottanta e,
soprattutto, ci aiutano a capire come la questione di un nuovo soggetto e di
una nuova critica fosse antecedente a quel lungo percorso che avrebbe
teorizzato, al contrario, l'anonimato dei processi e la morte dell'uomo.
2.� Non �
difficile pensare che il rinnovamento teorico dell'etica e della politica dovesse
passare per una profonda trasformazione del pensiero della storia, della teoria
dei processi e della pratica storiografica. Foucault non esita a fare del
ricorso alla storia la mossa decisiva e a condividere le conclusioni della
genealogia nietzschiana, cio� che � la verit� ad essere il vero problema
politico. Sicch� la ripresa, nel '76, dei nodi teorici prevalenti, elaborati
per la nuova storia nell'Archeologia del
sapere, si coniuga con la lettura della genealogia proposta da Nietzsche
(il bellissimo saggio su Nietzsche, non a caso, � il testo del '71 che,
nell'ordine antologico, segue l'intervista di apertura). Si legge, cos�,
all'avvio della Microfisica:
"Bisogna sbarazzarsi del soggetto stesso, giungere cio� ad un'analisi
storica che possa render conto della costituzione del soggetto nella trama
storica. Ed � questo che chiamerei genealogia, una forma cio� di storia che
renda conto della costituzione dei saperi, dei discorsi, dei campi di oggetti,
ecc., senza aver bisogno di riferirsi ad un soggetto che sia trascendente
rispetto al campo di avvenimenti che ricopre, nella sua identit� vuota, lungo
la storia"(p.11). L'intervista riprende tutti i temi e gli spunti che
annunciano il radicarsi, da un lato, della nuova analitica del potere, dall'altro
della possibilit� critica ed etica del nuovo soggetto, dentro l'elaborazione di
un nuovo modo di fare e pensare la storia.
Foucault riassume con forza, nelle risposte ai
curatori, questa svolta e la necessit�, a partire da questa, di avviare
l'analisi del potere per altre vie rispetto a quella tracciata dalla
tradizione. Enuncia, cos�, lo spostamento dalla concezione del potere come
potere repressivo, come potere d'interdizione, a quella di un potere
produttivo, amministratore, che opera e manovra piuttosto che obbligare e
impedire. Il potere non reprime ma sollecita. Esso s'infiltra nei corpi, nelle
anime, nelle vite, attraversa le molecole dell'intero corpo sociale, secondo
procedure che non si lasciano immediatamente afferrare, come gli strumenti di
una riconoscibile sovranit�, ma conservano una loro invisibilit� e un loro
anonimato. Le tecniche del potere microfisico sono dispositivi multipli di
controllo e di disciplinamento dei punti micrologici del tessuto sociale.
E' anche singolare una sorta di autocritica a
proposito della nozione di alterit� inafferrabile, attiva nella Storia della follia , una nozione che le
nuove analisi del potere aiuteranno a trasformare in punti attivi e
riconoscibili di resistenza dentro la tramatura complessa di uno spazio storico
reale. La nozione di repressione, infatti, aveva impedito alla Storia della follia - nella convinzione dell'autore - una pi� adeguata
comprensione dello statuto della differenza e della sua potenzialit� critica e
operativa. "Quando ho scritto la Storia
della follia mi servivo almeno esplicitamente di questa nozione; credo che
supponevo allora una specie di follia viva, volubile e ansiosa che la meccanica
del potere e della psichiatria sarebbe riuscita a reprimere ed a ridurre al
silenzio". Cos� come, pi� tardi, nell'84, introducendo L'uso dei piaceri, assegner� alla
nozione del potere repressivo l'alibi e la legittimazione di una nozione di
desiderio come principio di liberazione, astrazione illusoria del tutto
emarginata dal campo storico. Un inganno, quello del flusso desiderante come
movimento della salvezza, gi� sottoposto alle critiche de La volont� di sapere del '76, primo volume di una storia della
sessualit� impegnata a ricostruire le tappe e le modalit� della
"trasposizione in discorso" (e dunque delle forme di disciplinamento)
delle pulsioni vitali, a partire dalle procedure cristiane di confessione fino
alla psicoanalisi.
"Quando si definiscono gli effetti di potere
attraverso la repressione" - continua il testo dell'intervista - "si
d� una concezione puramente giuridica di questo stesso potere; lo si identifica
ad una legge che dice no; avrebbe soprattutto la potenza
dell'interdizione". E' questa una concezione negativa, riduttiva,
scarnificata, che attiene all'esclusivo piano dell'interdetto e che non spiega
del potere la capacit� di penetrazione pervasiva. Solo se lo si intende come
produzione reticolare se ne pu� cogliere adeguatamente l'effetto reale e la sua
reale legittimazione, ci� che fa in modo, cio�, che il potere
"regga". "Quel che fa s� che il potere regga, che lo si accetti,
ebbene, � semplicemente che non pesa solo come una potenza che dice no, ma che
nei fatti attraversa i corpi, produce delle cose, induce del piacere, forma del
sapere, produce discorsi; bisogna considerarlo come una rete produttiva che
passa attraverso tutto il corpo sociale, molto pi� che come un'istanza negativa
che avrebbe per funzione di reprimere"(p.13).
A partire dal XVII-XVIII secolo si � avviata una
sorta di produttivit� o di ci� che pu� meglio dirsi "economia del
potere", si sono rafforzati quei procedimenti adatti a far circolare in
forma continua, ininterrotta, "individualizzata" gli effetti di
potere. E' a partire da quel tempo che l'analisi dello Stato e dei suoi
apparati non pu� pi� esaurire� l'analisi
dell'esercizio del potere. Essa deve spingersi oltre il quadro dello Stato come
tale, che, al contrario, appare "sovrastrutturale in rapporto a tutt'una
serie di reti di potere che passano attraverso i corpi, la sessualit�, la
famiglia, gli atteggiamenti, i saperi, le tecniche"(p.16). Lo Stato non
pu� funzionare che sulla base di relazioni di potere (diremmo meglio
"stati di dominio") preesistenti. Esso � un "metapotere"
con funzioni di interdizione, che, per�, non pu� "aver presa" se non
"nella misura in cui si radica in tutta una serie di rapporti di potere
che sono molteplici, indefiniti, e che sono la base necessaria" delle
grandi forme di potere negativo.
Cos�, � facile spiegarsi come il legame tra il
sapere e il potere diviene, per Foucault, gi� a questo punto dell'analisi, un
nodo imprescindibile: i dispositivi reticolari del potere microfisico sono
prevalentemente effetti di sapere, cos� come i saperi si producono e si
stabilizzano nelle loro forme di verit� o di epistemologizzazione solo come
effetti di potere. La soglia di epistemologizzazione di una formazione
discorsiva, aveva detto l'Archeologia
, consiste nell'imporsi di un discorso come criterio e verifica di altri
discorsi. Qui il sapere si fa verit� alla condizione di proporsi come
disciplina o come effetto ed esercizio di potere. Ed � quest'intreccio di
sapere e di potere che, nell'economia dei dispositivi, consente al potere di
occultarsi, di farsi invisibile. Esemplare, com'� noto, � l'adozione del
modello del Panopticon, speciale
disposizione di sorveglianza, dove tutti sono visibili da un punto, il quale,
da parte sua, si sottrae alla visibilit�: chi � osservato non pu� mai, a sua
volta, osservare chi osserva.
3.��� Ma
l'accesso alla questione della verit� come "vero problema politico"
si avvia con una interrogazione specifica, che sposta decisamente l'analitica
del potere all'interno del problema del modo di fare storia, all'interno del
progetto archeo-genealogico e del nesso inquietante storia-filosofia. La
domanda che va posta innanzitutto, per Foucault, �: perch� l'Occidente non ha
voluto vedere la mutazione del potere?
Lo statuto del potere � stato contratto in una
sorta di schematismo giuridico. Di qui nasce un problema storico: "sapere
perch� l'Occidente cos� a lungo non ha voluto vedere il potere che esercitava
se non in un modo giuridico-negativo, invece che vederlo in un modo
tecnico-positivo"(p.15). L'ignoranza del potere microfisico � un problema
di occultamento, assecondato da un modo di fare storia, che legittima il
nascondimento dei conflitti e di quello stato di guerra realmente e
storicamente persistente, ma compresso e negato dalla teoria della sovranit�.
Tutto ha inizio con l'istituzione della monarchia,
instaurata nel Medioevo sullo sfondo delle lotte tra i poteri feudali preesistenti.
Il monarca esercita il potere di fermare la guerra, di farla cessare, di porre
fine alle violenze, in realt� si fa cos� sovrano, legge, interdizione. Il
monarca ha trasmesso alla teoria politica l'ossessione del problema della
sovranit�. La filosofia politica non � stata capace di "tagliare la testa
al re" e anche quando si istituisce il vasto sistema delle discipline, a
partire dal XVII-XVIII secolo, essa ha indotto ad ignorare che i dispositivi di
sorveglianza, di controllo, di normalizzazione, di correzione, di educazione,
sono un modo da parte dello Stato di condurre e di rendere
"silenziosa" una "guerra generalizzata". Il principio di
sovranit� che legittima lo Stato - quello delle grandi monarchie
amministrative, autoritarie e assolute, come quello delle democrazie
parlamentari - impone l'interruzione del conflitto, si fa garante della pace,
ma solo a condizione di occultare la storia reale come luogo di scontro tra
forze. La legittimazione sovrana � fondata sul diritto, il potere ha un suo
"diritto fondamentale", e i diritti legittimi della sovranit� portano
alla legittimazione dell'obbedienza.
Dunque, il sistema del diritto � interamente
centrato sulla figura del sovrano e sul principio di sovranit�. Si fa cos�
giustificazione del potere dei vincitori. Al contrario - � il commento di
Foucault - perch� ci sia non solo storia dei vincitori, ma storia dei vincitori
e dei vinti bisogna "far valere..., nel suo segreto come nella sua
brutalit�, il fatto della dominazione; e a partire da qui, mostrare non solo
come il diritto �, in modo generale, lo strumento di questa dominazione...ma
anche come...mette in opera rapporti che non sono rapporti di sovranit�, ma di
dominazione". Il problema "� di evitare questa questione, centrale
per il diritto, della sovranit� e dell'obbedienza degl'individui ad essa
sottomessi, e di far apparire, al posto della sovranit� e dell'obbedienza, il
problema della dominazione e dell'assoggettamento...: non si tratta di
analizzare le forme regolate e legittime del potere nel loro centro, in quelli
che possono essere i loro meccanismi generali ed i loro effetti costanti. Si
tratta di cogliere, al contrario, il potere alle sue estremit�, nelle sue
ultime terminazioni, l� dove diventa capillare, di prendere cio� il potere nelle
sue forme ed istituzioni pi� regionali, pi� locali, soprattutto l� dove,
scavalcando le regole di diritto che l'organizzano e lo delimitano, si prolunga
al di l� di esse, s'investe in istituzioni, prende corpo in tecniche e si d�
strumenti d'intervento materiale, eventualmente anche
violenti"(pp.182-183).
Il problema storico sta, allora, nel far apparire
come, nel corso dei secoli che hanno visto rafforzarsi le tecniche disciplinari
di controllo insieme alla teoria della sovranit�, sia rimasto occultato, in
realt�, il problema della dominazione e dell'assoggettamento. Una storia
effettiva, la wirkliche Historie ,
deve assumere il compito di dar vita alla complessit� e alla conflittualit�
delle forze in campo. La ricerca storica sul potere non pu� rimanere vincolata,
dunque, alla teoria giuridico-politica della sovranit�, ma va orientata
"verso la dominazione, gli operatori materiali, le forme di
assoggettamento, le connessioni ed utilizzazioni dei sistemi locali di
quest'assoggettamento, i dispositivi di strategie"(p.188).
In quest'idea di storia va colta tutta la portata
filosofica del discorso foucaultiano sul potere, se � vero che la tensione tra
storia e filosofia esprime il bisogno di legare il reale e il possibile, la
ricostruzione delle stratificazioni dei processi che giungono fino a noi e
l'apertura al voler essere altrimenti indicata dall'"ethos filosofico" negli anni Ottanta. La storia si fa
filosofia perch� si impegna in una pratica di sapere disoccultante, fronteggia
l'oblio e resiste alla dimenticanza, esprime un nocciolo meditativo, esercita
quella stessa� disposizione critica che
ha accompagnato la nozione di meditazione nei grandi pensatori del Novecento.
Infatti, la storiografia che converge con la
filosofia, non dimentica gli inizi,
che, nietzschianamente, raddoppiano in profondit� il campo di analisi, non
dimentica le lotte reali che la genealogia, l'archeo-genealogia, ha il compito
di disseppellire. Quando il campo dei conflitti reali, si trasforma in un campo
teorico di lotte ipotetiche, illusorie, fittizie - come quelle assegnate da
Hobbes allo stato di natura -, queste si adattano ad essere sospese e
cancellate dal contratto sociale, dal patto di pace, e questa cancellazione
costituisce del patto di pace la base di legittimit�. Il complesso tessuto
degli inizi resta, dunque, rimosso. Di questa dimenticanza � complice la storia
del potere come storia dei vincitori, una storia che fa della trappola per i
vinti l'unica realt� e l'unica verit�: pensare il potere, per essa, � pensare
la sovranit� del vincitore. Solo un mutamento del fare storia consente, allora,
di pensare ci� che non si � voluto pensare.
4.� Non c'�
dubbio che le tesi dell'Archeologia del
sapere orientano la lettura di Nietzsche proposta nel saggio del '71, un
testo� scritto in occasione di un
omaggio a Hyppolite e ripreso nel corpo centrale della Microfisica del potere. La riflessione sulla storia come
archeologia, gi� sistematicamente esposta da Foucault due anni prima del
commento a Nietzsche, � senza dubbio preliminare e presente nell'esame della Genealogia della morale, ma la
discussione su come intendere il senso complessivo di un atteggiamento
genealogico reagisce sulle stesse tesi archeologiche, ne precisa la portata e
ne completa le finalit�.
Con l'elemento genealogico, come si dir�, al
progetto storiografico si affianca in forma esplicita l'orientamento
etico-politico, l'idea di come debba esercitarsi la critica� in un campo di lotta. La genealogia sposter�
i termini della discussione dallo statuto dell'enunciato a quello della forza,
dal problema della verit� a quello della libert�. Si definisce, cos�, quel
progetto archeo-genealogico e strategico che impedisce di pensare il potere
come trappola mortale e l'evento, l'avvenimento, la forza, come infallibile
luogo della liberazione. Nell'intervista del '76 Foucault avverte, infatti, il
pericolo di un uso astraente e frainteso della nozione di avvenimento. Se �
fatto valere in opposizione alla nozione di struttura, assimilata quest'ultima
al pensabile e al sistematico, l'avvenimento � destinato alla irrazionalit� e
alla assoluta contingenza. "Ma ci� che importa � di non fare per
l'avvenimento ci� che si � fatto per la struttura. Non si tratta di ripiegare
tutto su un certo piano...Il problema � allo stesso tempo di distinguere gli
avvenimenti, di differenziare gl'insiemi di relazioni ed i livelli ai quali
appartengono, di ricostituire i fili che li legano e fanno s� che si generino
gli uni a partire dagli altri. Di qui il rifiuto delle analisi che si
riferiscono al campo simbolico o al dominio delle strutture significanti, ed il
ricorso ad analisi che si farebbero in termini di genealogie, di rapporti di
forza, di sviluppi strategici, di tattiche...La storicit� che ci trascina e ci
determina � bellicosa; non � dell'ordine del linguaggio"(pp.8-9). Dunque
una filosofia dell'evento � una teoria della storia di tipo guerriero,
inassimilabile alla conciliazione strutturale o linguistico-ermeneutica.
L'idea di una storia archeologica aveva
esplicitato, nel 1969, tutta la portata metaforica dell'archeologia come sapere
delle tracce e dei frammenti di una storia perduta e sepolta. L'archeologo ha
il compito di disseppellire� pezzi e
testimonianze incomponibili, "monumenti": il monumento, diversamente
dal "documento", assegna al frammento l'incertezza e la irrisolutezza
della sua appartenenza ad una unit� d'insieme. Si potrebbe dire - avverte l'
Introduzione all'Archeologia - che la
storia tenda alla descrizione intrinseca del monumento e dunque all'archeologia
come "disciplina dei monumenti muti, delle tracce inerti, degli oggetti
senza contesto e delle cose abbandonate dal passato". Ci� comporta delle
conseguenze. In primo luogo, l'abbandono di una cronologia continua della
ragione che si fa risalire al suo fondamento iniziale, alla coscienza storica,
alla sua teleologia o alla sua evoluzione. In secondo luogo, la rivalutazione
della nozione di discontinuit� e l'attenzione al problema di costituire delle
serie, o serie delle serie, dei "quadri" storici, dove possono
decifrarsi "il moltiplicarsi degli strati, il loro disarticolarsi, la
specificit� del tempo e delle cronologie loro proprie". Comporta
l'abbandono del modello di una storia
globale e la pratica di una storia
generale. Perch� la prima ricompone e definisce la forma, il principio,
spirituale o materiale (la critica � rivolta all'hegelismo, ma anche
all'economicismo marxista), il significato comune, la legge di coesione,
insomma "il 'volto' di un'epoca". La seconda analizza e produce la
scomposizione della "sezione uguale d'essenza" (per adottare
un'espressione di Althusser), della omologia della pluralit� seriale di un
tempo storico, per descrivere l'eterogeneit� delle serie o dei quadri. Una
storia generale � quell'archeologia impegnata a mostrare "tutto lo spazio
di una dispersione". Questo spazio � l'archivio
.
Con il termine archivio - precisa l'Archeologia - si intende il sistema
complesso e volumetrico di formazione e trasformazione degli enunciati, non lo
spazio semplice dei sistemi di verit�, ma l'intero spessore del piano profondo
di produzione e di quello superficiale degli effetti di sistema. In altri
termini l'archivio esige che non si dissoci l'analisi del doppio strato, quello
dei sistemi preterminali e quello dei
sistemi terminali. Il preterminale �
infatti il livello di scomposizione, di disseminazione, di mobilitazione, dove
le relazioni enunciative appaiono sfuggenti alla stabilizzazione delle
formazioni discorsive. La stabilit� dei sistemi - che, si ricordava, si
irrigidiscono alla loro soglia di epistemologizzazione, proponendosi come
criterio e verifica degli enunciati - �, infatti, solo la forma di apparizione
momentanea di "leggi di costruzione". Del tessuto mobile degli
enunciati, del livello preterminale, vanno individuate le instabili
"regole di coesistenza".
Cos� l'enunciato stesso � indicato come il luogo di
una lotta per il potere. Esso � "un bene - finito, limitato, desiderabile,
utile - ", avverte l'Archeologia,
un bene che risponde alla legge di "rarit�" e "che ha le sue
regole di apparizione, ma anche le sue condizioni di appropriazione e di messa
in opera; un bene che conseguentemente, dal momento che ha un'esistenza...pone
il problema del potere; un bene che costituisce, per natura, l'oggetto di una
lotta, e di una lotta politica". Il solido spessore dell'archivio mostra
come gli enunciati si muovono e si intessono, ma anche come son presi,
abbandonati, catturati, ricondotti ai sistemi di verit� e all'intreccio
sapere-potere.
E allora, ripete l'intervista del '76, assimilando
l'enunciato e la forza, c'� "una lotta 'per la verit�', o almeno 'intorno
alla verit�', - essendo inteso ancora una volta che per verit� non voglio dire
'l'insieme delle cose vere che sono da scoprire o da far accettare', ma
'l'insieme delle regole secondo le quali si separa il vero dal falso e si
assegnano al vero degli effetti specifici di potere'"(pp.26-27). Si pu�
concludere, dice Foucault, che non si tratta di affrancare la verit� dal
potere, ma di staccare il potere della verit� dalle forme di egemonia sociali,
economiche, culturali. La questione politica non � l'errore, l'illusione,
l'ideologia, ma �, come voleva Nietzsche, la verit� stessa.
Questo lavoro politico che riattiva la lotta non
pu� coincidere con il flusso delle interpretazioni interminabili n� con
qualsiasi tentativo di assegnare agli enunciati un carattere di infinit�. La
loro dispersione disegna un terreno spazialmente delimitato, finito, il campo
dell'archivio e dell'antagonismo, che, con l'archeologia, sottrae l'enunciato
all'analisi della lingua e all'analisi del pensiero. La cattiva infinit�
dell'enunciato � un tema che,� nell'Archeologia del sapere , sottolinea il
rifiuto della conciliazione, nella forma della dimensione
linguistico-strutturale come in quella della continuit� per cos� dire
ermeneutica. Nel caso dell'analisi della lingua e in presenza di un codice o di
un sistema linguistico definito � comprensibile come infiniti enunciati siano
compatibili con le leggi premesse di costruzione e dunque ne dipendano,
malgrado la illimitata moltiplicazione. Nel caso dell'analisi del pensiero �
facile ritenere ogni enunciato, nell'infinita ripetizione, del tutto interno a
un principio pensante o, ancora, a una fonte inesauribile che si nasconde e si
sottrae. La storia � intelligibile, ripete l'intervista che apre la Microfisica, solo se analizzata nel pi�
piccolo, inassimilabile dettaglio e in termini di "relazione di
potere" piuttosto che di "relazione di senso".
5.� Dunque,
l'analisi enunciativa dell'archeologia suggerisce la scelta di un modo di fare
storia che disocculta gli inizi minuti del sapere e del potere, della verit� e
dei codici normativi. E a questi inizi allude l'amore per il grigio, piuttosto
che per il bianco delle nuvole o per la luce piena delle identit�
riconoscibili, l'amore per quel grigio segnalato in apertura della Genealogia della morale e che avvia, nel
saggio foucaultiano del '71, la discussione sul senso dell'origine. La
genealogia "� grigia, meticolosa, pazientemente documentaria. Lavora su
pergamene ingarbugliate, raschiate, pi� volte riscritte", esige "la
minuzia del sapere", "verit� piccole" e "metodo
severo"(p.29). E' "del tutto evidente quale colore debba essere per
un genealogista della morale cento volte pi� importante del bianco delle nuvole;
intendo dire il grigio, il
documentato...l'effettivamente esistito, insomma tutta la lunga, difficilmente
decifrabile, scrittura geroglifica del passato morale dell'uomo!",
scriveva Nietzsche nella Prefazione alla Genealogia
. La storia, dunque, ha a che fare con il grigiore degli inizi, con la dispersione
e la prossimit� degli eventi minimi, insignificanti nella loro isolatezza ma
fortemente produttivi all'interno della trama di apparizione dei sistemi di
verit� e di valori. La storia muove dal basso, dalle piccole cose, dai segnali
apparentemente insignificanti, dal disparato e dal discorde. Fare storia
sar�� come frugare fra i resti. Dice la Microfisica: "l'inizio storico �
basso...Fare la genealogia dei valori, della morale, dell'ascetismo, della
conoscenza, non sar� dunque mai partire alla ricerca della loro 'origine'...
sar� al contrario attardarsi sulle meticolosit� e sui casi degl'inizi;
...andare a cercarli senza pudore l� dove sono - 'frugando i bassifondi';
lasciar loro il tempo di risalire dal labirinto dove nessuna verit� li ha mai tenuti
sotto la sua guardia"(pp.33-34).
Il genealogista deve scongiurare l'illusione della
"origine", come di quella Ursprung
che si sforza di raccogliere "l'esatta essenza della cosa, la sua
possibilit� pi� pura", la sua "forma immobile". La storia deve
cominciare a sorridere della "solennit� della origine",
dell'"alta origine", come del suo "germoglio
metafisico"(pp.31-32). Il genealogista � un po' come il buon filosofo che
ha bisogno del medico per "scongiurare l'ombra dell'anima": la storia
�, infatti, il corpo del divenire
(p.34).
La metafora medica richiama la potenza
singolarizzante dello sguardo clinico e la complessit� di quel therapeuein che rimane centrale
nell'esame foucaultiano dell'herm�neutique
du sujet, tema del corso dell'82, e, pi� in generale, nella proposta
dell'"estetica dell'esistenza", per la quale l'epimeleia socratica conserva un ruolo� fondante. La cura di s�,
la finalit� dell'enkrateia,
l'esercizio della padronanza e il carattere riflessivo della forza come potere
etico, saranno, infatti, i passaggi concettuali della nuova morale, negli anni
Ottanta. Qui il richiamo alla nozione di corpo consente alla storia, rievocando
Nietzsche,� di evitare le chimere delle
unit�. Anche il corpo, per Nietzsche, non si ricompone, come per l'autoriferimento
dell'organismo vivente, ma � un effettivo luogo di fratturazione e di
sconnessione. E' il passaggio della compiuta dissociazione del soggetto.
Il corpo � - commenta Foucault - "superficie
d'iscrizione degli avvenimenti (laddove il linguaggio li distingue e le idee li
dissolvono), luogo di dissociazione dell'Io (al quale cerca di prestare la
chimera di un'unit� sostanziale), volume complesso in perpetuo
sgretolamento". La genealogia deve mostrare il corpo "impresso di
storia" e "la storia che devasta il corpo" (p.37). E allora
l'analisi della "provenienza", Herkunft
, che cerca l'origine nella stirpe - dice il commento a Nietzsche - in
realt� non porta alla "categoria della somiglianza". Essa cerca di
rintracciare "tutti i segni sottili, singolari, sottoindividuali che
possono incrociarsi ... e formare una rete difficile da sbrogliare":
laddove l'anima pretende l'identit� e l'io inventa la coerenza, il
genealogista, con l'analisi della provenienza, si accosta da un lato alla
storia come al corpo, non all'anima, del divenire, dall'altro "permette di
dissociare l'Io e di far pullulare nei luoghi della sua sintesi vuota mille
avvenimenti ora perduti". Sotto l'aspetto unico dei gruppi, delle razze,
dei tipi sociali, la complessa "trafila della provenienza", che il
genealogista lascia apparire, restituisce "gli accidenti, le minime
deviazioni". E lascia comprendere come "alla radice di quel che
conosciamo e di quel che siamo - non c'� la verit� e l'essere, ma l'esteriorit�
dell'accidente". Nell'esame della nozione di Herkunft la scomposizione dell'origine, privata di ogni
venerabilit�, vale anche "come critica"(pp.34-35).
Ma il momento della critica prende forza e connotazione , ancor pi�, nell'esame della
nozione di origine come Entstehung .
Ed � qui che il progetto foucaultiano dell'archeologia come sapere storico si
arricchisce delle prospettive aperte dal confronto con la genealogia
nietzschiana. L'analisi lessicale e la variazione di senso che l'origine
assume, nell'uso suggerito dal testo di Nietzsche dei termini Ursprung, Herkunft e Entstehung,
accompagnano, infatti, lo spostamento dalla ricerca di un rinnovamento del
sapere storico alla proposta di un movimento di forze antagoniste e di un
orientamento etico-politico. L'archeologia si fa, nell'esame dell'Entstehung, progetto archeo-genealogico
e strategico, un progetto che, senza dubbio, � destinato ad essere l'elemento
complementare delle riflessioni sull'etica. Non a caso il tempo dell'etica -
gli anni Ottanta - sar� anche, come si avr� modo di dire, il tempo
dell'attenzione ai temi della critica.
Entstehung designa l'origine come emergenza , o come momento della
nascita. Essa � "il principio e la legge singolare di
un'apparizione". Ci� che appare nell'Entstehung
� sempre uno stato delle forze, di cui l'analisi deve mostrare il movimento.
L'irruzione delle forze, nell'emergenza, le designa anche come il luogo di uno
scontro. Con l'emergenza si fa presente il rapporto di dominazione. "Si
avrebbe torto a credere, secondo lo schema tradizionale, che la guerra
generale, esaurendosi nelle proprie contraddizioni, finisce per rinunciare alla
violenza ed accetta di sopprimere se stessa nelle leggi della pace civile"
(pp.37-40). L'emergenza ripropone il teatro dello scontro e della dominazione.
La genealogia, in quanto analisi dell'origine come emergenza, disocculta
l'antagonismo di quelle forze reali che, si � detto, l'idea giuridico-politica
del potere aveva compresso nella storia dei vincitori.
6. E' appena opportuno un cenno alla trasformazione
del ruolo dell'intellettuale nel quadro del progetto archeo-genealogico. La
crisi dell'intellettuale organico, o di chi in altre forme del dissenso - si
pensi alle tesi della scrittura
rivoluzionaria - ritiene di parlare per le masse e per la liberazione, � un
corollario del nuovo modo di fare storia. Diceva Deleuze, in una conversazione
con Foucault del 1972, riprodotta in Microfisica
con il titolo Gl'intellettuali e il
potere: "lei � stato il primo ad insegnarci qualcosa di fondamentale...l'indegnit�
di parlare per gli altri. Voglio dire: ce ne infischiamo della rappresentanza,
dicevamo ch'era finita, ma non tiravamo le conseguenze di questa conversione
'teorica' - cio� che la teoria esigeva che le persone implicate parlassero
infine praticamente per conto proprio"(p.111). E ancora, in Potere-corpo - un'intervista del '75
riportata, anch'essa, nell'antologia della Microfisica
- alla domanda "Qual � il ruolo dell'intellettuale nella pratica
militante?" Foucault risponde: "L'intellettuale non deve pi� svolgere
il ruolo di colui che d� consigli. Spetta a coloro stessi che lottano e si
dibattono di trovare il progetto, le tattiche, i bersagli che bisogna darsi.
Quel che l'intellettuale pu� fare � dare strumenti di analisi, e questo � oggi
essenzialmente il ruolo dello storico". Fare, per lo storico, un
"rilievo topografico e geologico della battaglia" significher�
indicare la carta del presente agli agenti sociali, perch� possano farsi capaci
essi stessi di analisi e di decisioni. Nel mosaico "ingarbugliato"
della storia le lotte sono sempre locali e regionali,� coinvolgono luoghi e attori specifici. Lo storico pu� forse
indicare le "linee di fragilit�" e i punti di attacco, ma "quanto
a dire: ecco cosa dovete fare, questo certamento no"(p.144).
In tal senso bisogna rinunciare alla teoria ed al
"discorso generale". Il bisogno di una teoria generale, infatti, fa
ancora parte di ci� che si vuole combattere.�
In Al di l� del bene e del male, un intervento del '71 (ancora
incluso in Microfisica), si legge
l'indicazione della componente individuale del sapere etico-politico:
"metterei in contrapposizione l'esperienza e l'utopia. La societ� futura
si comincia a delineare forse attraverso esperienze...un'altra coscienza, un
altro tipo d'individualit�...Se il socialismo scientifico ha preso il via dalle
utopie nel XIX secolo, forse la
socializzazione reale emaner� nel XX dalle esperienze
"(p.68). Dunque, chi si esercita nella teoria � colui che si impegna in
una pratica genealogica. Non � coscienza di un soggetto universale, ma � colui
che sa pensare e fare, che sa lottare dall'interno delle sue competenze
specifiche, dentro i campi determinati nei quali penetra il potere che produce
e dove si danno gli scontri reali tra i dispositivi di potere e le forme di
resistenza a tutte le pratiche di occupazione, assoggettamento, controllo e
disciplinamento.
Cos�, la genealogia � una sorta di prolungamento
del lavoro archeologico, dove il sapere diviene un effettivo fare, perch� � riattivazione delle forze agenti. La genealogia non � soltanto l'analisi della
dispersivit� degli avvenimenti, ma � soprattutto l'esercizio "locale della critica" ed � ci� che
vede prodursi "l'insurrezione dei saperi assoggettati". Sono queste
le tesi esplicitamente proposte nel '76, nella prima lezione al Coll�ge de
France, il 7 gennaio, in apertura del corso Il
faut d�fendre la soci�t�, edito parzialmente, come si � detto, nelle
conclusioni della Microfisica del potere.
Il corso di lezioni del 1976, nella sua interezza, sar� pubblicato postumo da
Gallimard nel 1997 (i curatori M.Bertani e A.Fontana ne avevano dato
anticipatamente alle stampe, per Ponte alle Grazie, un'edizione italiana nel
1990).
Il chiarimento di un significato duplice dei saperi assoggettati diviene, a questo
punto, centrale, nel discorso foucaultiano, per chiarire la condizione
dell'esercizio della critica e, soprattutto, il suo carattere di pratica
politica associata a quella che gli anni Ottanta chiameranno la
"qualificazione etica della verit�".
7.�� Se la genealogia,
continua il testo del corso del '76, si fa memoria
storica delle lotte, ci� accade perch� sono in opera due tipi di saperi, il
"sapere erudito" e il "sapere della gente". Per sapere
assoggettato si intende da una parte il sapere dei "contenuti storici che
sono stati sepolti, mascherati entro coerenze funzionali o in sistematizzazioni
formali", blocchi di saperi storici che la critica lascia apparire
attraverso "lo strumento dell'erudizione", dall'altra � necessario
intendere tutt'altra cosa: "tutt'una serie di saperi che si erano trovati
squalificati come non competenti o insufficientemente elaborati: saperi
ingenui, gerarchicamente inferiori, al di sotto del livello di conoscenza o di
scientificit� richiesto...(�) il sapere della gente", che non � un
"sapere comune, un buon senso, ma al contrario un sapere particolare,
locale, regionale". Certo, commenta il testo, ci� comporta uno
"strano paradosso", quello di "voler mettere insieme"
questi saperi della gente, "lasciati a riposo quando non sono stati
effettivamente ed esplicitamente tenuti da parte", questi saperi
squalificati, con i contenuti di una conoscenza storica "meticolosa,
erudita, esatta"(pp.166-167).
La critica, cos� proposta, lascia pensare, allora,
che l'idea genealogica � quella di promuovere una sorta di teoreticit� molecolare,� una
capacit� differenziata e micrologica di accesso all'archivio, l'esercizio, per tutti, di una riflessivit�
indispensabile alla pratica etico-politica della libert�. L'agente sociale si
fa soggetto di un sapere che � anche un fare, si fa capace di compiere scelte
all'interno della carta del presente di cui sa apprendere le linee di fragilit�
e i punti di attacco, perch� ne sa cogliere analiticamente la complessit�
locale e regionale. Il sapere dello storico e il sapere della gente provano ad
assimilarsi nella pratica genealogica.
La libert�, dir� pi� tardi Foucault, � solo la
condizione ontologica dell'etica: l'etica � la capacit� di condursi e di produrre se stessi nella padronanza di chi ha il "coraggio della verit�" ed �,
perci�, una "indocilit� riflessa", l'attitudine a una
"trasformazione studiosa". Dunque, non basta esprimere il dissenso,
il grido, l'insofferenza, non basta liberare il flusso del desiderio e la
reattivit� vitale, ma questa reattivit�, per farsi resistenza effettiva, deve
complicarsi di un profondo lavoro di riflessione e di analisi. La vera
dimensione etico-politica passa per un atto riflessivo che � il nostro
personale rapporto con la verit�, coincide con la "critica" come "coraggio
della verit�", come atto di verit� .
E' il coinvolgimento di un autos
nella produzione della verit�, il circolo trasformativo che lega il soggetto
alla verit� (circolo che connota, per Foucault, la nozione di
"spiritualit�"), ad essere la condizione per la qualificazione etica
della verit� e dunque della critica.
I temi dell'atto di verit� e del coraggio della
verit� occuperanno, come si accennava, gli interventi e i corsi di lezioni
degli anni Ottanta e, in particolare, su due fronti di discussione: il confronto
con il Kant della Beantwortung o
della risposta alla domanda Che cos'�
l'Illuminismo? e la riflessione sulla parrhesia
greca.
E' possibile pensare che il carattere locale della
critica, com'� presentato e svolto nella lezione del '76, costituisca una tesi
che � annunciata in Microfisica del
potere, ma che trover� solo nelle riflessioni successive momenti
significativi di approfondimento e una pi� larga complessit� teorica.
Foucault dedicher� due testi al commento sulle tesi
kantiane a proposito dell'Illuminismo. Due scritti, brevi ma decisivi, che
recano lo stesso titolo: What is
Enligthenment?, pubblicato in Foucault
Reader, a cura di P.Robinow, negli Stati Uniti (solo nel 1993 sar� diffuso
in traduzione francese) , e Qu'est-ce que
les Lumi�res? per "Magazine litt�raire". Entrambi editi nel 1984
e oggi in traduzione italiana per l'Archivio
Foucault. 3. 1978-1985 di Feltrinelli. Complementare e antecedente � Qu'est-ce que la critique? Critique et
Aufkl�rung, del 1978 (edito in Francia nel 1990 e in traduzione italiana
nel 1997 per Donzelli Editore, a cura di P.Napoli), adatto a completare un
trittico prezioso.
E' questo Kant, il Kant della risposta alla domanda
sull'Illuminismo, a inaugurare, per Foucault, l'"ontologia
dell'attualit�", una linea critica di pensiero che segna il nostro
rapporto con la modernit� come interrogazione del pensiero sul proprio tempo.
Il kantismo non ha solo aperto la via all'"analitica della verit�",
alla domanda sulle condizioni di possibilit� del sapere come scienza, alla
fondazione dell'episteme, ma ha indicato nella filosofia la pratica di una
costante interrogazione sul presente. Il rapporto del filosofo con il proprio
tempo � indicato dal doppio significato dell'ethos, inteso come "appartenenza" e� come "compito". Il pensiero
appartiene, certo, al proprio tempo, ma non pu� sottrarsi all'esercizio di una
potenza sagittale, incisiva, trasformativa del presente. La critica �, allora,
il taglio filosofico nel tempo. La vita filosofica introduce, spezzandolo, la
forza etica nel proprio tempo. Il motto dell'Illuminismo riassume e rilancia
l'"ethos filosofico"
nell'invito del sapere aude,
nell'invito ad assumere il "coraggio" di sapere. Le courage de la v�rit� - che � anche il titolo del corso al
Coll�ge de France del 1984 tuttora inedito - ci impone di disporci in quella
dimensione di analisi adatta a farci intendere chi siamo, da dove veniamo,
perch� e come siamo quelli che siamo e come possiamo essere altrimenti da come
siamo.
E infine, un breve cenno alla parrhesia. L'herm�neutique du
sujet � il titolo dell'ampio volume - edito, a cura di F.Gros, presso
Gallimard nel 2001 - che riproduce il corso del 1981-1982 al Coll�ge, un corso
per larga parte dedicato al tema della parrhesia
greca ed ellenistico-romana, sostanzialmente ricondotta all'epimeleia di Socrate, alla cura
socratica delle anime. La questione meriterebbe ben altra discussione. In
questo contesto, e per concludere, pu� essere opportuno ricordare solo qualche
elemento della ben pi� articolata questione del "parlar franco". Per
una prima e agevole informazione il lettore italiano pu� disporre di� Discorso
e verit� nella Grecia antica, edito da Donzelli nel 1996 (a cura di
A.Galeotti, con introduzione di R.Bodei), che traduce la libera trascrizione di
un corso tenuto a Berkeley nel 1983, Discourse
and Truth. the Problematization of parrhesia.
La parrhesia
(parrhesiazestai significa "dire
tutto") � quel tipo di manifestazione della verit� da parte di un soggetto
(� dunque una delle modalit� del "dire vero" che Foucault chiama
"rituali aleturgici", tipi di manifestazione di verit�) che si
produce quando il parlante ha un rapporto con la verit� attraverso la
franchezza, una relazione con se stesso e con gli altri attraverso il pericolo,
una disposizione a esercitare la critica su se stesso e sugli altri. Dire la
verit�, per il soggetto parresiasta, significa disporsi al distanziamento
critico, assumere la verit� come propria, mettersi a rischio. L'obbligo a
parlare, espresso dalla parrhesia,� � dunque un dovere morale non un generico
essere costretti a manifestare una verit�. Ed � la qualificazione morale che
importa nel problema del "parlar franco", del dire-vrai.
La parrhesia
pone la questione della verit� sottraendola alla dimensione binaria di tipo
epistemologico, non si interroga sulla verit� come ci� che si oppone
all'errore. Il giudizio sulla verit� � ricondotto al giudizio sulle
rappresentazioni per le quali � possibile o non � possibile esercitare
padronanza e responsabilit�, e segnala solo la distinzione tra quelle che sono
e quelle che non sono espressioni di franchezza, di coraggio e di rischio. Il
parresiasta � colui che assume la verit� come propria opinione, se ne fa
responsabile, e dunque non pu� dire quel che non pensa, diversamente
dall'adulatore e dal retore.
E' significativo che le conclusioni de Le courage de la v�rit� (il corso
inedito dell'84) avanzino una� critica, fingendone l'elogio, della
costituzione ateniese. In essa si compie ci� che potremmo chiamare, dice
Foucault, l'"isomorfismo etico-quantitativo": � solo l'opposizione
quantitativa a tracciare una delimitazione etica tra i migliori e i peggiori.
Si produce, cio�, una sorta di "transitivit�" della politica, di
dislocazione, di spostamento dalla politica all'etica, nel senso che ci� che �
bene per i pi� numerosi, ritenuti i migliori, � bene per la citt�, ci� che �
bene per i meno numerosi, ritenuti i peggiori, � male per la citt�. La
"differenziazione etica" riproduce, cos�, la "differenziazione
politica" e non viceversa. In questo scenario non c'� spazio per la parrhesia filosofica, per l'epimeleia socratica, se non a costo
della vita. La democrazia ateniese come garanzia del patto, ma sostanzialmente
come estensione a tutti dei criteri di ordine di alcuni, non d� spazio al
diritto di tutti a parlare, al "parlar franco", ma solo ai discorsi
dei retori e dei sofisti, dei persuasori e degli adulatori.
Questo tipo di critica si sforza di ricondurre la
dimensione politica nel cuore della filosofia e del suo ethos, dentro quell'esercizio filosofico che problematizza l'etica
e la colloca nella inevitabile triangolazione che L'uso dei piaceri ha definito "esperienza". L'esperienza,
che � il pensare e il fare etico-politico di ciascuno, � sempre il legame,
storicamente e individualmente variabile, tra un soggetto etico, i sistemi di
verit� e i dispositivi di potere.