Seminario di studi sulla cultura cilentana

Il Genius loci della filosofia nel Cilento: Parmenide e Vico

Pisciotta 27 - 28 dicembre 2004

 

Intervento di Fabio Bentivoglio

 

Intendo sviluppare la mia riflessione sulla filosofia di Parmenide muovendo da due domande.

La prima : Parmenide � vissuto 2500 anni fa.  Che cosa ci pu� insegnare  una filosofia sorta in un contesto storico distante anni luce dalla nostra epoca?

La seconda:  Parmenide ha consegnato al linguaggio una serie di termini come verit�, essere, apparire, opinione, conoscenza, che hanno segnato la cultura occidentale. Come mai l�attuale significato di questi termini non ha pi� alcuna parentela con quello che  ad essi aveva attribuito Parmenide? Eppure non sono termini qualunque. Un fenomeno linguistico di queste proporzioni non pu� essere interpretato come un fatto naturale inerente all�evoluzione della lingua.

Per  tentare una risposta a queste domande bisogna delineare, sia pure in  estrema sintesi, il quadro storico entro cui � sorta la filosofia di Parmenide.

 

 

Parmenide � la cui data di nascita potrebbe essere il 540 a.C., ma anche il 510- � un uomo di famiglia aristocratica della citt� di Elea, un�acropoli fondata da una comunit� di esuli della citt� di Focea, nella Ionia, che nelle sue varie peregrinazioni da un capo all�altro del mondo greco rimane fedele ai principi generali di vita delle sue origini.

Parmenide � chiamato a governare la propria patria, per rinsaldarne la coesione e  per conservarne i valori tradizionali, soprattutto in un momento in cui Elea � sotto la minaccia dell�espansionismo cartaginese. Molto probabilmente, per�, Parmenide per conservare l�autonomia e la coesione della comunit� eleatica, dovette affrontare anche forti tensioni interne alla stessa comunit�. Per interpretare la natura di queste tensioni dobbiamo allargare ulteriormente il quadro storico.

 

Tra il VII e il VI secolo a.C. nel mondo greco  matura una trasformazione sociale i cui effetti sono dirompenti rispetto alle forme di convivenza, ai valori collettivi e agli assetti di potere che caratterizzavano le comunit� dirette dalle antiche aristocrazie delle acropoli.  Nella sua regione pi� orientale, la Ionia, un nuovo ceto di proprietari privati legati ai traffici mercantili e commerciali con le grandi civilt� dell�Antico Oriente, attraverso i Fenici, riescono a rendersi indipendenti e quindi a sottrarsi al controllo  delle tradizionali aristocrazie dell��cron (l�altura dove risiedevano gli aristocratici). Quello delle aristocrazie era un potere di direzione legittimato su base sacrale, e garantito dal monopolio di una sapienza che contemplava anche  le conoscenze necessarie a dirigere e amministrare l�organizzazione collettiva del lavoro. Nelle comunit� dirette dall��cron   non esisteva propriet� privata (la terra era del dio),  gli obblighi di lavoro erano pensati come vincoli religiosi e il potere si trasmetteva per nascita entro le stirpi aristocratiche.

Le nuove comunit� di proprietari privati indipendenti, sorte intorno alle piazze adiacenti ai porti commerciali -agor�i-  assumono  caratteri incompatibili con quelli  delle comunit� dirette dall��cron:   si strutturano intorno alla  propriet� privata, e affidano la  gestione del  potere  a  coloro che possiedono pi� denaro.   L�intera vita sociale di queste nuove comunit� indipendenti finisce per orientarsi verso scopi individuali di arricchimento e di intensificazione degli affari, al di fuori delle regole e del linguaggio mitico-religioso della tradizione.

Vicende storiche successive (dalla conquista persiana della Ionia, avvenuta dopo il 546 a.C. e dopo le guerre greco-persiane, 490-479 a.C.) portano queste comunit� a organizzarsi in vere e proprie citt�-stato di proprietari privati indipendenti.

Nella Grecia peninsulare e nelle isole egee, alla fine del VI secolo a.C., il mondo tradizionale delle acropoli � tramontato;  sopravvive quasi intatto solo nella Magna Grecia, in quelle comunit� che gruppi di colonizzatori  avevano fondato a partire dall�VIII secolo a.C. . Arriviamo cos� ad Elea e a Parmenide: gli esuli di Focea, approdati dapprima nella Corsica, e poi cacciati di l�, nel 540 a.C., da Cartaginesi ed Etruschi, si mettono in cerca di un nuovo insediamento sulle coste tirreniche, ed  ecco sorgere Elea.

Alla fine del VI secolo a.C. l�aggressivo espansionismo commerciale e militare dei Cartaginesi e degli stessi ceti proprietari e mercantili greci,  arriva a minacciare anche il mondo tradizionale delle acropoli nell�Italia meridionale. Un mondo dove per� era ancora molto forte l�influenza delle aristocrazie tradizionaliste pitagoriche.

 

Riferimenti al pitagorismo

 

Ricordiamo che quella di Pitagora era una dottrina politico-filosofica che mirava  a riaffermare il valore della cultura tradizionale e dell�antico potere aristocratico (messo in discussione dalle nuove forme di sapere e di governo elaborate nella Ionia), non pi� legittimandolo su base mitologico-religiosa, ma  attraverso una nuova sistematizzazione razionale delle conoscenze in ambito matematico, etico e politico.  Per i pitagorici erano legittimati a governare solo coloro che avessero maturato  una sapienza tale da renderli capaci di sviluppare una conoscenza razionale del bene della comunit�. L�economia della  comunit�  doveva essere diretta senza consentire un eccessivo sviluppo dei commerci e dell�accumulo privato di ricchezza monetaria, perch� - ecco la dottrina filosofica � i pitagorici sostenevano che ogni esistenza � dotata di un�intrinseca misura, e che solo all�interno di questa misura � possibile reperire un ordine di vita che dia  un significato alla vita dell�uomo. L�emergente civilt� del denaro, del suo accumulo privato, senza limiti, cos� come il diffondersi di un sapere di tipo pragmatico, senza fondamento se non quello dell�utilit�, era visto come una minaccia che avrebbe precipitato nel caos la comunit� sociale.  Limite e misura sono i due concetti fondamentali del pitagorismo. 

Con ogni probabilit�, Parmenide, per la sua ascendenza da una stirpe di antica aristocrazia, � stato  influenzato dal pitagorismo, e questo darebbe ragione anche della sua fama di   uomo  politico di spicco.

 

 

 Dicevamo, dunque, che nel VI secolo a.C. anche queste sopravvissute comunit� di stampo tradizionalista-pitagorico, si trovano esposte ad una doppia minaccia, una esterna, rappresentata, per cos� dire, dalle  �merci� cartaginesi, e l�altra interna, rappresentata da quei gruppi sociali  che  una lunga frequentazione dei commerci e degli affari aveva reso  indipendenti dal resto della comunit� , e che probabilmente intendevano sottrarsi al controllo politico delle aristocrazie dell�acropoli.

E� come se quello scontro sociale, di potere, tra �cron e agor� che nella Ionia  aveva segnato la fine del governo delle aristocrazie tradizionaliste a vantaggio dei nuovi ceti mercantili e di proprietari privati, si riproponesse nel microcosmo di Elea. Pare, infatti, che all�interno della comunit� eleatica si venne  a creare una drammatica divisione tra gli abitanti del quartiere settentrionale, dipendente dall�acropoli, e gli abitanti del  nuovo  quartiere meridionale di Elea, adiacente al porto,  attratto dai commerci cartaginesi, quindi  da quella nuova civilt� dello scambio e degli affari privati che avrebbe corrotto i valori fondanti e tradizionali della comunit� focese.

 

 I frammenti che ci sono rimasti dell�opera di Parmenide potrebbero essere letti sullo sfondo di una sua missione diplomatica avente lo scopo di far cessare la secessione del quartiere meridionale di Elea, attratto dalla civilt� dei commerci e della moneta e degli scambi privati, i cui effetti disgregatori nell�ambito della comunit� eleatica si sarebbero fatti sentire drammaticamente. 

 

 

 

 

Parmenide annuncia come rivelatagli dalla dea della giustizia una sapienza di altissimo livello, che ha il suo fondamento, per�, non nella legittimazione sacrale,  ma nella verit� umana che essa vuole affermare.  Dunque una sapienza di nuovo tipo,  nata in   risposta ad una minaccia storicamente determinata, ma avente un valore universale.  E� su questo valore che dobbiamo riflettere.

 

Due sole sono le vie che � concepibile volere/  L�Essere �, il Non Essere non �.

 

Due sono le strade di vita che abbiamo di fronte: la via che � e la via che non �. La via che non �  - non � nel senso che, pur esistendo, non ha essere, cio� permanenza e universalit� di significato- � quella percorsa dai �mortali�, ovvero da coloro che impostano la loro esistenza sulla base di motivazioni pragmatiche, delle aspettative comuni  (oggi diremmo del senso comune) che  disperdono la loro esistenza in una molteplicit� di direzioni. Questa era la via intrapresa dai nuovi ceti mercantili e proprietari.  Questa � la via dell�opinione, cio� di quel tipo di credenza che riflette ci� che appare vero a livello della percezione individuale e che si riferisce ad ambiti  particolari dell�esperienza in un tempo particolare: l�opinione � dunque  �particolare e contingente�, cio� � soggettiva, nel senso che riguarda esclusivamente l�ambito di esperienza di un certo soggetto umano in un certo tempo della sua esistenza. Per sua natura � mutevole. Gli uomini che organizzano la loro esistenza fondandola sulle opinioni si perderanno nel caos, saranno privi di un orientamento esistenziale stabile (qui si sente l�influenza pitagorica).

 

La via che � � quella che percorre l�uomo sapiente ovvero colui che sa distinguere la verit� dall�opinione. Come la mutevolezza � ci� che appartiene essenzialmente alla natura dell�opinione, cos� la validit� permanente � ci� che appartiene essenzialmente alla natura della verit�. La verit� � tale indipendentemente dal variare delle percezioni individuali, � cio� universale e necessaria. Quindi  la vera sapienza conosce le opinioni, ma  sa riconoscerle come tali.

Parmenide introduce cos� quella distinzione tra verit� (al�theia) ed opinione (doxa) da cui prende avvio il discorso della filosofia occidentale.

 

Oggi facciamo una fatica enorme a comprendere questa distinzione � e conseguentemente facciamo una fatica enorme a comprendere natura e oggetto del discorso filosofico- perch� il termine verit� � usato come sinonimo di opinione.

Se dicessi che nella sala dove teniamo il nostro incontro  ciascuno � portatore di una propria verit�, farei una bella figura, di persona democratica e rispettosa delle convinzioni altrui. In realt�, attenendomi alla distinzione parmenidea, dovrei dire che ciascuno di noi � portatore di proprie opinioni. La verit� � altra cosa.

Questo ricordo sbiadito e residuale del significato originario della parola, � rimasto depositato solo in alcune proposizioni di senso comune.  Diciamo ad esempio che  �la matematica non � un�opinione�, per cui la proposizione �2 unit� + 2 unit� = 4 unit�� � riconosciuta come verit�, perch�  avvertiamo di essere in presenza di un�asserzione che ha una validit�  permanente, universale e necessaria.  Ma si tratta di verit� riconosciuta nell�ambito della logica universale della quantit�, cio� nella matematica. La verit� di cui parla Parmenide ha un contenuto di ben altro spessore , perch� ha  per oggetto il livello dei significati che determinano il valore dell�esistenza umana. E� verit� ontologico-assiologica. E� verit� della filosofia.

 

Ecco perch�, a ragione, Platone considera Parmenide il padre della filosofia. Perch�  ha definito lo spazio teorico di questa particolare forma di conoscenza che � appunto la filo-sophia:  � ricerca condotta con mezzi razionali di una verit� dell�uomo, cio� di un significato globale dell�esistenza umana, da cui derivi un orientamento rispetto agli altri uomini, rispetto alla Natura, rispetto a se stessi, e da cui derivi un valore assegnato alla vita nonostante la prospettiva della morte: siamo generati e dobbiamo morire, siamo vulnerabili, fragili, dentro di noi si agitano conflitti e contrasti, ci protendiamo con passione verso cose e persone che svaniscono e che esauriscono le nostre forze. Verrebbe da chiedersi: ma se la filosofia non si occupasse di tali questioni, di cos�altro si dovrebbe occupare?

 

Il protendersi verso scopi che non �ncorano la vita ad alcun significato che le dia realmente valore � dunque la minaccia che Parmenide vede incombere sulla comunit� eleatica.  Parmenide � un grande aristocratico, legato profondamente alle tradizioni sociali e culturali dell�acropoli, e giudica dunque il distacco dei nuovi ceti mercantili dall�ordine antico, come  una manifestazione del Non Essere , come una perdita di senso dell�esistenza umana. 

D�altra parte la sua affermazione categorica L�Essere � il Non Essere non � esprime  la certezza che la verit� dell�essere avr� il sopravvento sulle minacce rappresentate dal mondo insensato delle opinioni.  Esprime la possibilit�, per l�uomo di proteggere la propria esistenza dalla minaccia della morte e del destino, opponendovi, una resistenza di nuovo tipo, filosofica, appunto. Questa � la novit�  che apre una nuova pagina nella storia della cultura occidentale.

A questo scopo � necessaria una sapienza che sia conoscenza dell�essere, ovvero di ci� che � stabilmente conforme al pensiero.

 

Per Parmenide, dunque, la scienza � conoscenza dell�essere: un�espressione di cui si pu� intendere il senso solo mantenendo ferma la  netta distinzione di significato tra essere ed esistere (apparire, che nel linguaggio parmenideo � l�esistenza priva di essere).  Ma questa distinzione parmenidea tra essere ed esistere non appartiene pi� al nostro linguaggio:  il significato della parola essere � schiacciato su quello dell�esistere. Di conseguenza tutto il vocabolario di Parmenide � stravolto.  Questo oscuramento della dimensione dell�essere rende indecifrabile non solo il discorso di Parmenide, ma anche il discorso della filosofia, almeno nella sua versione alta, quella ontologica.  L�apparire parmenideo, cio� l�esistere privo di essere, la mera contingenza � oggi l�orizzonte totalitario del nostro operare orientato in forma esclusiva verso scopi pragmatici: ma l�esistere � il livello transeunte, convenzionale, controvertibile, che, proprio perch� tale, non � (nel senso proprio di essere), quindi che ha un�origine spazio-temporale, che nasce da motivazioni pragmatiche, non pu� mai raggiungere una stabilit� di significato e di valore. E quindi non pu� essere oggetto di una conoscenza filosofica. 

 

 

Riferimento alla Scuola Eleatica

 

La cosiddetta scuola eleatica, di cui Zenone fu uno dei pi� celebri esponenti,  conserver� la concettualizzazione parmenidea dell�Essere come immutabile, immobile, e imperituro, logicamente non contaminabile dal Non Essere . La conserver� dimostrando l�assurdit� di qualsiasi altra concezione che muovesse da un assunto concettuale diverso da quello di Parmenide: per questo Zenone elabor� un nuovo procedimento dimostrativo, la dialettica, che consiste nello sviluppare le connessioni logiche intrinseche ad un determinato asserto per valutarne la sensatezza in base alle conclusioni che da esso scaturiscono. Zenone, muovendo da concettualizzazioni dell�Essere diverse da quella di Parmenide, le confuta dialetticamente, dimostrando l�assurdit� delle conclusioni a cui esse portano.

 

Riferimenti al PARMENIDE di Platone.

 

Nel Parmenide Platone conduce una vertiginosa rielaborazione della connessione dialettica tra il concetto di Essere e Non Essere, quindi tra unit� e molteplicit�. Protagonista del dialogo � Parmenide  che dovr� arrivare a conclusioni che il Parmenide storico non avrebbe condiviso. La massima astrazione del linguaggio, che caratterizza il dialogo platonico, consente di conseguire anche la massima astrazione ontologica. Pensare la realt� sotto la categoria dell�unit�, ovvero dell�essere eleatico, implica dialetticamente di pensarla anche sotto la categoria della molteplicit�. Platone titola il dialogo con il nome del grande eleate, perch� comunque questo straordinario sviluppo del pensiero dialettico di Platone, pur negando l�inconcialibilit� dell�opposizione parmenidea tra Essere e Non Essere, si muove comunque nello spazio teorico aperto da Parmenide.

 

Il nostro orizzonte storico

 

A questo punto tentiamo di dare una risposta alle domande che ci siamo posti all�inizio del nostro incontro. Che cosa autorizza un confronto tra la situazione nostra, contemporanea, e la situazione in cui ha operato Parmenide? Lo autorizza il fatto che  se anche i Cartaginesi non ci sono pi�,  la minaccia del Non-Essere incombe sempre sull�esistenza umana. Dunque, come Parmenide, anche noi ci dobbiamo confrontare con la domanda cruciale : �Come sottrarre l�esistenza umana alla minaccia del Non Essere?�

Nel caso nostro ci dobbiamo interrogare su come si manifesti oggi tale minaccia, e quali risposte, oggi,  siamo in grado di dare.

 

Il martire cristiano soccombeva alla morte, al Non-essere, ma nella prospettiva della vita eterna. Il seguace della Riforma avvertiva la minaccia come peccato e colpa, ma ciononostante poteva essere salvato. L�uomo medievale concepiva la vita terrena come Non essere, cio� come  pellegrinaggio verso l�autentica vita celeste, verso l�Essere. L�uomo moderno, illuminista, cultore della Ragione, voleva trasformare il corso del mondo adeguandolo alla pura razionalit� della Ragione. In tutti questi casi, sia pure in forme storiche diverse, ci muoviamo sempre all�interno della dicotomia  Essere / Non-Essere, ovvero tra ci� che ha valore e ci� che valore non ha.

 

 

La morte di dio annunciata da Nietzsche apre il �900, l�epoca del nichilismo, la nostra epoca. La morte di dio � la morte dei valori, ovvero di quella costellazione di significati e orientamenti condivisi dagli uomini, e che all�esistenza degli uomini danno un senso e un significato. La morte di dio significa che  non c�� Essere che si opponga al Non-essere: i nostri atti si dissolvono, quanto a significato, nel nulla.

Il tema dello spaesamento, dell�uomo senza radici identitarie, isolato, sradicato, percorre la grande filosofia del Novecento, da Heidegger a Sartre. Severino parla del capitalismo come �estremo sradicamento e isolamento dell�individuo�. La minaccia che attraversa la nostra epoca  � un�angoscia originata dalla perdita di identit� e dalla impossibilit� di una reale comunicazione intersoggettiva.

Questi  predicati che segnano l�esistenza dell�uomo contemporaneo, caratterizzano quello che gli studiosi hanno  chiamato  il terzo stadio dell�angoscia in generale: lo stadio dell�insensatezza.

 

 

 

 

Un�espressione come  �stadio dell�insensatezza� pu� apparire   una formula tipica  dell�astrattezza speculativa della filosofia, distante dalla nostra vita. In realt� queste formule non fanno altro che tradurre in concetto una fenomenologia esistenziale molto frequente e ben riconoscibile nei comportamenti collettivi e individuali. E� quello che ad esempio ha mostrato con linguaggio pi� accessibile Umberto Galimberti dalle colonne di  Repubblica dove, con successivi articoli raccolti sotto il titolo comune �I vizi capitali di questo secolo� (agosto-settembre 2002), ha delineato i contorni  della soggettivit� contemporanea. In questi  otto sostanziosi articoli, Galimberti dimostra come  il nostro tempo sia caratterizzato da una soggettivit�  incapace di comunicare, vuota, conformista , consumista� e conclude che oggi  l�identit� personale si risolve in un insieme di bisogni e desideri programmati dal mercato�. Questa non � una deviazione della personalit�, ma il suo dissolvimento, che, tra l�altro- dice Galimberti-  non � neppure avvertito, perch� investe indiscriminatamente tutti.

Dunque la minaccia, lo stadio dell�insensatezza che caratterizza il nostro essere, pervade talmente la nostra esistenza da non esser  pi� avvertito come minaccia. Ma questo � il trionfo del Non-Essere, non come opposto all�Essere, ma come unico padrone che ci governa.

Ci� significa che noi, oggi, non scorgiamo pi� le due vie parmenidee:  non �oscilliamo� pi� di fronte alla decisione di quale via intraprendere; oggi non siamo pi� di fronte a un bivio che ci costringe alla decisione. La via � una sola, e il ruolo che ci � consentito e che ci siamo dati � quello di percorrere quest�unica via adattandoci il pi� possibile alle sue tortuosit�.

Di fronte alla minaccia di una esistenza non ancorata a valori razionalmente fondati, Parmenide oppone la forza cogente dell�Essere:  noi, non siamo in grado di opporre nient�altro che la reiterazione del Non-Essere. E� questa diversa situazione storico-esistenziale che ci rende oscuro il linguaggio di Parmenide. 

 

Dunque? Verrebbe da concludere �come del resto conclude Galimberti- che non c�� nulla da fare rispetto ad un quadro epocale cos� profondamente nichilista. Non sono d�accordo: non solo per ragioni di contingenza storica, per cui, di fronte a realt� difettive che deprimono il significato della vita umana, dobbiamo comunque operare con lo spirito dell�imperativo categorico, indipendentemente dai risultati che possiamo ottenere. Il non c�� niente da fare, comunque, non � corretto neanche da un punto di vista teoretico, perch� deve  fare i conti con una storia del pensiero e quindi della realt� umana  che testimonia quanto straordinarie siano le  risorse speculative ed emotive di cui disponiamo. 

Non siamo qui per fare l�orazione funebre della filosofia, proprio nei luoghi dove essa � nata. Siamo qui, casomai, per riaffermarne il valore insostituibile.

E d�altra parte, proprio oggi che dio � morto, proprio oggi che siamo �soli� di fronte alla minaccia dell�insensatezza, pi� che mai � la filosofia che pu� darci  il linguaggio per affrontare i nodi del nostro esistere e del nostro operare. Psicoanalisi e psicologia sono discipline fondamentali per rispondere ai tanti disagi della nostra interiorit�, ma sono troppo �piccole� per rispondere, o meglio, per confrontarsi, con un disagio esistenziale come quello che stiamo vivendo, e che non rimanda solo alla tortuosit� delle storie individuali della singola persona. E� un disagio che investe globalmente il significato dell�esistenza umana.  E� un disagio che ha bisogno di essere letto con il  linguaggio della filosofia. 

La filosofia � nata in questi luoghi 2500 anni fa. Ma rinasce in ognuno di noi quando si comincia a sospettare che ci possa essere un essere delle cose che non � dato come contenuto dell�apparire. E quando, sulla spinta di questo sospetto, ci incamminiamo verso una ricerca di ci� che ha veramente significato per la nostra esistenza. La possibilit� di una continua rinascita della filosofia (e quindi di Parmenide) in ogni momento e in ciascuno di noi, poggia su questa profonda istanza umana.